Luigi D'Alessio - Louis - RPLibri 2017
Chi è Louis e che cosa cerca? E' una battuta ma
anche una domanda legittima, poiché Louis non è solo il titolo di questo
libro (esordio promettente della collana Poesia di RPLibri), ma è
soprattutto la presenza percussiva che si affaccia da ogni singolo testo di
questo libro e ogni volta si presenta indirettamente come personaggio
("Louis una sera...") o viene presentato ("Louis mi disse..."). E una delle
prime conseguenze per il lettore è che, essendo Louis sempre in scena,
perde di importanza il prima e il dopo nella sequenza delle cose e dei
testi medesimi, e non è un caso che come struttura questo libro non
presenti alcuna ripartizione in sezioni. Se da una parte, paradossalmente,
questo facilita le cose al lettore, libero da ogni sequenza, dall'altra
sembra calare le evenienze, gli avvenimenti ecc. in un tempo
indifferenziato nel quale gli eventi si manifestano come puri accidenti
incastonati in quel tempo medesimo, dal quale peraltro sono impossibilitati
a sfuggire. Accidenti che però "significano" e che, verso dopo verso,
finiscono per costruire, per punti e linee, un quadro, un insieme organico,
e quindi a tutti gli effetti un poema. Ed anche una storia, se si prendono
in considerazione sia l'uso costante di tempi verbali al passato che
determinano la "chiusura" e il sigillo degli eventi, sia il ricorso ad una
brevità aforistica dei testi che non concede margini né repliche e che dà
al tutto un'aria vagamente mitica. Così è, insomma, come una vita marcata
non tanto da epifanie, ovvero rivelazioni o agnizioni, quanto da conferme,
capisaldi, elaborazioni di evidenze guardate con occhio intellettualmente
smagato e forse un po' autotelico (c'è dietro questa scrittura una cultura
non indifferente e cosciente di sé che si esplica e si annota). La
registrazione del passato tuttavia, poiché disposto in frammenti, non è
necessariamente lineare, né impedisce, almeno come affascinante ipotesi, la
riscrittura e forse la revisione della storia stessa.
Louis e Luigi sono la stessa persona? Sì e no, ovviamente. Da una parte c'è
l'artificio di un non dichiarato eteronimo (in effetti non sappiamo davvero se e chi), dall'altra c'è la messa in gioco
dell'immaginazione, senza la quale nessuna opera d'arte è data. Possiamo
definire Louis un deuteragonista di un Luigi che passivamente ascolta o
registra, ma è più probabile che sia uno stratagemma, un camouflage
dell'io, un io forse antilirico e defilato e tuttavia abbastanza lontano
dal "tu" impersonale e proiettato su una parete che si trova in tanta
poesia nostrana, e questa distanza lo dota di una notevole originalità. Uno
scambio tra personae che alla fine, a pensarci bene, risulta
essere un io aumentato, un super io capace di scendere a maggiori
profondità. E che non è, per stabilire un confine, un doppelgänger
, un altro da sé di diversa polarità, il villain che dice cose che
Luigi non direbbe, anche se Louis talvolta prende il sopravvento, una
specie di superiorità intellettuale, di acribia ("Louis pronunciò quella
parola / spiegando la differenza / tra maiuscolo e minuscolo. / Come fossi
scemo scrisse Tempo e accanto tempo"). D'Alessio, che certo ha letto Borges (che vi si ritrova in certe circolarità labirintiche)
e anche Pessoa, deve aver ragionato sulla questione dell'eteronimo,
ritenendola insoddisfacente ("Louis cercò lungamente / - ma Louis disse a
lungo / un eteronomo. / Non lo trovò. / Louis si convinse di aver perso /
una opzione della morte") e Valentino Fossati, nella post fazione, afferma
che Louis "non è un alter ego in senso stretto...ed è limitante definirlo
escamotage e finzione". Lasciamo la questione aperta, ma diciamo di
inquadrare Louis almeno come deus ex machina, o macchina soltanto, inteso
come macchina teatrale. Su un paio di cose direi di essere d'accordo con
quanto dice Fossati più o meno esplicitamente: una riguarda il rapporto
diciamo psicologico tra l'io che scrive (non necessariamente
l'io/personaggio) e il personaggio Louis il quale permette di superare "il
pudore dell'abbandonarsi, del rivelarsi, ma anche del proprio stesso
(confessabile) narcisismo". E forse soprattutto, aggiungerei, di allargare
il campo dell'immaginazione e della fantasia/fantasticheria (si vedano gli
incontri/citazione di personaggi noti). L'altra annotazione riguarda un
elemento anche per me interessante, ovvero una doppietà diegetica (una voce
"dentro" e una voce "fuori", dislocazione di episodi, ecc.), e anche una
struttura a flash o scene brevi di una certa somiglianza con il linguaggio
per immagini cinematografico (Fossati a titolo di esempio cita
opportunamente Tarkovskij), qui riferibile soprattutto a "frammenti di
pensiero [che] sovrapponendosi, assemblandosi, diventano intercambiabili".
Si tratta, tutto sommato, di un atto di semplificazione, di semplificazione
della complessità, proprio a partire dal linguaggio, diretto, privo di
fronzoli.
Ma di che cosa parla Louis? Diciamo che parla principalmente del suo essere
al mondo, delle ragioni del suo essere al mondo, in altre parole di
esistere, di una sua autonomia rispetto alle stesse ragioni della sua
"invenzione". Attraverso il dialogo, peraltro molto sbilanciato a favore di
Louis rispetto all'io che qualche volta si affaccia, Louis racconta a
Luigi, a volta con toni surreali, i suoi pensieri, le sue considerazioni, i
suoi incontri intellettuali, i suoi amori, le sue "fissazioni" ("Louis
fotografava porte. / Più di una volta Louis / intraprendeva viaggi / per
fotografare porte") che a loro volta generano nuclei di pensiero, "schegge"
papiniane o aforismi peraltro spesso lasciati "aperti" in finali (o
"inattese uscite") che sembrano saltare qualche step di senso rimandando a
significati "altri" ("A Louis poi gli parlarono / dei neuroni specchio.
Così / Louis si convinse / di poter amare pure senza Dio") o a tautologie che nascondono una fascinazione logica: "L'ultima volta che vidi Louis / fu l'ultima volta che ci vedemmo". Testi insomma
che traggono molta della loro forza da brevità e sublimazione,
condensazione e spostamento, e da una scrittura lieve e robusta insieme. In
essi, e nella loro duplicità, si manifesta, si consuma e si esaurisce
soprattutto una serrata schermaglia con l'esistenza e il suo epilogo, con
la morte quasi mai nominata (se c'è somiglia a un indeterminato svanire, come
quello di Louis alla fine del libro: "alla fine Louis alla fine / era come
uno sperso Valéry"; "Louis alla fine ricordo mi disse / Louis non mi disse
niente"). Il doppio, comunque lo si voglia definire, è anche la possibilità (potestà)
autoriale del sacrificio, un agnello Louis da condannare al silenzio al
posto di Luigi. (g. cerrai)