Mercoledì, 13 aprile 2016
Il convegno su Wislawa Szymborska dal titolo "Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti e critici" che si è tenuto a Pisa il 12 e 13 Febbraio 2014, con la partecipazione di importanti critici e scrittori (ne ho dato notizia QUI) ha prodotto un volume dello stesso titolo (Pisa University Press, pagg. 160, euro 15,00), a cura di Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, che raccoglie gli interventi di quei giorni, un testo inedito di Pietro Marchesani, storico traduttore della poetessa, testimonianze di amici e collaboratori, diverse illustrazioni e una lunga poesia anch'essa inedita in Italia della Szymborska (v. l'indice riportato in calce). Il libro (a tutti gli effetti la prima raccolta italiana di saggi sulla poetessa polacca Premio Nobel 1996) sarà illustrato al pubblico in una serie di presentazioni:
22 aprile 2016, centro Culturale Il Funaro, via del Funaro 16 Pistoia h. 18.00
con Alfonso Berardinelli, Massimo Trinci, Massimiliano Barbini, Giovanna Tomassucci
23 aprile 2016, Biblioteca delle Oblate Via S. Egidio Firenze, h. 17.00
con Alfonso Berardinelli, Alba Donati, Niccolò Scaffai, Giovanna Tomassucci
4 maggio 2016, Aula Magna di Palazzo Matteucci, Piazza Torricelli 2 Pisa h. 17.00
con Alfonso Berardinelli, Stefano Brugnolo, Fausto Ciompi, Giacomo Cerrai, Giovanna Tomassucci
12 maggio 2016, nell'ambito del Festival Szymborska, Bologna h. 15. [da definire meglio]
Continua a leggere "Szymborska, la gioia di leggere - Presentazioni"
Mercoledì, 5 agosto 2015
Un breve saggio di Czeslaw Milosz a proposito di Wislawa Szymborska, da titolo "Non l'avevo forse detto?", inedito in Italia, tradotto dal polacco da Giovanna Tomassucci, che ringrazio. Uno scritto che vuole iscriversi in uno sperabile più ampio dibattito sulla poetessa, uno sforzo di più profonda comprensione sui contenuti, le forme, la poetica, e non tanto sulla Szymborska come "fenomeno" o come moda innescata da un "effetto auditel", come è avvenuto qui in Italia nel febbraio del 2012, né tanto meno come inconsueta "base culturale" di manuali del cosiddetto "humanistic management". In questo senso di partecipato approfondimento si è mosso il Convegno che si è tenuto a Pisa nel febbraio del 2014, di cui ho dato notizia QUI, con molti importanti interventi. E nella stessa direzione vuole muoversi il volume che raccoglie gli atti del Convegno e che verrà pubblicato dalla Pisa University press, per la cura di Giovanna Tomassucci e Donatella Bremer. Il libro, che comprenderà anche un testo inedito di Pietro Marchesani sulle sue traduzioni di Szymborska e un ricordo di Marchesani e Vanni Scheiwiller di Laura Novati, si intitolera': "Szymborska: la gioia di leggere. Lettori, poeti e critici [dedicato alla memoria di Pietro Marchesani]" e sarà articolato in tre sezioni, con i relativi interventi: 1. Ricordi e progetti [con interventi dei polacchi Ewa Lipska, Michal Rusinek, presidente della Fondazione Szymborska nonché storico collaboratore della poetessa, Jaroslaw Mikolajewski, poeta, critico, italianista] 2. Poeti [Anna Maria Carpi, Mariagiorgia Ullbar, Paolo Febbraro] 3. Critici [Alfonso Berardinelli, Roberto Galaverni, Donatella Bremer, Andrea Ceccherelli, Giovanna Tomassucci]. ----------------
N.B. Ho aggiunto in calce all'articolo, ad usum lectorum, i testi integrali delle poesie citate da Milosz.
Continua a leggere "Czeslaw Milosz - Non l'avevo forse detto?, a proposito di Szymborska"
Sabato, 31 maggio 2014
Una poesia inedita in Italia di Tadeusz Rózewicz, scomparso il 24 aprile scorso all'età di 92 anni, dedicata alla memoria di Czeslaw Milosz, nella traduzione dal polacco di Giovanna Tomassucci, che voglio qui ringraziare. Rózewicz era uno dei massimi esponenti della letteratura polacca del Novecento, autore di almeno due dozzine di raccolte di poesie, oltre ad opere di saggistica e di drammaturgia, e secondo le parole di Seamus Heaney "uno dei più grandi poeti europei del ventesimo secolo", tradotto in quasi cinquanta lingue diverse. Appartenente alla generazione poetica post-bellica, quella che ha dovuto affrontare la sfida di ritrovare le parole dopo l'immane tragedia che ha visto l'uccisione di sei milioni di polacchi (circa la metà dell'intera popolazione), Rózewicz forse più di altri ha contribuito a smentire la nota affermazione di Theodor Adorno secondo la quale "scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie" ("a casa un compito / mi attende: / creare poesia dopo Auschwitz", ribatte Rózewicz in alcuni suoi versi), attraverso un linguaggio rinnovato, diretto, condensato, poco metaforico che ha avuto una enorme influenza su tutta la produzione poetica polacca, Milosz compreso. Come ebbe a dire Wislawa Szymborska nel 1996, "non riesco neppure a immaginare che aspetto avrebbe avuto la poesia polacca postbellica senza i versi di Tadeusz Rózewicz. Tutti gli siamo debitori di qualcosa, anche se non tutti sono capaci di ammetterlo". Una classica elegia, questa in memoria di Milosz, a cui l'autore si rivolge direttamente, come ad un antico compagno e collega con cui scambiava "dispute amiche" che ora la morte ha interrotto, una elegia sul ricordo e il rimpianto, ma anche su un ideale e non lontano ricongiungimento, con l'amico, alla terra e nella terra, non come un Orfeo denudato e ancora una volta sopravvissuto a cui il canto ("che né più rammento cosa sia") non può offrire ritorno, ma come una pala che scava quella stessa terra, al culmine di una vita che "come una talpa ora io meno".
Elegia. Pamięci Cz. M
.
za pięć dwunasta!
pytam siebie
kiedy napiszesz Elegię
o winie i chlebie
chciałem wykręcić się rymem
i odpowiedzieć „w niebie”
ale ze wstydu zapadłem się
w ziemię
od tego czasu żywot pędzę kreta
i nie pamiętam
co to śpiew
wino i kobieta
te czarne kopczyki
na zielonej łące
to jedyne pamiątki
po pracy bez końca
to moje pomniki
tęskniące do słońca
a co z nami?
co z naszymi sporami
przyjacielskimi
Ty zmarłeś więc nie pytasz
co ze mną? pewnie odrzucę starą
formę szatę
i z Orfeusza zmienię się
w łopatę
|
Elegia. In memoria di Cz. M.
all'ultimo minuto!
mi chiedo
la scriverai tu mai un' Elegia
sul pane e il vino?
ah cavarmela con una rima
ribattere "In cielo e così sia!"
invece per vergogna
fin sotto terra piombo giù e rovino
come talpa ora io meno la vita
né più rammento
cosa sia il canto
il vino e anche la donna
le nere montagnole
sui prati verdi
miei monumenti
nostalgici di sole
sono i soli ricordi
di un’opera infinita
e di noi che sarà?
e le nostre dispute
amiche?
sei morto tu non puoi più domandare
che ne è di me … io certo getterò le antiche
forme vesti
e non Orfeo sarò
ma pala per scavare.
|
traduzione dal polacco di Giovanna TomassucciBibliografia italiana (poesia):
Colloquio con il principe, antologia a cura di Carlo Verdiani, Mondadori 1964 Il guanto rosso e altre poesie a cura di Pietro Marchesani, Scheiwiller 2003 Bassorilievo, a cura di Barbara Adamska Verdiani e con una premessa di Edoardo Sanguineti, Scheiwiller 2004 Le parole sgomente. Poesie 1947-2004, a cura di S. De Fanti, postfazione di M. Kneip, Metauro Edizioni 2007
Lunedì, 26 novembre 2012
A corollario della presentazione a Firenze il 16 ottobre scorso di "Trattato poetico" di Czesław Miłosz (Ed. Adelphi), di cui ho dato notizia QUI,
segnalo la pubblicazione su "L'ospite ingrato", rivista on line del
Centro Studi Franco Fortini, del resoconto, corredato da alcuni testi
del poeta, degli interessanti interventi dei relatori Alfonso
Berardinelli, Giovanna Tomassucci e Valeria Rossella, traduttrice
dell'opera. Ringrazio Giovanna Tomassucci della segnalazione.
Alfonso Berardinelli: "È certo (e non sono io a decretarlo) che il Trattato poetico
di Miłosz è uno dei poemi più potenti e labirintici del Novecento,
un’opera audace e insolita che non sa ancora dire se ha segnato un’epoca
della poesia europea o ne ha aperta una nuova. Probabilmente tutte e
due le cose: il bilancio del Novecento che viene compiuto nelle sue
pagine, una tappa dopo l’altra, una dimensione contro un’altra, ha
spinto l’autore alla costruzione di un modello formale che poteva avere,
e forse non ha ancora avuto, un’influenza sulla poesia successiva, non
solo polacca. Per fare un solo esempio, citerei, restando nel cuore
dell’Europa, almeno i due ‘poemi saggistici’ di Hans Magnus
Enzensberger, più giovane di Miłosz di quasi vent’anni e che esordì
esattamente nel 1957, l’anno di pubblicazione del Trattato poetico. Sia con Mausoleum che con La fine del Titanic,
entrambi degli anni Settanta, Enzensberger uscì dai limiti della
composizione breve e sperimentò il poema storico, fra narrazione e
interpretazione. Contro una poetica che era sembrata dominante, ma che
non esauriva certo le potenzialità dello stile moderno, Miłosz abolisce i
confini tematici e linguistici della poesia; (...)"
Giovanna Tomassucci: "Czesław Miłosz ha scritto il suo Trattato poetico
dall’esilio, tra il dicembre ’55 e la primavera ’56. Nella difficile
condizione di poeta senza pubblico, transfuga in una Francia ostile,
negli anni precedenti si era soprattutto dedicato alla prosa con il
saggio La mente prigioniera (1953), ritratto di vecchi amici convertiti allo Stalinismo, e il romanzo autobiografico La valle dell’Issa (1955). In quello stesso periodo si accingeva a scrivere uno dei suoi più bei libri, Europa familiare (1959, tradotto in italiano da Adelphi con il titolo La mia Europa),
atto di amore verso la sua terra natale, la Lituania, crogiuolo di
lingue e culture, che per l’Occidente continuava (ma oggi è forse
diverso?) a essere una ‘regione nebulosa’ su cui si ‘danno poche notizie
e se mai errate’.
Dopo la sua richiesta di asilo politico del 1951, molti compagni di un
tempo lo avevano duramente bollato di tradimento. In patria il suo nome
sarebbe rimasto all’indice quasi fino al conferimento del Nobel (1980).
Per raggiungere i propri connazionali, a parte certe equilibristiche
apparizioni (La valle dell’Issa verrà immediatamente confiscata
dalle autorità ancor prima di uscire in libreria), potrà solo contare
sulle edizioni dell’emigrazione di Parigi e Londra e più tardi sulle
quelle samizdat’. (...)"
Valeria Rossella: "Quando noi leggiamo, dico nella nostra stessa
lingua, compiamo sempre un’opera di traduzione, leggere non è mai un
atto puro. La traduzione da un’altra lingua non è che l’aspetto
macroscopico di questa contaminazione, pensiamo soltanto a come esista
un unico originale, e tante traduzioni, in tempi e in lingue diverse.
La traduzione, e soprattutto quella poetica, è dunque un sosia, ma non una copia: un gemello, che vive di vita propria.
Quando si affronta un testo scritto in una lingua molto lontana dalla
propria, aumenta esponenzialmente la responsabilità del traduttore che
diviene, per il lettore, l’unica voce del poeta.
In questo caso si tratta di affrontare con la splendida, ma anche
ingombrante armatura della sintassi italiana, la duttile e sgusciante
sinuosità di una lingua slava.
Miłosz qui usa l’endecasillabo, tranne che in alcuni frammenti, io ho
pensato di adottare una misura elastica, che si sviluppa modulandosi dal
doppio settenario all’endecasillabo. (...)"
(potete leggere il resto del dibattito su "L'ospite ingrato" - LINK)
Mercoledì, 10 ottobre 2012
Pubblico in calce un componimento scelto da Trattato poetico di Czesław Miłosz (Adelphi, 2012 - Traduzione di Valeria Rossella) in occasione della presentazione che avverrà a Firenze presso la Fondazione Il Fiore, Via di San Vito 7, Martedì 16 ottobre 2012 alle ore 17.00. Gli interventi saranno di Alfonso Berardinelli, Valeria Rossella (poetessa e traduttrice del libro), Giovanna Tomassucci (docente di Letteratura Polacca all'Università di Pisa). La locandina dell'evento, completa anche di indicazioni stradali, è reperibile QUI)
Tra l'inverno del 1955 e la primavera del 1956 Czesław Miłosz
dà corpo alla sua originale concezione della poesia in una vera e
propria sfida letteraria: un grande poema che, eludendo le cornici di
genere e arricchendosi di elementi prosaici o colloquiali, mescolando
citazioni eterogenee, imitazioni letterarie, valutazioni critiche ed
enunciati filosofici, delinea un vasto affresco storico-culturale del
Novecento polacco, tassello imprescindibile della storia europea. Un
affresco che si compone di quattro parti, evocative di altrettanti
scenari: il mondo della belle époque nella Cracovia di inizio secolo; la
vita politica e artistica di Varsavia tra le due guerre, con ampie
digressioni sui poeti del tempo; le devastazioni della seconda guerra
mondiale e gli orrori dell'occupazione nazista, con la rivendicazione
di una poesia capace di giudizio etico; la Natura e in particolare
l'ambiente degli Stati Uniti, in cui Miłosz, dopo aver contemplato
l'abisso in cui sono precipitate le culture europee, individua la
dimensione ideale per trovare serenità ed equilibrio, senza peraltro
sottrarsi al dovere di condividere con i fratelli polacchi le questioni
cruciali del XX secolo. Il Trattato poetico ha la forza
espressiva di un grande romanzo storico, l'intonazione nostalgica di
un poema sul tempo perduto, il suono straziante di un requiem in morte
di un'epoca, l'accento pacato di una meditazione sulla storia,
sull'arte, sulla coscienza individuale. E anche le Note dell'Autore
che chiudono il volume si rivelano una splendida creazione
letteraria: un mosaico di schizzi e ritratti in miniatura che, come per
magia, ricreano il mondo di una ormai lontana Europa. (dal risvolto di copertina)
(...)Dalla ‘piccola Cracovia, come un uomo dipinto’ a Varsavia, ‘città estranea su una piana sabbiosa’, i toni della poesia cambiano. Si fanno più malinconici e raccolti, ricchi di un peso che si fa man mano più grave: “eh
no, lettore, non abiti una rosa / questo paese ha suoi pianeti e fiumi /
ma è fragile come il lembo del mattino. / Lo ricreiamo noi giorno per
giorno / stimando più ciò che è reale / di ciò che è irrigidito in nome e
suono. / Al mondo lo strappiamo con la forza, / troppa facilità non lo
fa esistere. / Di’ addio a ciò che è scomparso. Ne giunge ancora l’eco. /
A noi tocca parlare in modo rozzo e aspro”. Si percepisce nei
versi il rimpianto di non poter più parlare della natura, del semplice
succedersi delle stagioni, per non tradire l’impegno politico richiesto
dalla propria terra.
Finché Miłosz non risolve il conflitto con un ultimo, nostalgico gesto. Scriverà nell’ode conclusiva: “molto,
molto ci sarà rimproverato. / Perché, pur potendo, rifiutammo la pace
del silenzio / […] Invece volevamo smuovere ogni giorno / la polvere dei
nomi e degli eventi / con le parole, poco badando al loro / e nostro
svanire, scintillando”. Non può far riposare lo sguardo sul paesaggio americano che lo circonda, anche se la tentazione di “costruirsi per sempre una casa nella Natura”
è forte; c’è un luogo a cui tornare sempre, e nel momento in cui gli
uomini reinventano continuamente i confini geografici, è la mappatura
emotiva a ridefinire l’idea e l’anima stessa di una patria. (da una nota di Chiara Condò - Fonte: Cabaretbisanzio.com)
Altre cose di e su Milosz QUI
Continua a leggere "Czeslaw Milosz - Trattato poetico, presentazione"
Lunedì, 23 luglio 2012
Ricevo da Giovanna Tomassucci (*) e pubblico volentieri
Szymborska e il comunismo: conti fatti con il passato
Nelle ultime settimane sulla stampa italiana sembra essersi inaspettatamente aperto un nuovo "caso Szymborska". Non si tratta di uno strascico delle
riflessioni sullo straordinario record di vendita registrato dalla poetessa polacca in Italia (anche grazie alla lettura dei suoi testi da parte di Roberto
Saviano a "Che tempo che fa" dopo la sua morte, nel febbraio scorso), ma di un discorso sul trasformismo degli intellettuali. Prendendo spunto da note
apparse recentemente su "Panorama" e "Il Giornale", Pierluigi Battista sul "Corriere della sera" l’ha chiamata in causa centrando su di lei un ampio
articolo, dal titolo molto simile a quello di un suo libro del 2007: Cancellare le proprie tracce. In versi. La poetessa polacca sarebbe rea di
aver nascosto le proprie poesie dedicate a Lenin alla morte di Stalin.
Per motivare le accuse si citano due grandi scrittori dell’est che hanno riflettuto sulla complicità degli intellettuali con lo stalinismo: il ceco Milan
Kundera e il poeta polacco Czeslaw Milosz, autore della Mente prigioniera, scritta nel ’51 e pubblicata in Italia da Adelphi. Si dimentica però
che anche lo stesso Kundera ha scritto poesie staliniste e che il pamphlet di Milosz, composto in piena guerra fredda, non è privo di componenti
autobiografiche e ritrae letterati ai vertici della Nomenklatura intellettuale stalinista: gli amici di un tempo che lo consideravano ormai un traditore.
Non è il caso quindi estendere i suoi giudizi ai molti giovani intellettuali sostenitori dello stalinismo - la generazione della Szymborska, nata nel ’23 -
che occupavano ruoli di scarso conto. Bisogna invece considerare che, dopo l’apocalisse della guerra, con la sua duplice occupazione tedesca e sovietica,
dopo le due tragiche insurrezioni e il tradimento di Yalta, per molti di loro il mito di uno stato socialmente equo e dell’Urss-baluardo antifascista
appariva l’unico antidoto alla disperazione e al nichilismo. Ne era cosciente lo stesso Milosz, che ha sempre distinto i singoli casi (e cause) e che ha
fatto conoscere Szymborska dall’esilio americano, senza mai scrivere su di lei una sola parola di biasimo.
È inoltre ampiamente noto che la poetessa non ha occultato né la passata appartenenza al partito (fino al 1966) né tanto meno "sepolto" (come si è scritto)
le raccolte poetiche del periodo stalinista, tuttora conservate in molte biblioteche polacche. «Appartenevo alla generazione che credeva. Io credevo.
Quando ho smesso di credere ho smesso di scrivere quelle poesie», aveva dichiarato nel ’91. Esse sono citate dalle sue biografie (tra cui quella di Joanna
Szczesna e Anna Bikont Cianfrusaglie di memorie. Amici e Sogni, che varrebbe la pena di tradurre!), dalle introduzioni del suo traduttore Pietro
Marchesani, dal Web, in primis Wikipedia. Fin dal conferimento del Nobel, proprio a causa di quel suo passato, Szymborska è stata attaccata da molti in
Polonia: quindi non ha senso parlare di rivelazioni che provocano "imbarazzo". L’Europa non è più divisa in due e non si può far finta di ignorare ciò che
è già accaduto nei Paesi dell’ex blocco sovietico, tirando fuori dal cappello vecchie informazioni e contrabbandandole per nuove.
L’articolo di Battista afferma inoltre che per conoscere l’opera di uno scrittore è necessario averne presente l’intera produzione, compresa quella che
potrebbe essere oggetto di censura e biasimo. Alla ricerca di simmetrie, si accosta Szymborska a Günter Grass, che per anni ha occultato la propria
partecipazione giovanile a un reparto di Ss. Non pare quindi cogliere alcuna differenza tra una scelta politica (tenuta celata, nel caso di Grass) e la
stesura di un testo letterario. I versi su Stalin e Lenin della poetessa sono ancora oggi consultabili anche in vari siti web e lei non si è mai sognata di
censurarli, ha scelto solo - come era suo diritto - di non ripubblicarli… Essi sono anche oggettivamente retorici e brutti: secondo i suoi accusatori
italiani avrebbe dovuto inserirli comunque nelle edizioni antologiche delle sue poesie?
Evidentemente chi mette Szymborska sul banco degli imputati non è particolarmente amante della poesia, perché parlando di una scrittrice schiva, che non
amava pronunciarsi in dichiarazioni pubbliche, non ha creduto necessario sfogliare i suoi libri e ascoltare la sua stessa voce. Sarebbe bastato aprire una
qualsiasi delle sue raccolte e leggere Riabilitazione (v. più avanti), una poesia di oltre cinquant’anni fa (dal volume Appello allo Yeti
, 1957, cito dall’edizione Adelphi, 2009 p. 63), che è una sofferta autocritica del suo coinvolgimento politico e morale sotto lo stalinismo, in
particolare della sua partecipazione, insieme a decine di altri intellettuali, a una campagna di stampa contro alcuni sacerdoti polacchi, accusati di
spionaggio in un processo farsa nel 1953:n «È tempo di prendersi la testa fra le mani / e dirle: - Povero Yorick, dov’è la tua ignoranza, / la tua cieca
fiducia, l’innocenza, il tuo "s’aggiusterà", l’equilibrio di spirito tra la verità verificata e quella no? / Li credevo indegni dei nomi / Poiché
l’erbaccia irride i loro tumuli ignoti / E i corvi fanno il verso, e il nevischio schernisce / e invece, Yorick, erano falsi testimoni. / L’eternità dei
morti dura / Finché con la memoria viene pagata. / Valuta instabile. Non passa ora / Che qualcuno non l’abbia perduta / Oggi in materia sono più colta /
Essa può essere concessa e poi tolta / (…)». (giovanna tomassucci)
Articolo già apparso su L’Avvenire del 21 luglio 2012
(*) L'autrice della lettera è, tra l'altro, traduttrice e polonista all'Università di Pisa
Continua a leggere "Wislawa Szymborska - Fango e riabilitazione"
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