Lunedì, 11 agosto 2008
E' partito in Toscana proprio in questi giorni e si concluderà il 4 ottobre "Il mondo in verso", ciclo itinerante di esibizioni di poeti improvvisatori organizzato dall'Accademia dell'Ottava Rima (v. informazioni e programma qui). Per i "forestieri" (cioè i non toscani, ma la poesia improvvisata non riguarda solo la Toscana) e comunque per coloro che non avessero familiarità con la cosa aggiungo qualche elemento, probabilmente già noto. Cominciamo col ricordare che il nucleo essenziale di questo tipo di espressione è rappresentato dalla forma stilistica obbligata, che è quella dell'ottava o ottava rima o stanza, una strofa di otto endecasillabi a rima alternata (AB) per i primi sei e baciata (CC) per il distico finale (l'ottava denominata "toscana", con la sua eventuale variante "siciliana" che si differenzia per il solo fatto di avere una rima alternata (AB) fino in fondo). Si tratta di un metro con attestazioni risalenti al Duecento, usato dal Boccaccio (ad. es, nel Ninfale Fiesolano) e altri, ma portato alla sua massima espressione dai grandi poemi del Tasso e dell'Ariosto, che hanno sfruttato al massimo l'ampio respiro e la potenzialità narrativa dell'ottava. Sono queste caratteristiche, infatti, che ne hanno fatto poi un metro popolare, tanto da eclissare nelle espressioni non colte la terzina dantesca: la capacità cioè dell'ottava di raccontare, rivestendo la narrazione anche di epos, le storie o la Storia, i grandi fatti e gli episodi che hanno interessato una piccola comunità, oppure parti intere mandate a memoria della Gerusalemme liberata o dell'Orlando furioso. Raccontare anche in forma cantata, raccontare in famiglia intorno al fuoco o viaggiando da un borgo all'altro, svolgendo inoltre una rilevante funzione non solo di diffusione culturale ma anche di coscienza sociale e politica quando si affrontavano i temi del lavoro e delle lotte operarie e contadine. Anche senza scomodare vecchi schemi si può dire che non ostante il diffuso analfabetismo esisteva un buon grado di interazione tra cultura e popolo, veicolato oltre che dalla stampa popolare anche dalla oralità di alcuni che recitavano nelle aie e nelle osterie in cambio di un bicchiere di vino, cosa che, sia detto senza ironia, molti farebbero volentieri anche oggi.
Sulla struttura metrica dell'ottava si innestava e si innesta non solo una produzione letteraria vera e propria, ma anche, come si diceva, l'antica arte della improvvisazione ancora viva in Toscana e in altre parti dell'Italia Centrale. Improvvisazione che si svolge a partire da un tema, a volte proposto all'impronta dallo stesso pubblico, e che si sviluppa a braccio all'interno del modulo stilistico obbligato. Si tratta, per dirla in termini poeticamente aggiornati, di una sorta di slam, con la differenza sostanziale (e la conseguente maggiore difficoltà) che come ovvio nella improvvisazione ci vuole non solo dimestichezza con il modulo compositivo, ma anche velocità di ideazione ed esecuzione, aderenza al tema, brillantezza espressiva. Questo vale ancora di più se l'improvvisazione di svolge "a contrasto" (inutile dire che anche il contrasto ha antenati illustri, come Cielo d'Alcamo e Jacopone da Todi), ovvero una tenzone tra due poeti che si esprimono alternativamente (uno svolge la sua opinione nei primi quattro endecasillabi, l'altro gli risponde - appunto - per le rime), su temi politici o religiosi, amorosi o filosofici.
Lunedì, 31 dicembre 2007
Pubblico, a sigillo del 2007, una poesia che l'amico Francesco De Girolamo, poeta già apparso altre volte su questo blog, mi ha inviato qualche tempo fa, accompagnata da una mail in cui, coerentemente, riafferma la sua convinzione sulla necessità di combattere (cito) la "rimozione", così equivoca e sommaria, del lirismo, il vero lirismo, non lo stereotipato "poetichese", spesso calco inerte d'ascendenza stancamente tardo romantica, o di un "ectoplasmatico", piuttosto diffuso, neo-decadentismo di maniera, o addirittura espressione di un' enfatica sontuosità mito-poietica, ibrido frutto di estrema "improntitudine" scolastica, così anacronisticamente "rimasticato" e fieramente riproposto in versi goffamente "cassicheggianti". Questo testo, articolato e musicale, che non ha imbarazzi nell'uso attualizzato del verso libero e nel recupero di stile e sintagmi che possono apparire ormai desueti e su cui si può criticamente dibattere, ma della cui ricerca di un sentire onesto niente affatto antimoderno non è lecito dubitare, esprime degnamente la posizione di Francesco. Spero che ne scaturisca una discussione di cui sarei felice, anche in vista di un prossimo post in cui cercherò di chiarire il mio personale punto di vista sull'argomento. Un augurio a tutti di un proficuo 2008.
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Lunedì, 3 settembre 2007
"Parole per il nuovo anno": "Tradizione e talento individuale” di T. S. Eliot
di Geoffrey G. O'Brien (*)
La memoria rigetta e dissecca
Un ammasso di cose distorte;
Un ramo curvo sopra la spiaggia
Tutto consunto e polito
Come se il mondo portasse in superficie
Il segreto del suo scheletro,
Rigido e bianco.
“Rapsodia su una notte ventosa”
...c’è solo un momento
Trascurato, il momento dentro e fuori del tempo,
L’attimo di distrazione, perso in un raggio di sole,
Il timo selvatico non visto, o il lampeggiare dell’inverno
O la cascata, o musica così profondamente ascoltata
Che non è udita affatto, ma tu sei la musica
Finché la musica perdura.
“The Dry Salvages”
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