Venerdì, 27 gennaio 2017
Alcune poesie di Nelly Sachs (1891 - 1970), premio Nobel per la letteratura nel 1966, di religione ebraica, amica di Paul Celan, anch'essa sfuggita in extremis ai campi di sterminio nazisti passando in Svezia con l'aiuto di Selma Lagerlöf nel 1939. Ho scelto dei testi che parlano di quella tragedia senza tuttavia nominarne esplicitamente alcun riferimento, parlano di dolore e basta. Perché le memorie sono molte, spesso contraddittorie, e appartengono, devono appartenere a tutti. E tutte sono incastonate nel dolore, e il dolore è incastonato nella Storia. E poiché, come afferma Karl Popper, in realtà non c'è nessuna storia dell'umanità, c'è soltanto un numero illimitato di storie, così credo che ci sia un numero illimitato di memorie, moltissime delle quali atroci. Forse bisognerebbe istituire il Giorno delle Memorie, affinché si impari dalla Storia senza imparare troppo bene da essa, perché credo sia necessario operare, come recita il titolo di una poesia di Sachs qui non presente, "affinché i perseguitati non divengano persecutori". In fondo la memoria è come la paura, è buona e utile se salva la tua vita, o quella di qualcun altro. Bisogna tentare di capirlo, oppure ammettere, come dice ancora Sachs, che il secolo passato è "un salice piangente chinato sull'incomprensibile". (g.c.)
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Sabato, 9 maggio 2015
Dieter M. Gräf è nato nel 1960 e vive attualmente tra Colonia e Berlino, dopo aver vissuto a Roma, New York e Vézelay (FR). E' poeta, con all'attivo diverse raccolte, nessuna delle quali tradotta in italiano (mentre esistono diverse traduzioni in inglese), e numerosi premi internazionali, tra cui il "Villa Massimo" di Roma nel 2004. E' inoltre fotografo e traduttore. Le versioni qui presenti sono di Alessandro De Francesco, Angela Sanmann ed Elisa Biagini, che è stata a sua volta tradotta in altre occasioni da Gräf. Le quattro poesie qui pubblicate sono per così dire tutte "italiane", poichè rimandano a personaggi e luoghi del nostro paese (l'editore Giangiacomo Feltrinelli, Claretta Petacci, il Lago di Como, che a Claretta e Mussolini si ricollega attraverso un suono) che Gräf rilegge e ricompone, con occhio acuto e uno stile del tutto personale, in una realtà sotto molti aspetti diversa, collaterale (cioè come vista da una prospettiva inusuale secondo il senso comune) ma non meno "reale", anzi, come nella poesia su Claretta, drammaticamente iperrealista. Una realtà, quel che più importa, magari intrisecamente violenta ma che contiene una poesia, una poesia che si può estrarre e far risaltare, anche in ciò che è apparentemente impoetico. Un atteggiamento artistico che non è banalmente ottimista (c'è del "buono" in tutto), ma che ha semmai l'ottimismo della ricerca, cioè la fondata convinzione che sia possibile instaurare un rapporto "poetico" con la realtà la più disparata, e con le forme che sia essa che la stessa forma-poesia possono assumere. Ovvero, secondo Gräf, una poesia che attrae per la sua capacità di mostrare "qualcosa che per me prima non esisteva". E' sotto molti aspetti il concetto di post-poesia su cui molti stanno riflettendo in questi anni. Come afferma anche De Francesco in uno scambio epistolare con Gräf, non solo una poesia di ricerca ma anche una "poesia alla ricerca": "Ci sono, tra gli altri, due generi di poeti: coloro i quali scrivono dentro e a partire da un'idea di poesia stabilita prima di loro, e quelli che cercano di trarre dalla poesia esiti che normalmente la gente pensa che non riguardino (o anche non dovrebbero riguardare) la poesia stessa. Questa seconda 'categoria' è per me molto importante, e io penso che entrambi apparteniamo ad essa". (g.c.)
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Mercoledì, 22 agosto 2012
(...) Il lungo sguardo paziente; che è lo sguardo sulla realtà nei suoi multiformi aspetti - i personaggi, le situazioni e le conversazioni della vita quotidiana, gli animali, le piante, i paesaggi... che non rivelano nulla di se stessi al colpo d'occhio affrettato e superficiale al quale la vita che conduciamo spesso quasi inavvertitamente ci abitua. La ricerca poetica di Raimund è un allenamento dei sensi, un acuirsi delle percezioni (non è un caso che i riferimenti ai sensi — e non solo alla vista e all'udito — siano così frequenti nella sua poesia), un'interrogazione al mondo e sul mondo. Una poesia quindi che, nonostante la grande sapienza verbale, si propone non solo come arte del dire, ma come arte del percepire e del conoscere. In questo tipo di tensione conoscitiva sta, io credo, uno dei sensi più profondi della poesia di Raimund (...). (Augusto Debove)
27 Agosto, di Notte
Sediamo sulle sedie scanalate nella cucina buia. Tu parli e fumi; la brace punteggia di rosso le tue frasi che girano in circolo.
I rami davanti alla finestra imbellettano i vetri, i muri, il soffitto, pennellano la cucina, tratteggiano la credenza; al Neon del lampione scintilla
il rubinetto, che perde sempre. Allibisco: il riguardo nelle tue frasi mi sconcerta, è così interamente privo di compassione. Spiegazioni sottili,
trasparenti, si scheggiano sulle mie labbra come vetro. Mi vergogno, sonnolento, sbadiglio e dico: domani - ho paura - di nuovo con sulla lingua un sapore amaro
mi sveglierò, e pesanti giù mi ricadranno le palpebre. Tu dici: non fa proprio niente, se solo questa notte portasse la svolta.
27 August. Nachts
Wir sitzen auf den gerippten Sesseln in der finster Kuche. Du sprichst und rauchst, rot punktet die Glut deine Kreisenden Sätza
Die Aste vor den Fenster schminken die Scheiben, die Wände, die Decke, bepinseln den Herd, stricheln die Kredenz, im Neonlicht der Strassenleuchte glitzert
der Wasserhahn, der stetig tropfende. Ich staune, die Rücksicht in deinen Sätzen verwirrt mich, ist sie doch ganz ohne Erbarmen. Erkarungen, durchscheinend
dunn splittern wie Glas von meinen Lippen. Ich schäme mich schläfrig, gähne und sage, ich furchte, morgen fruh werde ich wieder mit einem bitteren
Geschmack auf der Zunge erwachen, und schwer werden die Lider mir fallen. Du sagst, das mache gar nichts, wenn nur diese Nacht die Wende bringe.
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Lunedì, 14 novembre 2011
Nel 1947-48, nel corso del lungo viaggio
che lo porterà da Czernowitz a Parigi dove arriverà in Luglio, Paul
Celan incontra a Vienna Ingeborg Bachmann, poco più che ventenne. E'
l'inizio di una relazione intensa: "Lo stretto e intimo legame con la
Bachmann, su cui entrambi mantennero sempre un riserbo impenetrabile,
parla in maniera inequivocabile nei testi di entrambi. A lei Celan
dedica le liriche scritte a Vienna, tra le quali forse la più preziosa è
Corona, nella quale l'amore si coniuga con all'oblio, «wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis»
(«noi ci amiamo come papavero e memoria»), e la speranza combatte
tenacemente il silenzio della pietra, in una tensione che sconfina
nell'utopia. La poesia della Bachmann Die gestundete Zeit (Il tempo differito), che dà titolo al suo libro del 1953, potrebbe essere letta come una risposta amara, nel fallimento della speranza, a Corona. E ancora nel romanzo Malina del
1971, all'indomani del suicidio di Celan - di lì a poco anche la
poetessa perirà in maniera cruenta - la figura dello «straniero» che
viene dall'Est, il cui popolo «è il più vecchio di tutti i popoli ed è
disperso nel vento», rimanda esplicitamente, anche nella descrizione
fisica, a Celan" (Mario Specchio).
Dopo
pochi mesi Paul riparte per Parigi, sua destinazione finale e suo
destino. Ma la relazione affettiva non si interrompe. Nel 1949 Ingeborg
raggiunge Paul in Francia, dove intreccia con il poeta un legame
passionale che brucerà nel giro di un paio di anni, ma che non si
interromperà mai del tutto, anche dopo che ciascuno dei due avrà trovato
altri compagni (Max Frisch lei, Gisèle de Lestrange lui), con ritorni
di fiamma (come nel 1957, sempre a Parigi) e soprattutto un fitto
scambio epistolare (Troviamo le parole, Ed Nottetempo, 2010),
in cui progressivamente il confronto diventa poetico, si fa letteratura,
scambio reciproco di influenze, ma anche ricognizione del progressivo
scivolare di Celan nel suo personale gorgo di dolore, rimorsi, rimpianti
inconciliabili. Anche se l'ultima lettera è del 1961, a parte quelle
mai spedite, il legame è radicato. Poco dopo il suicidio di Celan,
gettatosi nella Senna nel 1970, Ingeborg annota in margine al
manoscritto di Malina: "La mia vita è alla fine. Lui è affogato, trasportato nel fiume, lui era la mia vita".
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Giovedì, 8 settembre 2011
Dopo il romanzo "L'uomo senza radici" era necessario per me leggere anche la poesia, non meno eccellente, di Dieter Schlesak, in questa bellissima antologia a cura di Stefano Busellato, Settanta volte sete,
edita da ETS, Pisa 2006. Frutto del lavoro di un "conciliabolo" di una
quindicina di traduttori, supervisionato dallo stesso autore che ne ha
approvato la forma definitiva, il libro rappresenta insieme la prima
antologia e la prima traduzione italiana del lavoro poetico di Schlesak.
Il titolo, che certamente l'autore ha approvato, gioca tra un rimando
alla risposta evangelica di Gesù a Pietro ("Signore, quante volte dovrò
perdonare mio fratello se pecca contro di me, fino a sette volte?" "Non
ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette", vale a dire
sempre. e l'allusione ad una
inestinguibile sete di vero e di significato dell'esistenza, di cui
Schlesak è insieme schiavo e cantore, nello stesso tempo feroce critico e
appassionato indagatore, e con la quale bisogna confrontarsi sempre e
per sempre, primo precetto e impegno di un poeta.
"Un'opera che pone al centro la parola, ma che a un tempo si muove
nella sua periferia; che la carica di un'attenzione microtonale,
maniacale a tratti, poiché nutrita dalla consapevolezza che essa è
soltanto un segno, non reificazione dell'autoreferenza. Come l'oracolo
di Delfi, quando è portata alle sue massime tensioni espressive essa non
dice, indica, accenna a una dimensione extralinguistica verso cui la
parola vuole tornare perché da là proviene. (...) Una poesia che
certamente spiacerà a coloro che cercano nel verso una ghirlanda di
parole con cui abbellire il dato di fatto. Il reale, al
contrario, è posto sotto una critica tagliente che affonda fin nelle
radici dalle quali esso trae il proprio mortale nutrimento: nel razionale,
nella concatenazione sistematica e grammaticale che forma un'omogeneità
fenomenica fasullamente impermeabile a ogni condizionale e che già
Parmenide smascherava dicendo essere «tutte e soltanto nomi le cose che i
mortali hanno stabilito persuasi che fossero vere». (...) Dolore,
storia, lucido sguardo sul presente che per Schlesak soffiano come
sinonimi da uno dei più importanti mantici della propria poetica - la
tematica dell'esilio. Dapprima subito come fuga dal regime
comunista, poi scelto come espatrio volontario per non restare preda di
una qualsivoglia carta che pretenda di inscrivere un'identità. L'esilio
passa da dato biografico a categoria esistenziale. (...) ed ecco che
dopo la dissidenza rispetto alla dittatura rossa, inizia un diverso
esilio, la scoperta di un assolutismo ancora più rigido ed endemico -
comincia la resistenza alla dittatura capitalista. Maggiormente
schiacciante questa perché priva di riferimenti diretti da poter
colpire, perché "microfisica", un assoggettamento che prende il volto di
ciascun assoggettato, e non c'è schiavitù peggiore di quella che fa
credere al forzato di essere uomo libero. (...) Per Eliot «il dovere del
poeta è far affiorare la poesia dalle risorse inesplorate del non
poetico», le liriche di Schlesak sono uno sguardo su quanto di meno
poetico sia dato a vedere, sono un non volere chiudere gli occhi
sull'essenza grettamente prosaica dell'esistenza estraendone ragioni per
una resistenza poetica che come Michelstaedter non si persuade «essere
vita la qualunque vita si viva»". (dalla prefazione di Stefano Busellato).
Da leggere anche la recensione di Fortuna Della Porta su "Senecio" (reperibile QUI)
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Martedì, 28 dicembre 2010
Un importante poeta tedesco (dell'allora Germania dell'Est, da cui fuggì nel 1979) che quando lo lessi, una trentina di anni fa, mi piacque molto. I testi qui riprodotti nella traduzione di Giorgio Cusatelli, sono tratti da Unterwegs nacht Utopia (In Viaggio verso Utopia, 1977), che ignoro se siano stati poi compresi in qualcuna delle pubblicazioni italiane di Kunert. Recentemente le edizioni Kolibris di Chiara De Luca hanno proposto Il vecchio parla con la sua anima, trad. di Luca Viglialoro (v. qui la documentata recensione di Roberto Corsi). Altre poesie sono reperibili su "La dimora del tempo sospeso" (v. qui), nella traduzione di Vincenzo Gallico, alla cui nota introduttiva rimando. L'utopia a cui allude il testo è quella della costruzione del socialismo nella ex DDR, verso cui Kunert è sempre stato critico assegnando alla poesia "un'area ideologica e una misura tonale significativamente estranee alla situazione coltivata dal regime" (Cusatelli). Attitudine che, nella sua universalità, rende la poesia sospetta agli occhi di qualsiasi regime.
PROGRAMMI DI VIAGGIO
Programmi di viaggio: ah sì alle radici dei salici più vecchi dove si compie la salvezza e avviene la metamorfosi
forse nell'ambra che chiara ci farebbe da corazza ma mouche per questo però c'era da alzarsi prima
oppure ai varchi tra legno e legno dove troviamo insetti più solerti che a casa
E qui punto
Meglio ancora nella tana nella serratura nella cruna dell'ago dappertutto andiamo andremo dove si stia sicuri dal tempo variabile e da geli così dai dolci intrighi e dagli errori ostinati dei papi dove nessuno con la bibbia appena ti levi su ad una chiazza immota ti riduca nei secoli dei secoli: ad angelo che fu.
NOTIZIE DALLA PROVINCIA
Le devastazioni più gravi arrivano sotto la superficie e restano dapprima invisibili. Sprofondati i luoghi di tanti incontri. Cave a gradoni in mezzo alle pianure non scandagliate. A tumuli cresce l'erba ma sotto stanno giusto tombe. Facciate ancora ma dietro le tendine già niente. E al legno assente speculativa aderisce l'impiallacciatura. Vero non è più niente: apri la porta e non ti trovi in nessun posto. Apri un libro e non contiene che parole. Un velo ormai tuo fratello e si muove intorno leggero come certa carta. Quando s'aprono i frutti cadono mondi che mai fioriranno: le fatiche della devastazione hanno raggiunto il nocciolo che appare quasi un cervello minuscolo tra pollice e indice facile da sbriciolare.
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Venerdì, 8 gennaio 2010
Leggevo giorni fa su La Repubblica una notizia che mi ha richiamato qualcosa alla memoria. Il 10 gennaio prossimo debutterà a Roma Opfergang ("Immolazione"), il dramma in musica su testo dello scrittore austriaco Franz Werfel (il poema "Das Opfer", 1913), scritto dal musicista Hans Werner Henze su commissione dell'Accademia di Santa Cecilia. Per chi non lo sapesse, Henze (cito da Repubblica) "è l' ultimo gigante musicale che abbia percorso il secolo delle avanguardie. Oggi, a 83 anni, attivo e generoso di successi, è il musicista più eseguito al mondo, considerato una specie di monumento vivente in gran parte d' Europa". Da moltissimi anni vive in Italia, in una casa vicino a Marino, la sua musica (potete ascoltare qualcosa di suo, se volete, qui) ha colto spunti da Kafka, Holderlin, Mishima, adesso Werfel.E hanno scritto libretti apposta per lei autori quali W. H. Auden e Ingeborg Bachmann. Ecco il mio richiamo mnemonico: Ingeborg Bachmann, grande poetessa, con cui Henze ha condiviso per molti anni non solo l'arte ma anche la vita e l'amore, fin quasi all'anno della tragica morte di lei, avvenuta a Roma il 17 ottobre 1973 in circostanze ancora non del tutto chiare. Ed ecco quindi che sono andato a ripescare, in un vecchio libro di oltre vent'anni fa, qualcosa che mi era piaciuto.I testi sono tratti da I. Bachmann - Poesie, Guanda 1988, Trad. Maria Teresa Mandalari
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