Domenica, 2 dicembre 2012 Come un mantra sacro: Reversibilità di Abele Longo
La copertina della raccolta di poesie di Abele Longo (Reversibilità, Calimera, Edizioni Accademia di Terra d’Otranto, 2012, pp. 98) fornisce
immediatamente un preciso percorso di lettura, grazie a due suoi elementi importanti, il titolo e l’immagine. Se il titolo va considerato come enunciato
programmatico del testo, secondo le ormai note indicazioni todoroviane, il disegno riprodotto, sia nella sua forma che nel suo contenuto, ci consegna la
chiave interpretativa dei versi a venire. La “reversibilità” allude a un rovescio, a un capovolgimento, mentre l’insetto dal sorriso sarcastico e dalle
fattezze quasi umane che campeggia al centro della copertina bianca della plaquette, nella sua originalità naïve, rimanda alla leggera ironia
sfumata d’amaro che pervade i versi. Vero e proprio accorgimento stilistico, è appunto questa risorsa retorica a condurre al ribaltamento semantico della
rappresentazione e delle connotazioni attese. Infatti non va trascurato che, come insegna Jauss, ogni testo configura e prevede un orizzonte di attesa,
un’attesa che questa scrittura sembra compiacersi di eludere fino ad andare a costituire un vero e proprio “testo di godimento”, secondo la celebre
definizione barthesiana. Il lettore viene strattonato dalla sorpresa e le sue aspettative circa la significazione vengono fatalmente eluse dalla scrittura,
che depista chi legge per immetterlo in un percorso singolare, in una rappresentazione non banale, insolita.
Continua a leggere "" Sabato, 6 ottobre 2012Teresa Ferri - Precipizi di luce![]() La pittura è poesia silenziosa e la poesia è pittura che parla,
dice Simonide nell'epigrafe a questo libro. Due delle arti che non si
sono incontrate molto spesso, a parte qualche eccezione che possiamo
trovare anche su questo blog (v. QUI e QUI).
Linguaggi diversi, che richiedono al fruitore sensibilità diverse, e
che hanno tra loro un rapporto per così dire sbilanciato, anche se ci si
limitasse al banale fatto che la pittura propone l'immagine a chi guarda, la poesia deve suscitarla
in chi legge, la prima usa la luce (una luce che precipita, dice
Ferri), la seconda la voce. E che diversi tra le due espressioni sono la
libertà di interpretazione che lasciano al destinatario, nonchè il loro
contesto artistico, il loro porsi nei confronti del mezzo, del luogo,
dello spazio.
La "traduzione" in versi di un'opera figurativa non è facile. Gli
approcci possono essere molto diversi, e alcuni di essi sbagliati: la
soggezione nei confronti dell'opera stessa, la tentazione di
"parafrasarla" o di darne una versione in versi didascalica, o peggio
ancora di "verbalizzarla", spegnendone di fatto le suggestioni più
preziose. Oppure, di converso, se ne può raccogliere a cuore aperto
l'ispirazione, lasciarsi possedere, trarne qualcosa di vitale, di
artisticamente diverso ma non distante, qualcosa che "risuoni" anche
senza usare l'immagine come testo a fronte. Insomma un altro oggetto
d'arte che nasce da una catena di suggestioni, analogie, associazioni
del pensiero, echi della mente o del cuore, e anche dalla apprezzabile
ambizione di gettare un ponte quasi sinestesico tra due modalità
espressive.
Mi pare di aver rinvenuto queste ultime qualità in parecchi dei testi di questo libro di Teresa Ferri,
libro che è nato da una vicinanza, da una prossimità non solo
geografica ma anche sentimentale: la raccolta di oltre 200 opere di Aligi Sassu
che il collezionista Alfredo Paglione ha donato ad Atessa, città natale
di Teresa, e che è ospitata nel palazzo che fu della famiglia Ferri. Ne
è uscito una sorta di inconsueto catalogo poetico, un "come lo vedo io"
molto personale, in cui 50 tavole di Sassu trovano riscontro in
altrettanti testi, in essi si riflettono e da essi ricevono un riflesso
di parole, qualche nuova chiave interpretativa delle implicazioni
metaforiche o di quel limes tra mito e realtà, tra antico e moderno così caro a Sassu. Continua a leggere "Teresa Ferri - Precipizi di luce" Domenica, 25 marzo 2012Teresa Ferri: Sostiene Pereira, ovvero storia di una delega
“Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, ovvero storia di una delega * (Omaggio ad Antonio Tabucchi)
Ogni testo comunque, sia nel ristretto spazio di un racconto, sia nella più ampia dimensione del romanzo, racchiude interrogativi che, materiati in personaggi, in vicende, in episodi, esprimono in linguaggio narrativo il tentativo di coniugare problematiche letterarie ed esistenziali all’interno di un intreccio, che nell’effetto di sospensione sceglie la sua risorsa privilegiata. Così nessuna opera pare venire meno all’implicito impegno di farsi spazio della domanda, di raccontare e insieme interrogare, alonando scrittura e lettura di un’atmosfera governata dal dubbio, dall’indefinito, da quel senso di precarietà e di effimero che, se è tipico di tanta produzione novecentesca in versi e in prosa, si fa stilema dell’universo narrativo tabucchiano.
Un rapporto strettissimo quello che lega lo scrittore alla letteratura, evidenziato anche da un raffinato e sapiente giuoco di citazioni (Borges,
Pessoa, Fitzgerald, Pirandello, ecc.) funzionale a esprimere, mediante il meccanismo intertestuale e polifonico, il combinarsi sapiente di tradizione e
innovazione, nonché la fertile relazione che il letterario intrattiene con il culturale. Colta e rappresentata nelle sue più accorte divagazioni e
mutazioni, nelle proficue operazioni di scambio e di travestimento, tale interazione, ambizione della stessa letterarietà, suggerita, occultata o
dichiarata, si fa cifra di questo discorso narrativo. Esso, appunto come dis-corso, si sposta continuamente tra due piani, quello della realtà
materiale e quello della realtà testuale, in una continua pendolarità cui non è estranea la partecipazione, ricercata o inconsapevole, della realtà
psichica e dei suoi più o meno scoperti angeli e demoni.
Continua a leggere "Teresa Ferri: Sostiene Pereira, ovvero storia di una delega" Venerdì, 21 ottobre 2011Teresa Ferri: Poche parole piccole piccole per il grande Andrea Zanzotto18 ottobre 2011
![]() Oggi è morto Andrea Zanzotto. Oggi, mi sembra morta la Poesia. Mi guardo intorno e questi soffi delicati di tramontana gelida sputati dal sole sulla pelle mi fanno pensare agli ultimi faticosi fiati del poeta, fiati già olezzanti di morte. Morte della Parola e delle riflessioni poetiche sulla parola. Il freddo lima le sue unghie acuminate e tenta di raschiare ogni parola tra i cui tremori Zanzotto avrebbe voluto ripararsi dal freddo. Riscaldano le parole e, prima di portare beneficio all’anima di chi legge, sono un tepore irrinunciabile per chi scrive, battendo i denti sotto le sferzate del vento. Le parole riscaldano. E quelle di Andrea Zanzotto, pur cadendo dalla sua penna travestite da fiocchi di neve, una volta che si posano sugli occhi di un lettore, immediatamente si sciolgono in fiammelle e ne raggiungono le vene, dove si fanno sangue, vita, calore, respiro armonico di un mondo trasformato alchemicamente in musica, in perfezione geometrica del dire, in coro polifonico di suoni echeggianti dall’antro di un amore, che, pur gemmando con tonalità private e narcisistiche, solo attraverso la poesia si trasforma in Logos corale, in abbraccio alle sinapsi di ogni cuore, di ogni sentire profondamente umano, dalle radici più nascoste fino al sole. Ho avuto la grande fortuna di conoscere Andrea Zanzotto, la sua poesia, i suoi deliri orgiastici, il suo solipsismo che apriva teoremi e trigonometrie comportamentali a chi si trovava a interagire con lui. Sembrava di parlare da un finestrino di un treno in corsa con un viaggiatore seduto in un vagone di un altro treno che correva in senso esattamente contrario. Accadeva però che c’era un attimo, breve e luminoso, in cui gli occhi, dietro i vetri, si incontravano e le parole raggiungevano entrambi i viaggiatori e andavano a ferirgli l’anima. Come un fulmine che apriva uno squarcio di luce parlante. Sì, perché i silenzi di Zanzotto erano anch’essi poesia, luce, disperato tentativo di chiudersi tra le spine del suo rosaio privato per staccarne boccioli di fiori preziosi che spargeva ovunque e, avvicinati al naso, arrivano a profumarti l’anima. Parole discarnate da quell’albero chiomato di grigio saettavano luminose e scoppiettanti, ossimori acuminati e graffianti, balbettii rubati alla sacralità delle radici. Parole sonore, funambole, post futuriste che, lette, rotolano nell’anima, la scavano, la dissodano, ramificano e rinascono come fiori dopo una tempesta, freschi di rugiada odorosa di lune e di vagiti. Parole primordiali, lallazioni di infante novantenne che cerca instancabile il grembo della grande madre, l’utero di un mondo innocente accecato di silenzi. Il suo petel, la sua minestrina panacea di ogni male, urgenza e bisogno, il suo indefesso aggirarsi tra teoremi e contro teoremi, che poi riusciva a coniugare in riflessioni teoriche di grande spessore. L’infante eterno della poesia novecentesca me ne ricorda un altro, Zvanì: entrambi giocolieri della parola, sperimentalisti senza volerlo, ma per esigenza, entrambi innamorati della linguamadre o della MadreLingua. I due fanciullini bizzosi della nostra letteratura si saranno incontrati e forse, oltre a rincorrere le nuvole, forse continuano a girotondare intorno all’ombelico delle parole, a estrapolarle dal grande Grembo della letteratura, manipolarle e sublimarle in canto. L’asemanticismo come grande mantica del Senso originario, thalassale, infinito. Teresa Ferri Venerdì, 18 febbraio 2011Teresa Ferri - Eufemismi e brutte parole
Premetto che non amo le cosiddette “brutte parole”, né è nel mio costume far uso di esse. Appartengo a una generazione educata al culto della bella lingua, ma non posso non tornare con la memoria, e con una certa nostalgia non passatista al ’68, quando, gli eventi, le cose, i comportamenti venivano chiamati con il loro nome. Contemporaneamente, i miei interessi, gli studi, l’attività critico-letteraria, la professione mi hanno portato a dedicarmi anche alla retorica, alle sue figure e all’argomentazione, per cui mi ritengo in un certo senso fortunatamente ‘deformata’ e particolarmente attenta all’uso della lingua. Ho dedicato una vita all’interpretazione e all’analisi dei testi letterari, sezionandoli con acribia per dare una voce il più possibilmente fedele alle esigenze e alle intenzioni della scrittura di poeti e scrittori, per cui sono avvezza a dare spazio a una sensibilità linguistica e lessicale che mi conduce a spogliare le parole delle loro incrostazioni, più o meno edulcorate, e così leggere nel loro uso finalità argomentative e ideologiche (ma non so se sia il caso oggi di continuare a parlare di ideologia). Premesso tutto questo non a fini narcisistici e autobiografici, ma solo per motivare l’origine di queste mie rapide riflessioni, voglio soffermarmi sia pure superficialmente e senza alcuna acribia filologica, sull’utilizzo della lingua in questi nostri giorni, infestati da un fioccare di notizie che coinvolgono i campi della politica, dell’etica e di un civile vivere democratico. Il mio interesse di letterata e non di politologa va soprattutto alla lingua dei mezzi d’informazione e dei politici, poiché è da essi che veniamo letteralmente bombardati e tracimati quotidianamente. Strattonata dal mio orizzonte di studi dai media, che riversano nelle nostre orecchie e nei nostri occhi spesso poco avvertiti, una marea di informazioni e parole, mi sono resa conto che molto frequentemente si usa il lessico con eccessiva disinvoltura, una superficialità che, a mio avviso, è strategicamente rivolta a confondere e ad ambiguare i messaggi per una serie di motivi che non possono non allarmarmi.
Continua a leggere "Teresa Ferri - Eufemismi e brutte parole" Sabato, 6 marzo 2010Riflessioni di poetica tra il serio e il faceto - di Teresa FerriCosa succede se un illustrissimo poeta ti appare in sogno e pretende di dettarti il "suo" decalogo della buona poesia, suscitando nel contempo il risentimento di un altro poeta non meno illustre quanto irascibile? E' quello che ha immaginato Teresa Ferri, che qui lo racconta.
Così parlò, ma forse un sogno… 10 tesi tra il serio e il faceto (ma non troppo)
Contromanifesto
Un colpo di vento improvviso apre le im
”Inutile che tu ti chieda cosa io voglia da te. Ci puoi anche arrivare, per il Kaiser!”
Teresa Ferri
Teresa Ferri insegna “Teoria e pratica del testo letterario” nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Nel 2001 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Fiori di corallo (Pescara, Tracce); successivamente Alfabeti a perdere (Roma, Il Filo, 2004); una terza raccolta di liriche, Campanile d’aria, è uscita di recente per i tipi di Carabba (Lanciano). Diverse sue poesie e racconti sono apparsi su riviste e in antologie di poeti e scrittori emergenti. Con Fiori di corallo e con alcune liriche inedite ha vinto diversi premi nazionali e ha conseguito varie segnalazioni. Tra i numerosi studi e contributi critici, si segnalano le monografie su G. Pascoli (Pascoli. Il labirinto del segno. Per una semantica del linguaggio poetico delle ‘Myricae’, Roma, Bulzoni, 1976; Riti e percorsi della poesia pascoliana, Roma, Bulzoni, 1988); su U. Saba (Poetica e stile di Umberto Saba, Urbino, QuattroVenti, 1984); su D. Campana (Dino Campana. L’infinito del sogno, Roma, Bulzoni, 1985) e il volume Le parole di Narciso. Forme e processi della scrittura autobiografica (Roma, Bulzoni, 2003). Sia su scrittori otto-novecenteschi (D’Annunzio, Manzoni, Quasimodo) che su quelli contemporanei (Bossi Fedrigotti, Conti, Duranti, Lunardi e Tabucchi), sono apparsi diversi contributi in riviste e miscellanee italiane e straniere. Infine ha curato monografie, antologie e ristampe di testi letterari di autori abruzzesi dell’Otto e Novecento (E. Marcolongo, D. Ciàmpoli, E. Janni).
Mercoledì, 30 settembre 2009Teresa Ferri: Il sogno di lucciole di Francesca Pellegrino
Il “sogno di lucciole” di Francesca Pellegrino: Niente di personale e Dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni
L’Autrice vorrebbe i due titoli strettamente collegati, fino a leggersi in sequenza, come a proteggere la propria parola poetica da sospetti di autoripiegamento solipsistico. Così lo iato tra oggettività e soggettività si rivela solo superficiale, e non solo per la sequenzialità suggerita dalla stessa Autrice, ma anche per l’unitarietà tematica, in quanto in entrambe le sillogi Questa vivisezione impietosa della realtà immediata (esteriore e interiore) si affida soprattutto alla figura retorica della sineddoche, che si fa voce recitante del malessere esistenziale: Ho gli occhi come di lucciola assetata rintocchi di luce che non lascia ombra e mi piglia una voce contralta (Niente di personale, Ho sognato di dormire senza occhi, p. 25) Sono occhi, mani, capelli, bocca, una trave, sedie, mobili e oggetti di uso quotidiano a governare la trama del discorso lirico, come a formare una tela narrativa ispessita da polvere, ruggine, sete, buio e silenzio, tutti lemmi che ricorrono tanto frequentemente nei versi da farsi parole-chiave di questo spazio poetico, dove tuttavia, insieme all’uso del correlativo oggettivo caro a Eliot, non mancano soluzioni parossistiche che allontanano il tragitto della scrittura da rischiosi cedimenti al patetico(La moglie del silenzio è sempre incinta, pp. 60- Siamo quello che siamo macerie di decenza. Alla fine c’è soltanto un unico sole e ogni tanto qualche pianeta qualche piccolo stupidissimo pianeta che ci si illumina e s’improvvisa stella. O poeta. Del resto anche Hitler suonava il violino. (Dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni, Stars, p. 16) Se le due raccolte condividono la stessa tensione semantica a sottoporre il reale (materiale e psichico) a una rigorosa e spietata analisi che trova il suo elemento soterico nella strategia retorica dell’ironia, a livello formale esse differiscono nello snodarsi lirico del linguaggio. In Niente di personale infatti la parola essenziale e quasi pietrificata di Dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni si apre e si distende in un discorso più ampio, tendente al prosastico, fino a sfiorare la poesia-racconto di cui fu maestro Cesare Pavese, mentre l’interesse per l’intelaiatura retorico-linguistica rimane sempre notevole. Numerose e felici, in entrambe le sillogi, le espressioni metaforiche, come frequenti s’incontrano i giuochi linguistici, da cui questa scrittura sembra a volte pericolosamente sedotta. Tante le trappole della scrittura e ancora più numerose e subdole quelle della poesia, che incanta con i suoi miraggi visivi, fonetici e narcissici, per condurre verso i poliedrici mondi possibili della rappresentazione lirica mediante percorsi stellari, ma spesso accidentati.
- altri articoli e poesie dell'autrice cliccando sul tag "teresa ferri" - la mia lettura di "Ho dimenticato di dare l'acqua ai sogni" qui
Domenica, 10 maggio 2009La figura materna, mito tra miti: Lettera alla madre di Salvatore Quasimodo
Opito qui un contributo critico di Teresa Ferri (che ringrazio) dedicato alla figura materna nella poesia "Lettera alla madre" di Salvatore Quasimodo, autore a cui Teresa ha dedicato numerosi scritti (v. bibliografia in calce)
La figura materna, mito tra miti: Lettera alla madre di Salvatore Quasimodo
![]() A nostro parere, tale suddivisione può rivelarsi troppo rigida se si procede a un confronto rigoroso con i testi, se li si esamina alla luce di tale dicotomia interpretativa, che finisce con l'isolare determinati nuclei semici all'interno di certe raccolte e bandirli energicamente da altre, mentre l'esperienza bellica si costituirebbe come linea di demarcazione insormontabile per argomenti e motivi considerati forse troppo lirici e soggettivi e poco consoni al momento storico, alla situazione postbellica, a quella responsabilizzazione politica della letteratura auspicata dallo stesso Quasimodo nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel. Se si prescinde dall'equivoco ideologico, presente in tante formulazioni critiche non soltanto relative alla scrittura quasimodiana, che imporrebbe il divieto di coesistenza testuale di determinati nuclei significazionali e una ferrea opposizione binaria tra "privato" e "pubblico", tra sfera emozionale e impegno politico, e ci si accosta ai versi senza preconcetti per reperire in essi le loro 'verità', assistiamo al vacillare rovinoso di tante consolidate certezze ermeneutiche. Al loro posto si fa largo un misurato movimento di lettura volto a ignorare binari precostituiti e a seguire invece gli alterni e audaci percorsi di una parola ignara di divieti di accesso e tesa a dar voce a un’armonica coincidenza degli opposti idonea e funzionale a tradurre il conflitto da cui la stessa nasce e di cui vive. Continua a leggere "La figura materna, mito tra miti: Lettera alla madre di Salvatore Quasimodo" Martedì, 2 dicembre 2008Teresa Ferri - Tre fogli(e) di novembre
Teresa Ferri è già stata ospite su Imperfetta Ellisse. Trovate altri suoi testi e la nota bio-bibliografica qui. Poesia lirica nel senso più pieno del termine, nasconde nel richiamo alla natura, nell'accostamento anche impersonale ad essa, una inquietudine che va oltre la facile metafora della caducità delle foglie, dell'autunno della vita e così via. Se la vita è "algebrica", ovvero per definizione (e antica memoria scolastica) difficile, è pur sempre possibile interpretarla poeticamente, con un verso leggero e arioso, come non aliena a un ordine più complessivo delle cose e al loro ciclo compiuto e ineluttabile.
Croce nel sole
in eterno.
Novembre
di tartufi
questo novembre
che grifagno ride
Muschio già pronto pel presepe
fiorisce
Algebrica la vita
A terra
Solo dalla terra sale un profumo,
A terra.
Martedì, 3 giugno 2008Teresa Ferri - Quattro poesie
Di Teresa Ferri ho scoperto per caso che si tratta di una poetessa cha avevo già avuto modo di notare, seppure sotto un pseudonimo, quasi otto anni fa, quando i blog non esistevano e io mi divertivo a curare la sezione poesia di un defunto sito letterario, I Fogli nel cassetto (ne ho già parlato qui tempo fa). Mi fa quindi piacere pubblicare qui qualche suo testo, di un lirismo limpido e contenuto, fatto di parole "senza orpelli", di "qualche nota (...) dallo spartito uscita".
Teresa Ferri insegna “Teoria e pratica del testo letterario” nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Nel 2001 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Fiori di corallo (Pescara, Tracce); successivamente Alfabeti a perdere (Roma, Il Filo, 2004); una terza raccolta di liriche, Campanile d’aria, è uscita di recente per i tipi di Carabba (Lanciano). Diverse sue poesie e racconti sono apparsi su riviste e in antologie di poeti e scrittori emergenti. Con Fiori di corallo e con alcune liriche inedite ha vinto diversi premi nazionali e ha conseguito varie segnalazioni. Tra i numerosi studi e contributi critici, si segnalano le monografie su G. Pascoli (Pascoli. Il labirinto del segno. Per una semantica del linguaggio poetico delle ‘Myricae’, Roma, Bulzoni, 1976; Riti e percorsi della poesia pascoliana, Roma, Bulzoni, 1988); su U. Saba (Poetica e stile di Umberto Saba, Urbino, QuattroVenti, 1984); su D. Campana (Dino Campana. L’infinito del sogno, Roma, Bulzoni, 1985) e il volume Le parole di Narciso. Forme e processi della scrittura autobiografica (Roma, Bulzoni, 2003). Sia su scrittori otto-novecenteschi (D’Annunzio, Manzoni, Quasimodo) che su quelli contemporanei (Bossi Fedrigotti, Conti, Duranti, Lunardi e Tabucchi), sono apparsi diversi contributi in riviste e miscellanee italiane e straniere. Infine ha curato monografie, antologie e ristampe di testi letterari di autori abruzzesi dell’Otto e Novecento (E. Marcolongo, D. Ciàmpoli, E. Janni).
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