Domenica, 2 settembre 2018Charles Baudelaire, poesie tradotte da Emilio CapaccioL’immaginazione domina il regno del vero e, all’interno di questo regno, il possibile è solo una regione.
C. B. Le vin des amantes Aujourd’hui l’espace est splendide! Sans mors, sans éperons, sans bride, Partons à cheval sur le vin Pour un ciel féèrique et divin! Comme deux anges que torture Une implacable calenture, Dans le bleu cristal du matin Suivons le mirage lointain! Mollement balancés sur l’aile Du tourbillon intelligent, Dans un délire parallèle, Ma soeur, côte à côte nageant, Nous fuirons sans repos ni trêves
Vers le paradis de mes rêves!
Il vino degli amanti Quest’oggi lo spazio è terso! Senza briglie, né speroni, né morso, partiamo a cavallo del vino per un cielo fiabesco e divino. Come due angeli che flagella un’implacabile febbre gialla, nel cristallo cerulo del mattino seguiamo il miraggio da vicino! Mollemente bilanciati sull’ala del turbinio intelligente, dentro una follia parallela, sorella mia, a fianco a me natante, fuggiremo senza tregua, né ritegni,
verso il paradiso dei miei sogni!
La fin de la journée
Sous une lumière blafarde Court, danse et se tord sans raison La Vie, impudente et criarde. Aussi, sitôt qu’à l’horizon La nuit voluptueuse monte, Apaisant tout, même la faim, Effaçant tout, même la honte, Le Poète se dit: «Enfin! Mon esprit, comme mes vertèbres, Invoque ardemment le repos; Le coeur plein de songes funèbres, Je vais me coucher sur le dos Et me rouler dans vos rideaux, Ô rafraîchissantes ténèbres!» La fine della giornata Sotto una luce morente corre, danza e si torce senza ragione la Vita, chiassosa e impudente, tal che appena il ciglione della notte voluttuosa monta, riposando tutto, anche la mente, appagando tutto, anche l’onta, il Poeta dice: «Finalmente! lo spirito e le mie vertebre, ardentemente implorano soccorso; il cuore colmo di sogno funebre, vado a stendermi sul dorso e m’avvolgo nelle vostre latebre,
oh, rinfrescanti tenebre!»
Les aveugles Contemple-les, mon âme; ils sont vraiment affreux! Pareils aux mannequins; vaguement ridicules; Terribles, singuliers comme les somnambules; Dardant on ne sait où leurs globes ténébreux. Leurs yeux, d’où la divine étincelle est partie, Comme s’ils regardaient au loin, restent levés Au ciel; on ne les voit jamais vers les pavés Pencher rêveusement leur tête appesantie. Ils traversent ainsi le noir illimité, Ce frère du silence éternel. Ô cité! Pendant qu’autour de nous tu chantes, ris et beugles, Eprise du plaisir jusqu’à l’atrocité, Vois! je me traîne aussi! mais, plus qu’eux hébété, Je dis: Que cherchent-ils au Ciel, tous ces aveugles? I ciechi Contemplali, anima mia, sono davvero mostruosi! Simili a manichini; vagamente ridicoli; terribili, singolari, come sonnamboli; dardeggiano non si sa dove i loro globi tenebrosi. I loro occhi, dove la divina scintilla è partita, come se guardassero lontano, restano a planare per il cielo, non li si vede mai inclinare al suolo assortamente la loro testa appesantita. Attraversano così il nero dell’infinità, questo fratello del silenzio eternale. O città! mentre intorno strilli, ridi e canticchi, presa dal piacere fin all’atrocità, vedi! anch’io mi trascino, ma più ebete di loro, chissà!
dico: che cercano al Cielo tutti questi ciechi?
La vie antérieure J’ai longtemps habité sous de vastes portiques Que les soleils marins teignaient de mille feux, Et que leurs grands piliers, droits et majestueux, Rendaient pareils, le soir, aux grottes basaltiques. Les houles, en roulant les images des cieux, Mêlaient d’une façon solennelle et mystique Les tout-puissants accords de leur riche musique Aux couleurs du couchant reflété par mes yeux. C’est là que j’ai vécu dans les voluptés calmes, Au milieu de l’azur, des vagues, des splendeurs Et des esclaves nus, tout imprégnés d’odeurs, Qui me rafraîchissaient le front avec des palmes, Et dont l’unique soin était d’approfondir Le secret douloureux qui me faisait languir. La vita anteriore Molto tempo ho abitato sotto vasti portici che i soli marini tingevano di mille fuochi e che i loro grandi pilastri, dritti e ciechi, rendevano simili, la sera, a vicoli basaltici. Le onde, arrotolando immagini del cielo, mischiavano in modo mistico e solenne gli onnipotenti accordi delle loro ninne nanne ai colori di ponente distesi sopra un velo. E là che ho vissuto nelle voluttuose calme, in seno all’azzurro, alle onde, agli splendori, e con schiavi nudi tutt’impregnati d’odori, che mi rinfrescavano la fronte con le palme e dove l’unica premura era d’approfondire
il segreto doloroso che mi faceva languire.
Élévation Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées, Des montagnes, des bois, des nuages, des mers, Par delà le soleil, par delà les éthers, Par delà les confins des sphères étoilées, Mon esprit, tu te meus avec agilité, Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde, Tu sillonnes gayement l’immensité profonde Avec une indicible et mâle volupté. Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides; Va te purifier dans l’air supérieur, Et bois, comme une pure et divine liqueur, Le feu clair qui remplit les espaces limpides. Derrière les ennuis et les vastes chagrins Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse, Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse S’élancer vers les champs lumineux et sereins; Celui dont les pensers, comme des alouettes, Vers les cieux le matin prennent un libre essor, — Qui plane sur la vie, et comprend sans effort Le langage des fleurs et des choses muettes! Elevazione Al di sopra degli stagni e delle vallate, di monti, di boschi, di nubi e di mari, al di là dell’etere e di luci solari, al di là dei confini delle sfere stellate, spirito mio, tu ti muovi con agilità, come nuotatore che s’inebria dell’onda solchi felice l’immensità profonda con indicibile e maschia voluttà. Innàlzati da questi miasmi putridi per purificarti nell’aria superiore, e bevi come puro e divino liquore, il fuoco chiaro degli spazi limpidi. Dietro le noie e i vasti dispiaceri che gravano l’esistenza brumosa, felice è colui che da un’ala vigorosa si lancia in campi luminosi e sinceri, di cui i pensieri, come allodole venute, prendono per i cieli un libero volo, — chi plana sulla vita e comprende solo il linguaggio dei fiori e delle cose mute. Continua a leggere "Charles Baudelaire, poesie tradotte da Emilio Capaccio" Mercoledì, 20 giugno 2018Jean-Pierre Duprey - PoesieAlcune poesie di Jean-Pierre Duprey, cometa del surrealismo che è bruciata in fretta (suicida a 29 anni nel 1959), di cui avevo già presentato qualche testo QUI (allo stesso indirizzo trovate una nota biografica ed altre indicazioni). Altre poesie da me tradotte troveranno collocazione in una prossima pubblicazione collettiva.
Verità è falso
Le stelle hanno sorelle gemelle negli occhi delle lupe
Io, non ne ho di stelle
Il cielo è immobile nel mare
Io, non ne ho di mare
Io, io non ho un corpo ma cerco un velo
Per velare la mia apparenza di corpo
Cerco un velo impermeabile
Agli sguardi della verità
Perché non so mentire e temo troppo uno di questi giorni
Che la verità m'insegni che io soffro
Perché allora non avrei la faccia
Per dirmi che è tutta una bugia
(settembre 1946)
Canzone nel vento
Ho scoperto un gran sogno di ricordi
I fiori mi chiamano, i fiori hanno odor di donne
Gli occhi dei fiori si colorano di lacrime
Le viole1 vanno e vengono all'intorno
Il vento a tratti cambia di canzone
Il tempo a tratti cambia di mantello
Ancora i fiori parlano
E io ho casa in un angolo di cielo
Caduto malato proprio in mezzo ai fiori
In quella sera, così come la vita è infinita
Io faccio una passeggiata sulla luna
(1946.)
Amara
Al sorgere del sole piscia una bruma blu
Lui spelacchia un sole
E si taglia un cantuccio di giorno
Vuole accomodarsi in poltrona
Ma prima si suicida
Disperato di non avere quello che non ha
il poeta
il poeta
Mescola i suoi singhiozzi e chewing-gum
Si agita davanti ai grani di sangue
Che abitano il suo sparato
Volle rubare i perduti amori
E fumarli come mozziconi senza gusto
(1946.)
Corpo a corpo
La storia del mondo risale il vuoto
- Mentre qui tutto è segreto - al cielo più leggero
La sera cadeva melmosa come mescolata a piogge,
Ceppi di rumori mortali, campi di blu dormivano
Grigi di gelo e come se la vita
Si fosse coricata troppo pesante da sopportare
L'animale passò, diafano e senza appello.
Le nuvole forgiavano la battaglia del cielo,
Troppe croci, il freddo crepava il mare,
Nessuno sapeva per dove trapassare il ferro,
I corpi colpiti all'urto di corazze
La fine passava tra loro come una fitta,
Campane di sogno, campane di Dio attraversavano serrature,
Tutto si schiantò, il mare e la lotta insieme
Scivolarono attraverso la carne, troppo duro
Il vento lanciava frantumi di frasi mozze
La terrà s'apri essendo il male troppo grande
E sotto il fuoco crepò l'albero finale.
(novembre 1946)
da
Premiers poèmes publiés et inédits (1945-1947)
(traduzione G. Cerrai - 2018)
1 Les pensées
ovviamente sono anche i pensieri, ma per un testo con molti fiori ho fatto
una scelta un po' più surreale (ndt) Continua a leggere "Jean-Pierre Duprey - Poesie" Lunedì, 20 novembre 2017Henry Bataille - poesie, a cura di Emilio CapaccioHenry Bataille , ovvero Henry Felix Achille Bataille, nasce a Nîmes, nella regione dell’Occitania a sud della Francia, il 4 aprile del 1872.
Il padre, Léopold Bataille, e la madre, Alice Mestre-Huc, erano di famiglie
borghesi e originari del dipartimento dell’Aude. All’età di 11 anni, mentre studia a Parigi, perde prematuramente il padre,
che in quel periodo ha un incarico di magistrato presso la corte di appello
di Parigi, e 2 anni più tardi perde anche la madre. Il giovane Bataille viene allevato dalla sorella, Marguerite e dal marito,
Ernest Blagé, direttore di una delle più antiche compagnie ferroviarie
francesi. Dimostra fin da bambino un talento per il disegno e la pittura. Con l’aiuto dei suoi tutori intraprende a Parigi gli studi artistici,
presso l’‘École nationale supérieure des beaux-arts’ e l’ ‘Académie
Julian’, ma al contempo si appassiona anche di letteratura e di poesia.
Pubblica nel 1895, su incitamento dell’amico Marcel Schwob, la sua prima
raccolta di poesie dal titolo: La Chambre Blanche, caratterizzata
da uno stile che oscilla tra decadentismo e simbolismo, tra malinconia e
disillusione del soggetto poetico. La vera svolta avviene nell’ambito teatrale, in particolare con opere
contraddistinte da grandi drammi passionali e conflitti morali, come:Maman Colibri (1904), La Marche Nuptiale (1905),La Femme Nue (1908), Le Scandale (1909), La Vierge Folle (1910), L’Enfant de l’Amour (1911), che
gli valsero una grande popolarità, la rappresentazione nei teatri più
prestigiosi di Parigi e a Broadway, oltreché molte trasposizioni
cinematrografiche.
Si lega sentimentalmente a grandi attrici di teatro dell’epoca. Spesso
furono proprio queste donne a interpretare le sue opere, come nel caso di
Berthe Bady e soprattutto di Yvonne de Bray che gli resterà accanto fino
alla morte. Molti intellettuali della Belle Époque ammirano il suo teatro, primo fra
tutti Louis Aragon, che si ispira a lui per il personaggio del suo romanzo: Les Cloches de Bâle (“Le Campane di Basilea”), pubblicato nel
1934.
Tra le raccolte poetiche di Bataille, si ricordano,
oltre La Chambre Blanche (1895), Le Beau Voyage (1904), La Divine Tragédie (1907), La Quadrature de l’Amour
(1920).
Muore in seguito a un’embolia, a Rueil-Malmaison, nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine, nella regione settentrionale della Francia, presso la sua tenuta: “Vieux Phare”, il 2 marzo del 1922. Viene sepolto nella cripta di famiglia a Moux nel dipartimento dell’Aude. Presentazione e traduzione a cura di Emilio Capaccio
Continua a leggere "Henry Bataille - poesie, a cura di Emilio Capaccio" Martedì, 22 agosto 2017Mario Fresa - Alfabeto Baudelaire Mario Fresa - Alfabeto Baudelaire - EDB Edizioni, 2017
Come ho detto altre volte, d'estate per rinfrescarsi conviene tornare ai
classici. Hanno l'innegabile vantaggio di segnare una distanza da una
contemporaneità spesso deludente, se non indicativa di una drammatica
mancanza di prospettiva. Distanza che offre un largo orizzonte, un
orizzonte di cui almeno sappiamo che cosa c'è oltre. Baudelaire è uno di
questi classici, che Mario Fresa affronta in una sua versione in questo
interessante libro edito da EDB di Milano, arricchito, come avvenne per
Apollinaire, dai bei disegni di Massimo Dagnino, i quali, come nota in
postfazione Davide Cortese, "si rapportano al proprio testo di riferimento
per via concettuale, (...) i versi funzionano come materia prima da
modificare; un elemento, una tematica laterale che si mostra nei versi
viene isolata e sviluppata in maniera autonoma". Ne esce quindi, in primis,
qualcosa di più e diverso rispetto ad una tradizionale pubblicazione
d'arte, nella quale la parte iconica è come suol dirsi "di corredo":
un'opera culturale in cui si misurano in maniera sinestesica - più che due
media - due sensibilità artistiche (vale ricordare che Dagnino è anch'egli
scrittore e poeta), una corrispondenza sensuale favorita pure dal grande
formato del libro (quasi un "in quarto").
Mario Fresa estrae dai Fiori del male dodici testi esemplari con
cui compone il suo alfabeto: si va dalla "benedizione" al "vino degli
amanti", passando per il gatto, il morto lieto, lo spleen. Momenti, luoghi,
presenze topici della poetica baudelairiana, poi diventati passaggi quasi
obbligati per la poesia successiva, per l'enorme influenza che hanno avuto,
per la mutazione del paesaggio che hanno determinato (si pensi soltanto
all'irruzione della città e di tutto l'ambiente urbano nell'immaginario
poetico, "luogo perfetto - dice Fresa in una nota - per accogliere, in sé
stesso, il delirio e il rapimento dell'ubriacatura e dello sperdimento").
Credo che sia questo il senso principale della selezione di Mario, che
costituisce anche un indirizzo critico ed estetico, non tanto e non solo
nei riguardi dello stesso Baudelaire, quanto, come accennavo prima, nella
direzione di una eredità successiva di cui è necessario tenere conto
leggendo e scrivendo anche della poesia italiana contemporanea, in cui è
difficile trovare un flaneur che non sia rattratto in sé, né una
città che non sia un non luogo, un mero arredo esistenziale. Fresa, anche
quando traduce, è uno che non dimentica mai il suo bagaglio né i suoi
debiti culturali. Ne sono parziale dimostrazione i suoi lavori su Marziale
o su Apollinaire (v.
QUI
) e diversi altri autori, ma anche i suoi svariati interventi critici sulla
produzione letteraria attuale. Ma Mario è soprattutto un poeta, ed è
poeticamente che ogni volta affronta una sfida traduttiva, non limitandosi
mai ad una trasposizione, per quanto sempre autorevole e correttissima, da
una lingua all'altra. Il suo lavoro è sempre di sintonizzazione
con l'autore "ospite" e nel contempo di sfida espressiva nei suoi
confronti, forse qui meno di quanto ebbi a dire a proposito del suo
approccio a Apollinaire, quando parlai di "traduttore inventore o
ri-creatore, sempre alla ricerca di un giusto mezzo (ma sempre con
l'azzardo dell'invenzione) tra metro e senso, tra rima e lima, tra barocco
e dodecafonia, ma sempre mosso da una specie di innamoramento di partenza
verso l'autore che traduce". Amore e rispetto, come è facile verificare in
traduzioni come ad esempio quella de L'albatro, nella quale Fresa
consegue un eccellente equilibrio, tra segno e senso, tra lettura e
interpretazione, tra sostituzione e conservazione di significati, ritmi,
resa poetica, registri lirici. È, ovviamente con le dovute proporzioni, uno
scambio proficuo tra poeti, in cui in sintesi Mario riesce a trasmettere,
anche ad un lettore come me che abbia presenti altre versioni dei Fiori, l'espritsempre nuovo e fresco di questa opera
fondamentale. (g. cerrai)
(illustrazione in calce: Baudelaire visto da M. Dagnino, 2017 - riproduzione vietata) Continua a leggere "Mario Fresa - Alfabeto Baudelaire" Mercoledì, 23 novembre 2016Guillaume Apollinaire - da Calligrammes, traduzioni di Norma StramucciAlcuni testi di Guillaume Apollinaire, tratti da Calligrammes, nella traduzione di Norma Stramucci (G. Apollinaire - Da Calligrammes - Poèmes de la paix et de la guerre, 1913-1916 - Ed Arcipelago Itaca, 2016), traduzione che Giovanni Raboni, in una lettera del 2002 a Stramucci, aveva trovato "...decisamente un buon lavoro, motivato da un atteggiamento di fondo giustamente non esibizionistico (capita molto spesso a chi traduce ed è poeta in proprio..), ma non privo di soluzioni coraggiose [...]", ma che in me suscita qualche sommesso motivo di perplessità. Tuttavia sono sempre interessanti sia la lettura di Apollinaire, sia il confronto con altre interpretazioni, e ringrazio l'amico Danilo Mandolini, patron di Arcipelago Itaca, di avermi inviato questo libro. A voi la lettura.
LUNEDÌ RUE CHRISTINE
Faranno fìnta di niente la portinaia e sua madre
Questa sera mi accompagnerai se sei un uomo
Sarà sufficiente che uno faccia la guardia al portone
Mentre l'altro sale
Sono accesi tre fornelli a gas
La padrona soffre di tubercolosi
Faremo una partita a tric-trac quando avrai finito
Ha mal di gola un direttore d'orchestra
Ti offrirò hashish da fumare quando verrai a Tunisi
Sembrano parole in rima
Una fila di piattini fiori e un calendario
Pim pam pim
Quasi 300 franchi devo dare d'affitto alla mia padrona
Preferirei tagliarmelo piuttosto che pagarla
Alle 20 e 27 partirò
In continuazione sei specchi si fissano
Mi sembra che stiamo a complicarci sempre di più
Caro signore
Siete un uomo che non vale due soldi
A un verme solitario assomiglia il naso di quella donna
Luisa ha dimenticato la pelliccia
I0 non la indosso e non ho freddo
Il Danese fuma e controlla l'orario
Il gatto nero passa per la birreria
Erano buone queste frittelle
La fontana gocciola
Nero il vestito come le unghie
Non è concepibile
Ecco signore
L'anello di malachite
C'è segatura per terra
E ciò dimostra che è vero
Un libraio ha rapito la cameriera rossa
Un giornalista che conosco del resto molto poco
Jacques attento ti dirò cose essenziali
Compagnia di navigazione mista
Mi disse guardi signore che cosa so fare in acqueforti e quadri
Io però ho solo una servetta
Dopo pranzo al caffè del Luxemburg
Una volta là mi fa incontrare un uomo grande e grosso
Che mi dice
Mi stia a sentire è divertente
A Smirne a Napoli in Tunisia
Ma dove mio Dio
Sono trascorsi otto o nove anni
Da quando sono stato l'ultima volta in Cina
L'Onore sta spesso nell'ora che segna il pendolo
La quinta maggiore
Continua a leggere "Guillaume Apollinaire - da Calligrammes, traduzioni di Norma Stramucci" Martedì, 8 novembre 2016 passa spesso per l’indesiderabile
R. D.
René Daumal nacque a Boulzicourt, una piccola località nel dipartimento delle Ardenne, nella Francia settentrionale, ai confini con i Paesi Bassi, il 16 marzo del
1908. Il padre esercitava la carica di funzionario presso il ministero delle Finanze ed era votato ai principi del socialismo e profondamente
anticlericale. Daumal frequentò gli studi secondari a Reims, nel dipartimento della Marna, dove fondò il gruppo dei «Phrères simplistes», composto da altri
tre intellettuali, ispirati alla poetica e agli eccessi di Alfred Jarry, Arthur Rimbaud e al paradigma dei surrealisti di Breton, Il gruppo era composto,
oltre che da Daumal, da Roger Vailland, Roger Gilbert-Lecomte e Robert Meyrat. Come Rimbaud, anch’essi cercavano quel dérèglement de tous les sens (irregolarità di tutti i sensi) attraverso l’uso di oppio, etere, assenzio e praticando il gioco della roulette russa. Intorno al 1924, Daumal cominciò ad
ingerire con una certa regolarità anche il tetracloruro di carbonio, più noto con il nome di freon 10, che utilizzava per uccidere i coleotteri che
collezionava, con l’intento di delineare e scandagliare un mondo parallelo alla realtà, immergendosi volontariamente in un coma prossimo all’esperienza
della morte apparente. Dal 1925 al 1927 preparò a Parigi il concorso per entrare nel liceo Henry IV, dove divenne alunno del filosofo e saggista
Émile-Auguste Chartier. Negli stessi anni conobbe la poetessa e filosofa Simone Weil. Nel 1928 fondò e diresse — insieme ai vecchi amici, Roger
Gilbert-Lecomte e Roger Vaillard, e insieme al pittore Joseph Sima — la rivista “Le Grand Jeu”, in cui apparvero i suoi primi componimenti poetici. La
rivista ebbe soltanto tre numeri e cessò nel 1931. In questi anni conobbe Hendrik Cramer, poeta olandese, che collaborò ai primi due numeri della rivista,
marito di Véra Milanova, che sarebbe diventata la futura compagna di Daumal. Iniziò un crescente interesse per la cultura e la filosofia orientale e
cominciò a studiare il sanscrito.
In seguito Daumal conobbe il ballerino indù Uday Shankar e si unì alla sua compagnia teatrale per una tournée negli Stati Uniti durante gli anni 1932-1933.
Ritornato a Parigi, il poeta piombò in una profonda crisi finanziaria, restando a volte anche senza una dimora stabile. Si trasferì a Ginevra con la
compagna, Véra Milanova, e iniziò la stesura della sua prima opera in prosa: La Grande Beuverie (La Grande Orgia) che pubblicherà a Parigi solo
nel 1937. In questo periodo, nella rivista: “La Nouvelle Revue Française”, pubblicò uno studio filosofico su Spinoza e a partire dal 1934, pubblicò alcune
traduzioni dal sanscrito. Nel 1936 pubblicò la sua prima raccolta poetica: Le Contre-Ciel. Nel 1939 venne a sapere di essere affetto da una grave
forma di tubercolosi polmonare. Proseguì senza sosta la sua attività di scrittore e traduttore di frammenti di grandi testi indù. In questo stesso periodo,
durante un soggiorno a Pelvoux, sulle Alpi, iniziò la stesura della sua più importante opera in prosa, rimasta incompiuta: Mont Analogue (Il Monte
Analogo). Si tratta di un romanzo di avventura sull’alpinismo, visto in un’ottica metafisica come viaggio per raggiungere la vetta, raccordo tra terra e
cielo, sulla quale ognuno compie e trova le ragioni della propria esistenza. L’opera doveva prevedere sette capitoli, ma Daumal ebbe il tempo di scriverne
solo cinque prima di morire. Nel 1940 collaborò con la rivista “Fontaine” e pubblicò la raccolta poetica: Poésie noire et poésie blanche. In
questi anni le sue condizioni di salute peggiorarono precipitosamente. Morì a Parigi il 21 maggio del 1944. Aveva trentasei anni.
Articolo e traduzione a cura di Emilio Capaccio Foto: due immagini di René Daumal e Il gruppo dei «Phrères simplistes» (fonte web) Continua a leggere "" Giovedì, 1 settembre 2016 Un assaggio di un eccellente poeta francofono di origine libanese, Salah Stétié, di cui spero di tornare a pubblicare qualcosa più avanti. I testi sono
tratti dall’antologia “Nel cerchio del cerchio – Trent’anni di poesia: 1973- 2003”, Bulzoni Editore, 2004, introduzione, traduzione e cura di Franca Bruera, con postfazione di Sergio Zoppi. Salah Stétié nasce a Beirut il 28 settembre 1929. Si forma dapprima al Collegio protestante, poi al Collegio San Giuseppe dei Padri Gesuiti e continua i suoi studi presso l'École Supérieure des Lettres di Beirut dove frequenta i corsi di Gabriel Bounoure. Tra il 1950 e il 1954 prosegue gli studi letterari a Parigi presso l'École des Hautes Études et il Collège de France; in questi anni stringe legami d'amicizia con Pierre-Jean Jouve, André Pieyre de Mandiargues, Giuseppe Ungaretti, Yves Bonnefoy, André du Bouchet e instaura rapporti di collaborazione con altre rilevanti voci della cultura contemporanea. Rientrato a Beirut, dirige il settimanale culturale "L'Orient Littéraire" e collabora al contempo alle principali riviste letterarie francesi, tra le quali "Les Lettres Nouvelles", "Le Mercure de France", "La Nouvelle Revue Française", "Europe", ecc. Diplomatico dal 1961, Salah Stétié è stato consigliere culturale del Libano presso le Ambasciate libanesi in Europa occidentale con sede a Parigi. Dal 1963 è stato nominato delegato permanente del Libano presso l'UNESCO. Ambasciatore nei Paesi Bassi, in Marocco, segretario generale del Ministero degli Affari Esteri a Beirut, Stétié affianca alla professione diplomatica un'intensa attività di poeta, saggista e critico d'arte. Nel 1995 ottiene dall'Académie française il Grand Prix de la Francophonie. È membro della Commission de Terminologie et de Néologie de la langue française. Continua a leggere "" Giovedì, 7 aprile 2016Jean-Jacques Viton - da Il commento definitivoPubblico qui qualche testo da un libro pubblicato qualche anno fa, nel 2009, e che ho letto nella sua interezza solo di recente, con un ritardo un po' colpevole perché ritengo che sia oggi indispensabile (e chi mi conosce sa quanto raramente usi questa parola), mentre era certamente necessario quando uscì. Si tratta de "Il commento definitivo- Poesia 1984-2008", antologia di opere di Jean-Jacques Viton a cura di Andrea Inglese (Ed. Metauro, 2009), che firma anche il bello e illuminante saggio introduttivo (che è possibile leggere per intero QUI), arricchita da una postfazione di Nanni Balestrini, 23 glosse ad un'autobiografia perduta di J.J.V. con omissis (...) voluti dallo stesso, in realtà una prova poetica in piena sintonia con l'autore a cui rende omaggio. Come ho detto altre volte in passato, ogni selezione - compresa questa ovviamente - è arbitraria e feroce, a maggior ragione nei riguardi di un autore come Viton. Cosa di cui Inglese è perfettamente consapevole quando scrive:"A partire dal tema del viaggio, ad esempio, ognuno dei libri citati costruisce non solo uno specifico percorso testuale, fatto di richiami e relazioni interne, ma soprattutto una propria modalità stilistica, ritmica e narrativa di definire il viaggio stesso. È quindi a livello del singolo libro e non del singolo testo poetico che si deve comprendere e valutare il lavoro di Viton. Ogni testo, che sia breve o lungo, è costantemente inserito in una rete di relazioni con le altre serie di testi (capitoli o sezioni). Questo fatto, di conseguenza, rende particolarmente delicata l’operazione selettiva di tipo antologico. Ciò che si rischia di perdere è la connotazione particolare che la serialità delle sezioni proietta su ogni singolo testo, privandolo dello sfondo di variazioni e riprese in cui è inserito".
Non ostante questo, cioè che quello qui trascritto non è Viton e non è solo Viton ma solo una sua "parte", una lettura anche forzatamente rapsodica di questo autore è oltremodo stimolante e coinvolgente, se si presta ascolto o si cerca di intravedere il "testo poetico ininterrotto" sotteso all'opera di Viton, la sua "mobilità perpertua del punto di vista" in una "prospettiva documentaria e allucinata" che prende in esame "l'evidenza idiota e opaca del mondo" e i suoi scarti, come puntualmente annota Inglese. Ho cercato pertanto di riproporre una intera sezione dell'antologia, credo mai pubblicata prima in rete, proprio per rendere per quanto possibile quella continuità a cui accenna Inglese. La sezione è tratta da Patchinko (2001), il cui titolo fa riferimento al noto flipper verticale giapponese. I titoli dei brani sono a tutti gli effetti delle indicazioni musicali, si suppone di "esecuzione" del testo da parte del lettore. Altri testi di Viton da "Il commento definitivo" sono reperibili QUI, QUI, QUI e QUI. Continua a leggere "Jean-Jacques Viton - da Il commento definitivo" Giovedì, 31 dicembre 2015Jacques Dupin - PoesieJacques Dupin (1927 - 2012) è considerato uno dei maggiori poeti francesi del secondo Novecento. Amico di René Char, che ha prefato il suo primo libro di poesie Cendrier du voyage, e di Joan Mirò, di cui è stato il biografo ufficiale, è autore di oltre venti libri di poesia, oltre ad essere noto come critico d'arte, un'attività che lo ha portato ad una lunga collaborazione con la nota Galleria Maeght ed a scrivere una decina di saggi sul lavoro di importanti artisti contemporanei che ha avuto modo di frequentare, come lo stesso Mirò, Alberto Giacometti, Antoni Tapiès e Francis Bacon autore nel1990 di un suo ritratto. E' stato tradotto in diverse lingue, tra le quali l'inglese da Paul Auster. In italiano sono apparsi: Massicciata (Scheiwiller), Nulla ancora, tutto ormai (Dadò), l’antologia Divenire della luce (Garzanti), tutti a cura di Delfina Provenzali e Comba oscura (Lietocolle) a cura di Gilberto Isella che si occupa da anni della sua opera e che recentemente ha tradotto e curato la raccolta Scarto (Lugano, Opera Nuova, 2011). Una sua interessante nota su Trasversale (v. QUI) La poesia di Dupin è connotata da una estrema asciuttezza, tanto da apparire talvolta impersonale, forse a causa (o per merito) di quell' "odio della poesia" di cui Bataille aveva scritto nel 1947 e che per Dupin equivale, secondo le sue parole, a "una salutare distruzione di scorie e roseti commoventi che fanno ostacolo alla vista e intralciano il passo nel cammino verso l'ignoto". E d'altra parte " la poesia non ha bisogno che di parole. Essa può esistere senza le parole. Fare a meno di tavolo, di carta, di pedana. Non ha nessun bisogno di essere vendibile, di essere leggibile. Si accontenta di poco, e di meno ancora. Essa vive di niente. O dell'aria del tempo. Del desiderio, e della morte. E del vuoto che la innalza…" Continua a leggere "Jacques Dupin - Poesie" Lunedì, 23 novembre 2015Jacques Réda (Lunéville, 1929) è un poeta, critico musicale e saggista francese. Ha diretto la Nouvelle Revue Française
dal 1987 al 1996. Oltre ad essere noto come inventore del verso di
quattordici sillabe, che - dice - deve essere letto a voce alta, come
tutta la poesia di cui valga la pena, Réda è considerato uno dei
maggiori poeti francesi d'oggi. È anche autore di racconti in prosa e
grande amante della musica, in particolare del jazz. È membro del
comitato di lettura delle edizioni Gallimard. Collabora regolarmente a Jazz Magazine dal 1963. Ha pubblicato svariate opere sul jazz, tra cui L'Improviste
(L'improvviso, 1980) che propone una lettura sensibile e poetica di
questo fenomeno musicale. E' autore di numerose raccolte di poesia, tra
cui Cendres chaudes (1955), Amen (1968), La Tourne (1975), Hors les murs (1982), Sonnets dublinois (1990) e
svariati altri, molti dei quali ispirati dalla città di Parigi e
dall'osservazione dell'ambiente circostante, che ama attraversare in
treno, in bicicletta o anche a piedi, raccogliendo le suggestioni anche
le più umili di un mondo percorso a piccola velocità. Réda cerca nella
casualità di incontrare qualcosa di apparentemente insignificante ma che
riveli poi non solo una nascosta bellezza, una "meraviglia" inattesa,
ma anche un significato più profondo, più universale. E' questa
l'ispirazione fondamentale della sua poesia, che appare di una voluta
semplicità, lineare, diretta e comunicativa. Réda ha vinto il Grand prix de poésie de l'Académie française, il Prix Goncourt de la poésie, il Prix Roger Kowalski-Grand Prix de Poésie de la Ville de Lyon. E' quasi del tutto inedito in Italia.
Continua a leggere "" Lunedì, 26 ottobre 2015Alcuni testi tratti da Les champs magnétiques,
l'opera scritta a quattro mani da André Breton e Philippe Soupault,
febbrilmente, a volte per otto o dieci ore al giorno, in circa otto
giorni tra il maggio e il giugno del 1919 e pubblicata l'anno seguente.
Appartengono alla parte "versificata" del libro, in gran parte composto
da brani in prosa, secondo una procedura di "scrittura automatica" che i
due avevano immaginato fin dal 1918, quando, ancora coscritti,
montavano la guardia di notte all'ospedale militare a cui erano
assegnati e passavano il tempo leggendo a vicenda a voce alta i Canti di Maldoror di Lautréamont/Ducasse, che sarà poi considerato come precursore del surrealismo. Libro di rottura, sotto molti aspetti, di una
"gioventù sacrificata" uscita dalla guerra con non poco disorientamento.
"Giro per delle ore intorno al tavolo della mia camera d'albergo",
scrive Breton negli Entretiens, "cammino senza scopo per
Parigi, passo le serate da solo su una panchina della piazza dello
Chatelet", in una indifferenza a cui non erano estranei che pochi amici,
tra cui Soupault, a cui Breton riconosceva una certa "gratuità"
nell'esercizio del pensiero. "Tra tutti i miei amici di allora mi pareva
essere quello meno contaminato dalla preoccupazione di un rigore
apparente, del tutto inconciliabile con il rigore reale che avevo la
volontà di instaurare". Una volontà di rigore che era prima di tutto di
natura sperimentale, come nota Philippe Audoin nella prefazione
all'edizione Gallimard. Era l'idea di un tentativo, come scrive Breton
nel Manifesto, di "ottenere da me stesso (...) un monologo di
un flusso più rapido possibile, su cui lo spirito critico del soggetto
non consenta di portare alcun giudizio, che non si ingombri, di
conseguenza, di alcuna reticenza, e che sia il più esattamente
possibile, il pensiero parlato". E' ciò che Breton chiama poi la scrittura automatica,
una scoperta accolta con l'entusiasmo (scriverà Breton nel commento del
1930 al testo) "di chi ha appena portato alla luce un filone prezioso",
entusiasmo che tuttavia non impedisce agli stessi autori di notare (con
"qualche fastidio") come si ottengano da questa scrittura "osservazioni
di una grande portata ma che si coordineranno e giungeranno ad una
conclusione soltanto in seguito". E' forse il riconoscimento di un
limite e può darsi di una volatilità, però non del tutto inopportuni, se
(scrive ancora Breton nel commento) "gli autori sognavano, o almeno
fingevano di sognare, di scomparire senza lasciare tracce". Tuttavia Les champs
rimangono un testo fondamentale, pure laddove possano apparire ostici o
addirittura manierati, anche se solo si considera il periodo storico e
culturale, già ricco di fermenti a cominciare dall'eredità che avevano
lasciato Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud e Verlaine e con l'irruzione
sulla scena di Freud e della psicoanalisi a cui certo la scrittura
automatica si collega. Quello che gli autori cercano è infatti "un
prodotto grezzo, l'espressione immediata di una realtà almeno
psicologica, se non spirituale, che viene opposta agli artifici dei
facitori di versi, foss'anche di versi liberi" (Audoin), e in questo
certo c'è in parte anche il lavoro di Mallarmé sulla depurazione del
linguaggio dalla sua mera funzione strumentale e comunicativa. E' la
ricerca di una voce selvaggia capace di dire di una realtà nel sogno,
nell'assurdo, nello stesso linguaggio, in cui l'io stesso,
confrontandosi con qualcosa di più profondo, viene messo in discussione.
E' il surreale, o l'immaginario, o il meraviglioso, in definitiva,
secondo Breton, tutto "ciò che tende a diventare reale". (g.c.) (Nell'illustrazione gli autori in due disegni di Francis Picabia (1920) - clicca sull'immagine per ingrandire) Continua a leggere "" Mercoledì, 2 settembre 2015Michel Deguy - Quattro poesie da Frammento del catastoQuattro poesie di Michel Deguy, uno dei maggiori poeti francesi contemporanei, tratte dal suo libro di esordio Fragment du cadastre (Frammento del catasto), pubblicato da Gallimard nel 1960, quando l'autore aveva 30 anni. I primi tre testi sono tratti dalla sezione Parcours en Beauvaisis (una delle zone della Piccardia), mentre l'ultimo è tratto dal Parcours breton, in un libro in cui la prosa poetica (a cui i francesci sono avvezzi più di noi) si alterna ai versi nella descrizione di una geografia fisica e mentale, di un "catasto" anche biografico, di una iniziazione alla poesia e alla scrittura "che non si stacca dall'enunciato della propria compatta finitudine perché solo tra i termini del finito può trovar luogo e contiguità fraseologica l'infinito" (Piero Bigongiari). Le traduzioni sono mie. (g.c.)
La campagna
Ho perduto la campagna
Color di fattoria e di melo
Il viale con i dieci solchi che percorrevano le pecore al ritorno
La colonia di vacanza dei castagni
dalle ginocchia lisce per saltare i terrapieni,
Le grandi manovre del grano
docile ai dolci contrordini dei pioppi,
I cavalli al lavoro,
La nuca inespressiva delle vacche.
E guidate dal faro alle falesie della sera
La squadra dei covoni e la flottiglia di nubi
Scia di stoppie e di stelle al porto salmastro del crepuscolo
Non rimangono al mio fianco
Che delle api elettriche, non altro.
Da Beauvais
La finestra
La finestra spaziosa quanto basta per chiamare a raccolta le stagioni.
Uscieri in stracci il larice
E l'acacia che in ritardo si spoglia
Conducevano alla mia finestra il cielo;
Sciabola sguainata i balconi del sole
E la terrazza militare
Scortavano la primavera.
In inverno
L'antico comignolo accelerava il vento
Provinciale
Il gasometro alla finestra
Il giardino senza prato
Gli alberi fucilati contro il muro
Un ruscelletto che Terreno ha nome
L'edicola sotto il palazzo
E i negozi che battono il marciapiede
E i caffè curvi di vetrine tatuate
E il commercio e la pubblicità
E le due torri che fanno reclame
Per un sottogola d'ardesia...
Al cantiere navale delle arcate
La cattedrale abbandonata:
In fondo alla sentìna il viandante clandestino
Da qui ricomincia l'impossibile traversata.
Agli spazzini ai ragazzi ai preti
Infinitamente sulla gran piazza il giorno.
Da Beauvais
L'estate
Al tempo della mia incredulità
Rondine sotto l'uragano di luce
Che assilla i confini e le sorgenti
Che svaria con la marea montante dei platani
Al tempo della mia incredulità
La bocca oscura delle pupille
I voraci pesci paralleli
Venivano a incollarsi stupefatti
Al grosso vaso della testa
Per inghiottire l'esca del mondo
Al tempo della mia incredulità
Con gli altri nuotatore nel leggero blu del gran vaso celeste
Ma che urtano nel soffitto del nostro al di qua
Nell'immenso tino dove ribolle la preveggenza
Al tempo della mia incredulità
Sentinella dei numeri al semaforo del cielo
L'estate scrivo un libro imperfetto,
Spettatore di vulcani iconoclasti
E del maleficio delle montagne che la terra circonda
Al tempo dell'incredulità
Un adulto in estate convinto del falso
E dell'uso del falso tra l'una città e l'altra
Un adulto che oscilla tra i limiti senza confini
D'un mondo antico e d'un mondo nuovo
Esplora l'Atlantide
Che l'odio ha sommerso dei suoi giorni
Al tempo dell'incredulità
Egli entra nella morte come si diventa pietra
Chiudendo le mani e serrando le palpebre
Cosi profondo che nella sua interiorità passa attraverso. Testi originali: Continua a leggere "Michel Deguy - Quattro poesie da Frammento del catasto" Giovedì, 23 luglio 2015 FOGLI D'IPNOS
I Per quanto possibile, insegna a diventare efficace, per il fine da raggiungere ma non oltre questo. Oltre questo è fumo. Dove è fumo è mutamento. II Non attardarti nel solco dei risultati. III Guidare il reale fino all'azione come un fiore accostato alla bocca acidula dei bimbi. Conoscenza ineffabile del diamante disperato (la vita). IV Essere stoico, è raggelarsi, con gli occhi belli di Narciso. Abbiamo censito tutto il dolore che il boia avrebbe potuto cavare da ogni fibra del nostro corpo; poi, col cuore nella morsa, ci siamo mossi e schierati. V Non apparteniamo ad alcuno se non al punto dorato di quella lampada a noi sconosciuta, a noi inaccessibile, che tiene desti il coraggio e il silenzio. VI Lo sforzo del poeta mira a trasformare vecchi nemici in leali avversari, ogni fertile domani essendo funzione dell'attuazione del proposito, specie là dove svetta, s'intrica, declina, è decimata tutta la gamma delle vele ove il vento dei continenti rende il suo cuore al vento degli abissi. VII
Questa guerra si prolungherà oltre gli armistizi, platonici.
L'installazione dei concetti politici proseguirà in modo contradditorio, nelle convulsioni e al riparo d'una ipocrisia sicura dei suoi diritti. Non sorridete. Bandite lo scetticismo e la rassegnazione e preparate la vostra anima mortale in vista d'affrontare intra-muros demoni di ghiaccio analoghi ai genii microbici. VIII Certi esseri ragionevoli perdono persino la nozione della durata probabile della loro vita e il loro equilibrio quotidiano quando in essi l'istinto di conservazione crolla sotto le esigenze dell'istinto di proprietà. Diventano ostili ai fremiti dell'aria e soggiacciono senza ritegno all'assillo della menzogna e del male. Si abbatta una grandine malefica, e andrà in briciole la loro trista condizione.
[...]
(traduzione di Vittorio Sereni)
PERCHÉ UNA FORESTA Perchè una foresta sia superba Ha bisogno d'età e d'infinito, Oh, non morite troppo presto, amici, Sotto la grandine della miseria, Abeti che dormite nei nostri letti Fate eterni i nostri passi sull'erba. LA VERITÀ VI RENDERÀ LIBERI Tu sei lampada, tu sei notte: Questa finestrella è per il tuo sguardo, Questa panca per la tua fatica, Questo po' d'acqua per la tua sete, I muri, i muri sono di colui che la tua chiarità mette al mondo, O detenuta, o Sposa!
(traduzioni di Giorgio Bassani) Continua a leggere "" Giovedì, 2 luglio 2015Jean-Pierre Duprey - Poesie J.-P. Duprey (1930-1959) è stato definito una "cometa tra le più
magnetiche della seconda metà de XX secolo" (Ch. Dauphin). Poeta,
pittore e scultore, dopo un'infanzia difficile con problemi caratteriali
e psichici e di anoressia, comincia verso i sedici anni a scrivere le
sue prime poesie, trasferendosi intorno ai diciotto, insieme alla sua
compagna Jacqueline Sénart, da Rouen a Parigi, dove inizia la scrittura
di Derrière son double, il suo primo lavoro in versi che invia
subito per posta ad André Breton. Il teorico del Surrealismo gli
risponde prontamente nel gennaio del 1949:"Lei è certamente un grande
poeta, e in più anche qualcun altro che mi intriga. La sua prospettiva è
straordinaria". Da quel momento la partecipazione alle attività e alle
pubblicazioni del gruppo surrealista si fanno intense, anche se
l'interesse creativo di Duprey si orienterà soprattutto verso le arti
plastiche e figurative. Le altre sue opere in versi di fatto usciranno
postume: La Fin et la manière (1965) e La Forêt sacrilège
(1970). Personalità complessa e sensibile, appassionata e accanita,
Duprey è tuttavia fragile ed esposto ai conflitti esistenziali ma anche a
quelli quotidiani, le continue liti con la moglie, le crisi dei nervi
che lo lasciavano distrutto. Anche la situazione politica di quegli anni
colpisce la sua sensibilità eccessiva. E' l'epoca della guerra
d'Algeria, riguardo alla quale gli intellettuali sentono pressante la
necessità di schierarsi, di prendere una posizione politica (basti
pensare, tra gli altri, a Sartre, Fanon, Camus). Duprey fa la sua
scelta, a suo modo: dichiara di voler "commettere un atto oggettivo
contro l'esercito impegnato in una guerra ingiusta piuttosto che
sottoscrivere delle prese di posizione intellettuali", dopo di che va a
pisciare sotto l'Arco di Trionfo, sulla fiamma del Milite Ignoto.
Arrestato e pestato ferocemente dalla polizia, passa qualche tempo in
prigione e circa un mese nel manicomio Sainte-Anne di Parigi. Viene
rilasciato il 30 luglio 1959 e si rinchiude in casa, dove si dedica al
suo ultimo lavoro letterario, La Fin et la manière. Il 2
ottobre 1959, dopo aver chiesto alla moglie Jacqueline di andare alla
posta per inviare il manoscritto a Breton, Duprey si impicca ad una
trave del suo studio di scultore.
Poesia onirica e fantastica, come si conviene ad un surrealista, ma di
un onirismo tenebroso e disperato, "nero", venato di ferocia e di fuoco,
e in cui la notte (una notte spesso popolata di inquietudini e di grida
come - secondo la testimonianza di Alain Jouffroy - quelle passate
nella cella a Sainte-Anne) e un sangue che scorre impetuoso si
affacciano sempre dietro una realtà spesso immaginata, spesso temuta,
sempre disvelata con il piglio di un giovane "homme révolté". Una
poesia, al di là dei pegni pagati ad una incurabile difficoltà di
vivere, libera nella sua sostanza e nella sua forma, che in alcuni testi
sembra, secondo Julien Gracq, "una Apocalisse arredata da De Chirico e
filmata da Bunuel". Una poesia vissuta intensamente e pagata a caro
prezzo. Con un silenzio definitivo e tuttavia significante, sottolineato
con l'invio a Breton, pochi minuti prima della morte, dei suoi ultimi
scritti. Come alla ricerca di una qualche posterità. (g.c.)
J.-P. Duprey, a parte qualche prova sparsa (v. ad es. QUI e QUI), è sostanzialmente inedito in Italia, o introvabile. Queste traduzioni fanno parte di un lavoro più complessivo tuttora in corso. (g.c.) Continua a leggere "Jean-Pierre Duprey - Poesie" Domenica, 18 gennaio 2015Mercoledì scorso è uscito su Floema, costola del progetto [dia*foria, un ebook di mie traduzioni da Ghérasim Luca, corredate da una nota introduttiva. L'ebook, scaricabile gratuitamente, è accompagnato da un articolo di presentazione, da video e da una performance in tema del compositore e cantante Stefano Luigi Mangia. Ringrazio Daniele Poletti e tutto l'equipaggio di [dia*foria per questa interessante collaborazione. Appunti per una lettura di Ghérasim Luca di Giacomo Cerrai
Ghérasim Luca non è solo una sfida
traduttiva e interpretativa, da cui non di rado si esce sconfitti o
insoddisfatti, ma rappresenta soprattutto una straordinaria esperienza
di lettura. Chi vi si accosta deve per prima cosa
accantonare l’idea, del tutto presuntuosa, di colmare una distanza con
l’autore attraverso la comunicazione. Luca aveva molto da dire, ma
sospetto che farsi capire fosse l’ultima delle sue preoccupazioni.
Doveva piuttosto agire per scostamenti e condensazioni, il suo scopo era
andare a vedere cosa ci fosse dietro la maschera – intesa anche in
senso tragico - della lingua, se vi fosse una sorgente non filtrata
della realtà. Doveva scoprire (denudare) il corpo della
lingua, rappresentarne la materia erotica, restaurarne la sonorità
pre-verbale e pre-nominale, doveva quindi (anche) sfuggire a
“l’incurabile ritardo delle parole” (C. Pelieu, ma ne aveva già parlato
Breton nel Manifeste du surréalisme del 1924), ovvero superare il gap tra formulazione
del pensiero ed espressione. Progetto quanto mai ambizioso, se si pensa
che è stato esperito per tutta la vita lavorando su una lingua “altra”,
non sua, alloctona, anche se fin da subito padroneggiata proprio nella
sua funzione più ardua, quella poetica. Un atto di coraggio, senza
dubbio, e una scelta così radicalmente diversa ad esempio da quella
dell’altro grande esule, il suo amico Paul Celan, per il quale il
francese rimase quasi sempre una lingua d’uso, poichè per lui
abbandonare la lingua della madre (e degli aguzzini di lei) avrebbe
equivalso, come sappiamo, ad abbandonare di nuovo la madre stessa. (la lettura prosegue QUI)
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