Concentriamo la nostra attenzione su una delle “piccole poesie” di Montale, Casa sul mare. Prima però ripetiamo in breve il contenuto delle altre poesie della stessa sezione. Nella lunga Crisalide l’autore osserva la vita primaverile che rinasce risultando tuttavia alla fine solo un “prodigio fallito”. Malgrado l’esito desolante è una delle poche poesie degli Ossi che contiene una descrizione vivace, dinamica ed ottimistica della natura. Marezzo presenta piuttosto tratti di una ‘occasione’. La gita in barca nell’ora serale fornisce all’autore e alla sua interlocutrice un’occasione per una riflessione esistenziale. Insolita è in questo caso la presenza di molte persone e animali – i pipistrelli, il pescatore, le spigolatrici che in questa serie di poesie solitarie trova riscontro solo nella famosa visione tragica di Incontro (“più foce di umani atti consunti, / d’impallidite vite tramontanti / oltre il confine / che a cerchio ci rinchiude: visi emunti, / mani scarne, cavalli in fila, ruote / stridule: vite no: vegetazioni”). Ne I Morti il tipico paesaggio litorale si riempie delle inquiete presenze dei morti senza pace, negli Ossi è l’unica negazione esplicita della bontà dell’altro mondo (2).
Delta è un componimento fortemente introspettivo e scettico sull’esistenza di una vita migliore. La poesia artisticamente più riuscita e più commentata è ovviamente Incontro. Nella passeggiata esistenziale l’autore trova solo manifestazioni della vita sofferta e degradata fino alla condizione vegetale. Un incontro con la donna, provocato dal contatto con una pianta, non si realizza. Uno dei principi compositivi della poesia Casa sul mare consiste nel creare un limite nello svolgimento temporale e spaziale del componimento. L’intenzione dell’autore è suggerire un movimento in un circolo chiuso nel tempo e nello spazio grazie alla ripetizione (in seguito variata) del capoverso della poesia, “Il viaggio finisce qui”: “Il viaggio finisce a questa spiaggia”, “Il cammino finisce a queste prode”. La situazione evoca appunto un ripetuto addio di persone che non vogliono separarsi e che, nonostante ondate di memorie, vivono gli ultimi momenti comuni.
Manca l’abituale iniziale ambientazione nel paesaggio litorale il quale poi diventa il palco per drammi esistenziali, ma entriamo direttamente in un ‘paesaggio’ esclusivamente mentale che occupa per intero la prima strofa(3):
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Subito ci viene suggerita la sensazione del limite: l’angoscioso esaurimento dell’anima sofferente non solo per le “cure meschine”, ma anche per l’intervento della stessa implacabilità del tempo, la cui proprietà naturale (“i minuti sono eguali e fissi”) viene sottolineata, con un’ombra di mistero, dalla parola “ora”. E l’implacabilità del tempo continua ad essere espressa tramite la similitudine tra gli intervalli dei minuti e quelli dei “giri di ruota della pompa”. Il tempo non è un flusso delle sue unità, procede a scatti. In questo senso sono distinti tra loro gli intervalli dei giri e anche il singolo giro avviene “a tratti (4)”, come le mani tirano il filo della pompa. La visione del tempo fermato o zoppicante è presente anche in Crisalide. Un primo esempio si ha nella descrizione dell’esplosione della vita: cui il tempo sembra non essere in grado di tener dietro (“ogni attimo vi porta nuove fronde / ... viene a impetuose onde / la vita ... precipita il tempo, spare con risucchi rapidi tra i sassi”). Il secondo è rappresentato dalla paralizzante immobilità finale: “l’ora di febbre, trepida, si chiude”. Il contrasto tra la fase primaverile di Crisalide e la malinconia di Casa sul mare è osservabile anche nelle parti riguardanti l’esame interiore: “una risacca di memorie giunge al vostro cuore e quasi lo sommerge” di Crisalide contro “poca nebbia di memorie” di Casa sul mare. Stanno così uno di fronte all’altro i capi opposti della vita – la nascita e la morte.
L’immagine della pompa offre una disarmonica dimensione fonica – il rimbombo dell’acqua e soprattutto il cigolio della pompa – può avere riscontro nel negato grido dell’anima aiutato dall’allitterazione della “r”: “dare”, “grido” nel terzo verso e poi soprattutto “giri”, “ruota”, “giro“, “salir”, “rimbomba”, “altro”, “altr’acqua”, “tratti” negli ultimi tre. L’anima, l’elemento passivo di questa prima strofa, si trova come schiacciata dal cieco meccanismo del tempo e di tutta la condizione dell’essere. Nella seconda strofa appare il paesaggio corrispondente allo stato d’anima:
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
La sensazione del limite continua. Viene precisato il generale “qui“ della prima strofa, estremo limite raggiungibile, la spiaggia. Essa e le prode dell’ultima strofa sono uguali alle “prode“ di Incontro e di Crisalide e alla “riva“ de I morti e di Delta. Il termine di per sé è sottoposto al minaccioso meccanismo distruttivo - “gli assidui e lenti flussi“. In questo quadro non appare nessuna presenza umana e le azioni svolte appartengono sempre a quella meccanicità vuota e senza senso: il moto dei flussi, i “pigri fumi“ (i fumi come prodotto del flutto anche in Crisalide), la trama dei soffi leni e l’aria migrabonde. Sullo
sfondo della natura inanimata appare solo la conca come un legame con il mondo dei vivi. L’assenza di più evoluti gradi degli esseri aumenta la sensazione di solitudine e di desolazione. Un poco sconcertante è la frase “Nulla disvela se non pigri fumi / la marina ...”. In numerosissime poesie degli Ossi vediamo lo sforzo dell’autore per scoprire quello che sta dietro la nostra esistenza. Il carico di certi momenti evoca in lui la speranza di poter vivere quel momento trascendente del contatto con un altro mondo. In nessun caso però la speranza si riempie e l’autore rimane sempre prigioniero della realtà meschina. In Casa sul mare la prima fase di questo processo, il raggiungimento del momento sublime, viene omesso. Il lettore di Montale sa a che cosa l’autore probabilmente si riferisce, ma all’interno
della logica di questa poesia la frase è abbastanza brusca.
Un certo imbarazzo interpretativo si avverte nel momento in cui occorre spiegare la presenza esplicita delle due isole. La presenza delle isole rimane senza connotazioni, se non consideriamo il suono duro, dantesco del verso. La loro funzione si potrebbe facilmente spiegare in un quadro di genere, ma non è questo il caso. Per questo esse rimangono come un fantasma topografico (5). La terza strofa fa compenetrare l’immagine paesaggistica con lo stato d’animo:
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’apressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Una delle più importanti funzioni di questa strofa è quella di introdurre un destinatario del discorso poetico. Anche se il sesso dell’interlocutore non è espressamente detto, ci troviamo di fronte alla solita misteriosa presenza femminile. Questa volta l’autenticità del personaggio è attestata dall’autore stesso anche se in modo abbastanza sfumato (6). Comunque, la donna non è uguale a quella dell’Incontro, la famosa Arletta, Anna degli Uberti che ha dato il nome alla prima versione della poesia. Non è stato invece possibile scoprire né l’identità dell’interlocutrice delle poesie Marezzo e Delta, né se si tratti della stessa donna di cui si parla in Casa sul mare.
Il nuovo paesaggio dell’anima è adesso quel ‘loro’ con le associazioni ed analogie comuni e comprensibili ad ambedue. Il paesaggio, l’ambiente della spiaggia funziona come il riferimento per il loro dialogo esistenziale ed escatologico. Rispetto alla negativa descrizione della prima strofa (“le cure meschine”) la “poca nebbia di memorie” è piuttosto positiva. In riferimento alle situazioni simili di Marezzo ed Incontro possiamo affermare che “le memorie” hanno la funzione di preservare emozioni, vita, quello che rimane dall’autenticità del vivere: come “la tristezza” di Incontro. Anche in Marezzo le memorie rappresentano un legame con la vita e la loro “dilavazione” coincide con la consumazione della vita, con la morte: “Parli e non riconosci i tuoi accenti. / La memoria ti appare dilavata. / Sei passata e pur senti / la tua vita consumata.”
Il flusso del tempo è di nuovo fermato dall’“ora che torpe” (7). E come se il personificato “sospiro del frangente”, il primo elemento animato della natura, assumesse l’anima morente della donna, come se esso per un momento diventasse la sua reincarnazione prima di svanire in eterno (8).
L’immagine sconsolata della morte è però subito negata dall’autore: la donna non avrà questo destino. Lei (“chissà”) ha la possibilità di “infinitarsi”, di sfuggire all’annullamento dell’esistenza. É un privilegio che appare più volte negli Ossi. L’autore è sicuro di appartenere alla maggioranza sottoposta al “disegno“ che nega qualsiasi senso dell’esistenza. Ma ci sono anche i ‘sovversivi’ del disegno fatale, cui è destinato il misterioso varco in un altro mondo che nei termini paesaggistici è una “spuma o ruga” nei “sommossi campi”, che ci porta al di là della spiaggia. Il motivo del “disegno” si trova in Crisalide (“e forse tutto è fisso, tutto è scritto, / e non vedremo sorgere per via / la libertà, il miracolo, / il fatto che non era necessario!”). In Marezzo si esprime la debolezza dei propositi umani in rapporto alle forze superiori: “Un ondulamento sovverte / forme confini resi astratti: / ogni forza decisa già diverte / dal cammino. La vita cresce a scatti. / É come un falò senza fuoco / che si preparava per chiari segni: / in questo lume il nostro si fa fioco ...”.
In questo topos di Montale si trova un accenno del tutto insolito: entra in gioco la volontà, “forse solo chi vuole s’infinita”. Questo è l’unica volta negli Ossi in cui l’autore rifiuta di ‘infinitarsi’. Si tratta di una dichiarazione abbastanza sorprendente e non meno sorprendente è il fatto che questa anomalia nel sistema di idee montaliano non viene esaminata da nessun critico. Dato che questa idea non trova riscontro in altre poesie, non possiamo trarne spunti per un’eventuale modifica dell’esegesi montaliana. Nell’ambito di questa poesia però tale modifica è necessaria. In questo caso Montale, senza dirci perché, si autoesclude dal grandioso prodigio. La scomparsa della donna, e non il soggetto parlante, è il vero tema della poesia. Di pochi accenni al proprio stato d’animo possiamo solo capire che l’autore conosce la segreta via alla salvezza, la può indicare, ma lui stesso non vuole intraprenderla (9).
L’autore davanti al resto dei suoi “nuovi giorni” ci rinuncia e preferisce indicare la “via di fuga” alla donna e donarle la sua “avara speranza” come “pegno” al suo fato. L’esistenza dell’altro mondo e la possibilità della sua manifestazione è un motivo onnipresente negli Ossi. In Casa sul mare la posizione dell’autore è però insolitamente forte: da attendente sempre deluso diventa qui addirittura, o per lo meno così si dichiara, negoziatore con il destino.
Il motivo del sacrificio dell’io parlante, questo messianismo (10) di Montale, è nel nostro gruppo di poesie più frequente che nel resto della raccolta. In Crisalide questo motivo è più intenso, patetico fino a diventare fastidioso: “...le labbra non s’aprono per dire / il patto ch’io vorrei / stringere col destino: di scontare / la vostra gioia con la mia condanna. / ... Penso allora / alle tacite offerte che sostengono / le case dei viventi; al cuore che abdica / perché rida un fanciullo inconsapevole;”.
L’ipotesi della porta che immette nell’altra vita, questo famoso varco presente anche in Casa dei doganieri, non si realizza nella nostra poesia tramite un misterioso e drammatico segno che Montale sa così bene evocare in altri componimenti. In Marezzo troviamo una situazione drammatica simile ad Arsenio: “Un astrale delirio si disfrena, / un male calmo e lucente. / Forse vedremo l’ora che rasserena / venirci incontro sulla spera ardente.” Anche in Incontro il poeta giunge ad un drammatico climax: “A lei tendo la mano, e farsi mia / un’altra vita sento, ingombro d’una / forma che mi fu tolta; e quasi anelli / alle dita non foglie mi si attorcono / ma capelli. / Poi più nulla.” In Delta l’annuncio del prodigio avviene tramite un segnale non tipicamente poetico: “Nulla di te nel vacillar dell’ore / bige o squarciate da un vampo di solfo / fuori che il fischio del rimorchiatore / che dalle brume approda al golfo”.
La poesia più vicina alla nostra è però Crisalide: “ ... nel meriggio afoso / spunta la barca di salvezza, è giunta: / vedila che sciaborda tra le secche, / esprime un suo burchiello che si volge / al docile frangente – e là ci attende”. Vediamo qui una situazione identica, un imbarco sulla spiaggia per un viaggio verso un altro mondo. Non è però quello dei morti e riguarda tutti e due protagonisti. In Casa sul mare il varco tende ad essere soltanto un’ipotesi rappresentata dalla speranza, questo secco e non troppo poetico né convincente “forse”. La sua esistenza, il suo essere momento d’incontro dei due mondi viene messo in dubbio. Non si discute più della sua esistenza e del momento d’incontro dei due mondi. Il varco, cioè, esiste più nel senso temporale che spaziale, non è tanto un luogo, ma è soprattutto un attimo. In queste poesie si deve distinguere tra la concezione dell’altro mondo parallelo al nostro, quello delle grandi poesie montaliane, e il mondo dell’aldilà che ci aspetta dopo la morte. Nel nostro gruppo abbiamo fortunatamente l’unica visione concreta dell’oltretomba di Morti: “Così / forse anche ai morti è tolto ogni riposo / nelle zolle: una forza indi li tragge / spietata più del vivere, (...) ed i mozzi loro voli ci sfiorano pur ora / da noi divisi appena e nel crivello del mare si sommergono ...” É presente qui anche la tipica immobilità trepidante del misero stato umano: “tra i fili che congiungono / un ramo all’altro si dibatte il cuore / come la gallinella / di mare che s’insacca tra le maglie; / e immobili e vaganti ci ritiene / una fissità gelida”. Una visione infernale è presente anche nella quarta strofa di Crisalide: “M’apparite / allora, come me, nel limbo squallido / delle monche esistenze”.
La nostra sezione possiede dunque un piccolo repertorio dei temi con una sottile tendenza a creare un ciclo che va dalla nascita alla morte: Crisalide (la nascita alla quale subito seguono segni della tragicità dell’esistenza; il limbo), Casa sul mare (l’ultimo addio), I morti (la presenza dei morti in paesaggio), con tre momenti del negato oltrepasso del varco – Marezzo, Delta (11) (una tranquilla peripatia), Incontro. L’ultima strofa comincia con la variazione della sempre presente anafora che sostituisce alla spiaggia un termine più prezioso quale “queste prode“:
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
Di nuovo siamo di fronte ad un movimento ripetitivo, meccanico e comunque privo di senso: “queste prode che rode la marea col moto alterno”. Caratteristica è qui la forte allitterazione della “o” presente quasi in tutte le parole: prode, rode, col moto alterno, tuo cuore vicino, non m’ode, forse, eterno. Molto bella e fonicamente riuscita è la rima interna con tutto il verso secondo (“prode / che rode ...”), che evoca il movimento ripetitivo del mare. Il dialogo diventa qui monologo. La separazione è definitiva. Chissà se la donna avrà trovato il varco, se sarà stata portata via dalla barca di Caronte o se si sarà confusa con il moto eterno della marea. C’è sempre quel f o r s e…(12)
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1 Ringrazio alla dott.ssa Alessandra Ruzzon di aver cortesemente riletto e corretto il testo dell’articolo.
2 Ottimamente M. Forti, Eugenio Montale. La poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Mursia, Milano 1973, p. 114: “Inevitabile sarà allora, per il poeta, trovare in quella ‘fissità gelida’ un’analogia fra la sua voce irretita in un discorso poetico che non sa più inventare e liberarsi, e le anime dei morti che su quella stessa prode si aggirano inquiete, indecise fra la vita che non vissero forse del tutto e il definitivo distacco verso cieli superni che non è ancora avvenuto”. Claudio Scarpati invece opina che si tratti di una rivisita: “i morti rivisitano la terra e si ritrovano carichi delle antiche inquietudini”, Invito alla lettura di Montale, Mursia, Milano 1973, p. 71. Il testo però, secondo la mia opinione, sfugge da tale interpretazione.
3 Cito da E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1977.
4 Cfr. Marezzo: “La vita cresce a scatti”.
5 Cfr. M. Forti, op. cit., p. 115: “I possibili emblemi che il poeta può ora offrire alla sua ispiratrice non sono quelli felici e ardui di un tempo che nascevano dalla incisiva naturalezza della mente poetica, dal suo metaforico straniamento, ma piuttosto i nomi reali, i segni di una muta tensione che evolve ormai verso altro”.
6 “Il ‘tu’ delle mie poesie non è mai rivolto a me stesso: è un ‘tu’ istituzionale, l’antagonista che bisognerebbe inventare se non ci fosse. Il ‘tu’ di Casa sul mare e di Crisalide è indirizzato a una donna splendida: era stata attrice e tutti quelli che l’avvicinavano se ne innamoravano. Era sposata con un uomo debole, indifeso: andarono in Sud America. Da allora non ho più saputo nella di lei”. Così Montale. Riprendo la citazione da G. Nascimbeni, Eugenio Montale, Longanesi, Milano 1969, p. 176. Sulla interlocutrice di Crisalide cfr. G. Contini: “anche la persona a cui si dice voi è un essere parallelo nella sorte d’infecondità. Il credito, trasferito in altrui, di felicità ossia possibilità d’eccezione ... ha allora un aspetto d’ipotesi provvisoria [...] La poesia, anche quella di Montale, non tollera ipotesi, ma solo l’evidenza dei miracoli”. Dagli ‘Ossi’ alle ‘Occasioni’, in Esercizi di lettura, Einaudi, Torino 1974, p. 82. Cfr. anche Giorgio Barberi Squarotti: “l’interlocutore non ha più ‘né ieri né domani’, cioè è nell’eterno (come in Casa sul mare già salpava forse per l’eterno il cuore dell’interlocutore e dedicatario del messaggio: il punto di riferimento metatestuale è sempre Dante e il viaggio della barca dell’angelo dalle foci del Tevere fino alla montagna del Purgatorio, che è viaggio verso la salvezza, verso l’eterno)”, Montale o il superamento del soggetto, in La poesia di Eugenio Montale, Atti del Convegno Internazionale, Librex, Milano/ Genova 1983, pp. 171–187, p. 183.
7 Cfr. M. Forti, op. cit., p. 115: “la sempre tenace sortita del discorso dal suo presente immoto e come congelato, e il suo aggancio a un diverso spazio interiore di memoria e di oggettivante durata, qui ancora, per molti lati, allo stadio di proposta che conduca al di là dai mondi, luoghi e tempi originari di questa poesia”.
8 Per l’indicazione della fuga cfr. G. Barberi Squarotti, op. cit., p. 175: “è soltanto una proclamazione di un dovere di dire, di un messaggio che la poesia non può non dichiarare e definire continuamente, per intrinseca natura del dire poetico, che è di costruire e proclamare messaggi anche se non possono giungere effettivamente a nessuno e se l’anima stessa di chi li pronuncia non è più forma, ma caos, e non può, di conseguenza, sperare di ridare ordine e verità alla vita ...”.
9 A proposito della frase “qual volle si ritrovi” cfr. C. Scarpati, op. cit., p. 67: “la morte ... non è figurata come estinzione, ma come compimento”. Pare che Scarpati ci voglia introdurre una storia che nella poesia non c’è. La speranza di un’altra esistenza, presente in tutta la poesia, invita piuttosto ad affermare il contrario: la morte come l’inizio, un passo in un altro mondo.
10 C. Scarpati identifica audacemente questo gesto come il vero e proprio miracolo montaliano: “Questo gesto si pone ... come l’unica forma di miracolo possibile, la forma dell’oblazione (in senso etimologico, ob-latio, offerta) di sé, dello scambio del proprio posto con quello di un altro, dell’accettazione di un più dolore e di condanna perché altri siano liberi”, op. cit., p. 64. Alcuni studiosi propongono un’interpretazione religiosa del passo, cfr. idem ivique, p. 65: “Questo atto è, sotto altra angolatura, l’atto della caritas ..., l’atto dell’amore spinto al limite, di chi afferma l’essere dell’altro fino a negare il proprio essere e dietro cui non è difficile intravedere l’immagine del Cristo morto”; Ettore Bonora, Un grande trittico al centro della “Bufera” in La poesia di E. M., op. cit., pp. 97–115, p. 102: “L’ipotesi religiosa avanzata qui dal poeta non si stacca da quelle contenute negli Ossi di seppia, prima che in Arsenio, in Crisalide e in Casa sul mare ...”; Giovanni Bonalumi, In margine al ‘Povero Nestoriano smarrito’, in La poesia di E. M., op. cit., pp. 473–486, p. 478. Io invece non ho colto dai passi in esame nessun significato né strettamente religioso, né generalmente etico.
11 Una poesia che piace molto a Contini e segna, a suo parere, un passaggio verso la poetica delle Occasioni: “In un caso-limite si parte addirittura dalla vita misteriosa, congetturabile per una sola traccia (Delta). E a questo punto, un po’ dopo gli Ossi, che comincia veramente l’arte di Montale, come autoidentificazione perfetta dei suoi motivi; ogni sua lirica consisterà, da allora, nella definizione d’un fantasma che abbia la possibilità di liberare il mondo nascosto. Poiché s’è rinunciato a qualsiasi variazione, cioè a qualsiasi ‘futuro’, il fantasma liberatore potrà anche presentarsi, metaforicamente, come ‘ricordo’”, op. cit., p. 77; “un fantasma privilegiato come assoluta presenza dell’ignoto è solo in Delta, in quel fischio di rimorchiatore che è unico avanzo del segreto: [segue la citazione del passo] E a rigore la prima lirica d’un Montale esplicito, pienamente caratterizzato”, ivi, p. 87; e parla anche de “il segreto di certi stupiti e polisillabici vocaboli montaliani, la funicolare (mottetto Il fiore che ripete ...), il rimorchiatore (Delta), acetilene (Arsenio)”, ivi, p. 95.
12 Per altre poesie in cui si offre l’occasione di trapassare il varco è tipica la finale negazione di tale possibilità – Crisalide (“anche la vostra / rinascita è uno sterile segreto, / un prodigio fallito come tutti / quelli che ci fioriscono d’accanto”), Marezzo (“l’incanto è sospeso. / Ah qui restiamo, non siamo diversi. / Immobili così. Nessuno ascolta / la nostra voce più. Così sommersi / in un gorgo d’azzurro che s’infolta”), Incontro: “Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari / qual sei venuta, e nulla so di te”.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., La poesia di Eugenio Montale, Atti del Convegno Internazionale, Librex, Milano/Genova 1983
G. Contini, Dagli ‘Ossi’ alle ‘Occasioni’, in Esercizi di lettura, Einaudi, Torino 1974
M. Forti, Eugenio Montale. La poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Mursia, Milano 1973
G. Nascimbeni, Eugenio Montale, Longanesi, Milano 1969
C. Scarpati, Invito alla lettura di Montale, Mursia, Milano 1973
(*) L’autore è titolare della cattedra di Romanistica presso l’Università Palacky di Olomouc (Repubblica Ceca). La versione a stampa dell'articolo è reperibile in:
Jirí Spicka, Leggendo Ossi di seppia: Casa sul mare, Romanica Olomucensia, IX, 2000, pp. 91-98.