Giovedì, 11 ottobre 2007
Nella convinzione che la poesia non sia solo (o forse non sia più) una attività autogenerantesi, un frutto dell'ispirazione, un impeto che proviene da dentro, ma anche (o forse sopratutto) una meditazione, uno sforzo di comprensione e di lettura del mondo, una riflessione filosofica sull'uomo, la realtà, il loro linguaggio, ho tentato più di una volta di inserire nel blog qualche spunto di riflessione (o di "disturbo" rispetto al mero scorrere della versificazione, mia o di altri). Non ho la minima idea se la cosa abbia avuto riscontri, perchè a parte la conta degli accessi, non ci sono stati commenti significativi (e sospetto che questo dipenda più dalla fretta che ormai domina sui blog che da altro). Ma a parte ciò resto nella convinzione che valga la pena soffermarsi a leggere, magari velocemente, parole di altri. L'ho fatto ad esempio con Geoffrey O'Brien su Eliot (qui), con Fortini (qui), con Jervolino su Steiner e la traduzione (qui), oltre a riflessioni mie, come ad esempio qui e qui. Lo faccio anche ora ripubblicando una sintesi, di cui ringrazio l'autore Diego Fusaro, del pensiero di Hans Georg Gadamer, il padre dell'ermeneutica moderna, su poesia e verità. Segnalo anche, per completezza, il bel post di Francesco Marotta su "La poesia e lo spirito" del 13 maggio scorso (qui), con i relativi interessanti commenti.
IL TESTO
Sabato, 8 luglio 2006
Il lavoro del poetadi Amy Lowell
 Nessuno si aspetta che un uomo costruisca una sedia senza prima imparare a farlo, ma c'è il luogo comune che poeti si nasca, non si diventi, e che i versi prorompano da sè da un cuore traboccante. Effettivamente, il poeta deve imparare il suo lavoro nello stesso modo, e con la stessa coscienziosa attenzione, di un ebanista. Il suo cuore può certo traboccare di alti pensieri e scoppiettanti fantasie, ma se egli non sa comunicarli al suo lettore per mezzo di parole scritte non può pretendere di essere considerato un poeta.Un artigiano può essere scusato, perciò, se spende qualche momento per spiegare e descrivere le tecniche del suo lavoro. Un'opera di bellezza che non sa reggere un esame approfondito è una cosa povera e scadente. Per prima cosa, vorrei affermare la mia ferma convinzione che la poesia non dovrebbe tentare di insegnare, che essa dovrebbe esistere semplicemente perchè è una creazione di bellezza, anche se la bellezza qualche volta di una grottesca gotica. Noi non chiediamo agli alberi di darci insegnamenti morali, e solo l'Esercito della Salvezza sente la necessità di affiggere testi su di essi. Noi sappiamo che questi testi sono ridicoli, ma molti di noi ancora non vedono che scrivere un ovvio insegnamento su un'opera d'arte, pittura, statua, o poema, è non solo ridicolo, ma incerto e grossolano. Noi diffidiamo di una bellezza che capiamo solo a metà, e ci lanciamo con i nostri impertinenti suggerimenti. Quanto lontani siamo dall' "accettare l'Universo"! L'Universo, che dispiega i suoi continenti e i mari, e li lascia senza chiose. L'arte è altrettanto una funzione dell'Universo quanto una corrente equinoziale, o la legge di gravità; e noi insistiamo nel considerarla semplicemente un piccolo lavoro di traforo, o di poca importanza se non è costellato di chiodi a cui poter appendere opinioni carine ed edificanti! (trad. G.Cerrai)
Mercoledì, 18 gennaio 2006
Dice Massi nissa, nel "Somnium Scipionis" di Cicerone: "Sono grato a te, Sole eccelso, come pure a voi, altri dèi celesti, perché, prima di migrare da questa vita, vedo nel mio regno e sotto il mio tetto Publio Cornelio Scipione...".Anche nel De Finibus Bonorum Et Malorum Liber Primus Cicerone, a proposito del suicidio, parla di "migrare de vita". Il sapiente non esita, dice, se pensa che sia meglio. Che fine sottigliezza, che gentile sfumatura... L'anima è un uccello che se ne va verso un ignoto Sud...E' in questa leggerezza, forse quella di cui parlava Calvino, che a volte si sviluppa una scintilla poetica, anche dove meno te la aspetti.
Domenica, 30 ottobre 2005
Pubblico qui un’intervista già nota rilasciata alla Rai da Franco Fortini sulla poesia e sul suo significato. Il testo risale al 1993, ma le idee di Fortini ne emergono con la forza della sua brillante intelligenza, intatte nel loro smalto ed ancora assolutamente attuali. Nella nota poesia “Traducendo Brecht” Fortini chiude dicendo “...La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.” Il che fa sperare, anche ai modesti poeti come noi, che la poesia, in fondo, serva a qualcosa...
INTERVISTA
1 Professor Fortini, proviamo ad iniziare in modo diretto, immediato, con la domanda essenziale: che cos’è la poesia?
Rispondere è come se si volesse rispondere a "che cos’è l’uomo" o a "che cos’è il mondo". Bisogna aggirare la difficoltà. Ammettendo che si sappia che cos’è il linguaggio articolato di cui ci serviamo e quali sono i diversi aspetti, le diverse funzioni che coesistono in ogni atto del linguaggio, si può dire che nel linguaggio umano c’è una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l’attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa è la funzione poetica.
Certo bisogna tener presente che quando si parla di poesia questa parola significa due cose: da un lato, appunto, un tipo particolare di discorso parlato o scritto che si distingue da altri modi di comunicazione; dall’altro, invece, un’attribuzione di valore per cui si dice "poesia" per dire qualcosa di bello, di importante, di riuscito, di meritevole di stima o di attenzione.
Nel parlare comune, "poesia" significa due cose: per un verso è un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo "questa è poesia" intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc.
Facciamo un esempio. Se io dico: "Madre dei santi, immagine della città superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna" ecc. - con quello che segue nella Pentecoste del Manzoni - posso dare importanza al ritmo, ai gruppi di sillabe, al sistema di accenti e di rime e naturalmente posso anche sapere, oppure qualcuno ce lo spiega, che in questo caso l’appello è diretto alla chiesa cattolica. Invece se io dico: "Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne è uno, tutti gli altri ne han trentuno", anche qui trovo ritmo - infatti sono quattro ottonari - e trovo delle rime.
Insomma, se devo chiedermi come classificare l’inizio di una delle più famose composizioni letterarie della lingua italiana, oppure di un soccorso mnemonico come quello che ci vuole informare di quali siano i mesi che hanno trenta o trentuno giorni non c’è dubbio che l’uno e l’altro devono essere considerati in questo senso: poesie o testi poetici. Si potrebbe obiettare che nell’un caso ci sono delle parole desuete, arcaiche, solenni, nell’altro caso no. Ma non è del tutto vero perché, per esempio, nel testo manzoniano ci sono delle parole come "superna" oppure delle inversioni - si dice: "del sangue conservatrice" invece che "conservatrice del sangue"- ma anche nel proverbio rimato troviamo per esempio delle parole in disuso come "dì", oppure delle abbreviazioni o troncature come "april" invece di "aprile".
Ecco, è a questo punto che viene avanti il secondo significato correntemente attribuito alla parola "poesia". Nel primo caso c’è un oggetto sublime; si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo e poi soprattutto non ha nessun senso isolare questi primi versi che ho letto da quelli che seguono; mentre nella seconda è una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria. Ora qui dobbiamo decidere: ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione, sospendendo per il momento ogni giudizio di valore ?
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