Martedì, 26 giugno 2018
Zhang Dalì, Meta-morphosis
(a Palazzo Fava a Bologna)
E’ una storia di metamorfosi, di transizioni e ri-creazioni quella che
l’artista cinese contemporaneo Zhang Dalì racconta nella mostra attualmente
in corso a Bologna a Palazzo Fava, una storia in cui il senso di
cambiamento è pervasivo e a diversi livelli: politico ed economico nella
Cina globalizzata d’oggi, urbanistico nelle demolizioni e rifacimenti
massici della capitale, poetico nella capacità dell’artista di dare voce e
corpo alla transizione del paese verso una nuova forma di capitalismo
globale con tutti i traumi e contraddizioni che in esso si riflettono. Il
“realismo estremo” di Dalì esprime per l’artista la necessità di guardare
alla realtà d’oggi del suo popolo, del suo paese, e riflettere, esaminare,
dare voce a una coscienza critica, nella frattura anche tra realtà e
individuo perché, come egli afferma: “l’arte ha il dovere di esprimere il
proprio scetticismo verso la brutalità che esiste nel mondo reale”.
“Penso che l’artista contemporaneo senza una presa di posizione netta
non possa creare nessuna grande opera. Deve prendere una posizione che
gli permetta di distinguere tra bene e male e dare un giudizio di
valore. La creazione artistica incarna un’ideologia così come
un’umanità. Se non c’è compassione, amore ma solo l’idea di arte come
giullare di corte allora l’artista sarà uno snob e uno speculatore”[1]
.
L’arte contemporanea in Cina dal suo punto di vista può solo essere un’arte
di ribellione, perché senza tale presa di posizione sarà l’interesse a
condurre il gioco o la pura logica del profitto. L’artista, secondo Dalì, è
colui che riesce a dare una voce, una coscienza critica e espressiva a
quello che sente manifestarsi intorno a sè nel mondo nella società, nella
vita che lo circonda e al quale i molti non possono dare voce. Di qui, la
necessità di comunicare, condividere con la maggior parte o dare visibilità
al massimo grado attraverso la fotografia, l’installazione o i graffiti in
modo da rendere palese una verità o una visione che viene dal profondo
senza incorrere in una mistificazione del reale che conduce a in un’arte
elitaria, complessa o distaccata dalle persone.
“AK-47”, auto-ritratto
Il mio volto è questo ritratto espanso e reso attraverso una miriade di
punti, unità luminose, pixel quasi dell’immagine elettronica nella
litografia stampata. Ricoperto dal marchio indelebile di un nome, logo di
un’arma da fuoco e cancellato dalla medesima come dall’ evidenza esposta di
una violenza innegabile per quanto celata, dissimulata in maniera sottile o
resa invisibile nella società d’oggi. Tuttavia, anche, è uno sguardo che
penetra e attraversa la fitta maglia di questa rete densa e occlusiva per
vedere attraverso e giungere, incisivo come un obiettivo al punto focale
dell’immagine, tale lo sguardo dell’artista sul reale.
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Mercoledì, 30 agosto 2017
“Anime. Di luogo in Luogo” da Christian Boltan ski (al Mambo di Bologna)
E’ un percorso sensoriale, un’esperienza fisica che implica
l’attraversamento, l’immersione del corpo percettivo e partecipe dello
spettatore nello spazio di “Anime, di luogo in luogo” per ricevere, o
meglio sentire, essere parte dell’ evento prima che comprenderlo
intellettualmente; una serie di installazioni realizzate dall’artista
francese Boltanski in occasione dell’omaggio resogli dalla città di Bologna
ripropongono fino al 12 novembre le sue opere più significative e due
inediti raccolti nella mostra antologica al Mambo, museo d’arte moderna.
Entri nell’oscurità di specchi che rifrangono gli uni sugli altri dal fondo
delle pareti nere di una stanza; in sottofondo un battito amplificato pulsa
intermittenze ritmiche da una moltitudine di cuori archiviati e raccolti
dai suoi precedenti lavori alla luce di una lampadina.
Entri dentro questa atmosfera rarefatta, velata e illusoria, lieve ed
effimera ai sensi. Attraversi un portale come fosse una soglia del “tempo”
che ti conduce fuori dall’esperienza della realtà all’altra parte
dell’esistenza sensibile. Sul tessuto leggero e evanescente di una tenda
vedi affiorare grandi occhi scuri, ritratti ricompongono e fanno scorrere
da un fotogramma all’altro immagini in movimento di un volto, quello
dell’artista dall’infanzia all’età adulta nelle sue molteplici, fluttuanti
sfaccettature. Entri e continui ad attraversare pareti di seta che si
susseguono ad altre trasparenti e velate; ricompongono sguardi, occhi di
volti persi nell’oscurità proveniente da vite precedenti, anime che si
affacciano e ci guardano dialogando attraverso le tende. Compaiono, si
illuminano per un istante, troppo breve, poi ripiombano nell’oscurità. Sono
salvate come anime, riportate per un attimo all’esistenza sensibile, non a
quella terrena dei corpi ma, incorporee, in questi tessuti materializzano
come immagini fotografiche di volti solo a metà focalizzati.

Continua a leggere "Christian Boltanski - Anime. Di luogo in Luogo, nota di Elisa Castagnoli"
Sabato, 12 dicembre 2015
“GRADI DI LIBERTA", sulla nostra possibilità d'essere liberi ( visto al Mambo di Bologna, Novembre 2015)
“Gradi di libertà, dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi”, mostra collettiva recentemente esposta al Mambo di Bologna, interroga il
concetto di libertà prima che come condizione oggettiva, politica e sociale esterna all'individuo come possibilità del pensiero, lì dove nasce e si
manifesta la nostra facoltà d’essere liberi, in primo luogo dentro la mente di ciascuno di noi, lì dove vengono prese le decisioni o gestite le scelte che
in qualche modo sanciranno, limiteranno o condizioneranno, attraverso l'esercizio del libero arbitrio, la condizione esistenziale o la consapevolezza
individuale di ciascuno a prescindere dallo statuto politico o dalle limitazioni materiali e sociali vigenti.
Ugualmente, nel percorso espositivo, il concetto di libertà non è visto come paradigma statico appartenente a una realtà storica determinata, a un
ordinamento sociale dato, allo statuto di un individuo o al modo di funzionare d’una società quanto, in primo luogo, come processo mentale, qualcosa che
avviene e si esplica nella capacità di discernere, analizzare e prendere decisioni: quell’ insieme di scelte che compongono il tessuto stesso della nostra
esperienza nel pensiero e nell’azione quotidiana. L'atto d’una mente riflessiva e razionale oppure i momenti fulminei in cui improvvise intuizioni si
realizzano e consapevolezze immediate prendono forma, dunque posizionamenti netti, decisioni di un si o di un no, di un andare o fermarsi, di un aprire o
chiudere una porta, del prendere un sentiero o un altro, dello svoltare in una direzione o proseguire.
Il paradigma dell’essere liberi o dell’affermare una condizione democratica per un popolo appare come un percorso non lineare visto in una serie di
divenire, nel realizzarsi di piani successivi di consapevolezza, di soglie e di attraversamenti che conducono a implicite metamorfosi nel pensiero e al
superamento di limiti interni a una realtà o a una soggettività. Tali passi si percorrono nella “tensione verso”, nell’ipotesi o nell’aspirazione
libertaria di un individuo o un gruppo che lotta per avvicinarsi al proprio divenire umano, libertario e democratico. E’ prima di tutto un movimento e una
pratica del pensiero al quotidiano, un divenire consapevole, “libero da” , altro rispetto una serie di condizionamenti identitari, ideologici, o
strutturali che si pongono come sbarramenti impliciti all’io e barriere occludenti al nostro vivere sociale.
Perché la libertà, sembra suggerire la mostra bolognese attraverso i percorsi incrociati d’opere d’arte, installazioni d’oggetti e video documentari nel
doppio sguardo di scienza e arte, la si acquisisce per gradi, dialetticamente scrollandosi di dosso lo stato di assoggettamento, di interiore schiavitù, di
mancata presa di potere o riscatto, di mancata affermazione della propria coscienza individuale, politica e identitaria. La si acquisisce nel mentre dell’
“essere nel pensiero e non stare ancora pensando”, ogni volta nel ricominciare a pensare, nel porsi dall’inizio quella domanda, nello scontrarsi con quell'
interrogativo posti di fronte un mondo di limiti e di idealità, di scelte individuali, immanenti all'esserci e di barriere o muraglie, fisiche e
metaforiche, materiali o spirituali apparentemente insormontabili che solo un pensiero libero da forzature o condizionamenti può ancora permettersi di
affrontare. Tale esercizio quotidiano al pensiero travalica categorie storiche e gabbie ideologiche per immergersi nel flusso vitale dell’esistenza come
movimento del pensare dentro le forze di vita, dentro i corpi e contro le manipolazioni esterne, mediatiche e dei regimi politici vigenti. Condizionamenti
a tutti i livelli sono iscritti profondamente nella nostra mente, permeano quasi la struttura molecolare delle nostre cellule, del nostro DNA dalla nascita
e nelle memorie cellulari delle generazioni precedenti. Sono anche gli schemi, le gabbie sociali, gli abiti che ci vengono messi addosso in seguito a un’educazione, al funzionamento d’una società uniformandoci in ruoli e posizionamenti, simulacri, simulazioni e
maschere. Sono infine le conseguenze che subiamo d’uno scenario politico mondiale fatto di violenti conflitti e di forze che agiscono sulle nostre vite
indirettamente, qualche volta brutalmente senza che riusciamo a rendercene conto, non potendo ne prevederle ne controllarle . La libertà è prima di tutto
uno stato in divenire del pensiero, poi uno statuto d’essere, del dirsi o volersi nel mondo, anche e soprattutto quando essa è messa in discussione, in
pericolo o in stato d’allerta, anche e soprattutto contro le manipolazioni politiche, i lavaggi del cervello mediatici, le aggressioni o le irruzioni di
forze estremiste e violente, distruttive o incontrollabili. Spazi di libertà in ogni mentre e in ogni dove, nel mondo, sono quelli aperti dallo sguardo e
nel luogo dell’infanzia, del gioco o della creazione che poi diviene movimento dell’arte, dell’azione e della lotta politica.

Come afferma una delle canzoni che compongono l’archivio interattivo visibile e udibile d’una raccolta di 100 brani popolari provenienti da diversi
contesti nel lavoro di Susan Hiller “ Die Gedanken sind frei”: "Le idee sono libere, chi può prevenirle, esse sorvolano come ombre notturne,
nessuno può conoscerle, nessun cacciatore le colpirà. Sopravvivranno. Die gedanken sind frei. Penso quel che mi pare e tutto in silenzio è come
capita. Cose che desidero e voglio, esse sopravviveranno. E se qualcuno mi getterà in un’oscura prigione sarà semplicemente fatica sprecata perché i miei
pensieri spezzeranno le barriere e abbatteranno i muri. Voglio scrollarmi di dosso per sempre la paura e mai più lamentarmi per le inferiate. In cuor mio
posso ridere e scherzare e ripetere ancora: i pensieri sono liberi”.
Vanessa Beecroft
Schiere di modelle danno vita a performance fotografate come “tableaux vivants” dove i corpi assumono sembianze di statue classiche o di manichini
inanimati. In PV26 i corpi femminili vestiti identicamente di sole calze bianche, scarpe con i tacchi alti e biancheria accuratamente scelta appaiono nella
loro demoltiplicazione distribuiti sullo spazio performativo come figure inanimate, manichini di corpi perfettamente identici ma indeterminati, svuotati,
macchinici quasi nella loro anonima ripetizione attraverso lo spazio. Invisibili, trasparenti allo sguardo appaiono volutamente fotografati come simulacri
di loro stessi, figure plastiche rivestite da una sorta di patina chirurgica di rifacimento figurale nel loro apparire attraverso l’immagine. Il corpo e il
femminile sono là volutamente esposti, interrogati o posti di fronte “all’illusione della loro presunta libertà”: manipolazione voluta dei corpi, nella
loro reificazione e riduzione a stereotipi imposti dai modelli impliciti del codice sociale. Lo scatto fotografico inevitabilmente ironizza sulla tendenza
delle figure femminili a uniformarsi come oggetti dello sguardo in una serie di metaforici travestimenti, divise o vesti ufficiali, qui parodiate
attraverso l’uso delle sole calzature e intimo bianco.

Allo stesso modo in “One year performance” (1980-81) l’artista taiwanese Tehching Hsieh attraverso una serie di azioni auto-imposte nel corso di un anno_
timbrare un cartellino una volta all’ora per 360 giorni e registrare accuratamente la propria azione performativa_ approda a un concetto di libertà
paradossale raggiunto attraverso una forma di auto-coercizione. Solo esercitando quella disciplina assoluta sul proprio corpo e privandosi parzialmente di
alcune ore notturne di sonno perviene a portare a termine la propria pratica performativa. Tale azione minimale, insignificante, ripetuta all’ennesima
potenza e protratta con ostinazione nel corso di un periodo prestabilito giunge, tuttavia, ad alterare o stravolgere i ritmi normativi di un'esistenza ed è
per l’artista scelta consapevole all’interno di quello che lui percepisce come un esiguo spazio di libertà individuale. Diventa il suo modo di iscrivere e
riaffermare tale differenza, o spazio di creazione al quotidiano paradossalmente passando attraverso la coercizione e la disciplina di un’azione
auto-imposta. Il suo modo minimale di re-inventarsi l’arte giorno per giorno elude ciò che il mondo dell’arte si aspetta che egli faccia. Decide di creare
un oggetto e un’azione performativa a partire dall’irrisorio di un’azione ripetuta con automatismo ogni giorno come il timbrare un cartellino nella gabbia
del lavoro in fabbrica. Minuscola azione, il lasso di tempo di qualche secondo, e già si iscrive la sua scelta di dire no, di affermare sé stesso in
quell’esiguo margine di libertà: “Non voglio fare ciò che il mondo dell’arte si aspetta che io faccia, questa è la mia uscita, questa la mia libertà”.

“In ogni istante il nostro cervello sceglie tra una miriade di alternative possibili o virtuali” afferma uno dei brevi video che interpongono un punto di
vista scientifico al concetto di libertà illustrato dalle opere artistiche. Tra la miriade di stimoli cui siamo soggetti ad ogni momento sulla corteccia
celebrale e tra i lobi pre-frontali del nostro cervello abbiamo la possibilità di visionare simultaneamente strade diverse nella nostra mente, sospendere
giudizi, esitare, valutare vie possibili, immaginare o rappresentare eventi del futuro, rendere espliciti i nostri pensieri attraverso il linguaggio. Tutto
ciò avviene nello spazio esiguo di pochi istanti, nello spazio in cui una decisione viene presa, un’opzione scelta e un’altra scartata, tra una
sollecitazione e una risposta all’impulso, tra uno stimolo e una reazione, l’istante che passa anche tra uno sguardo gettato sulla realtà e lo scatto d’un
obbiettivo, tra il momento dell’osservare, dell’attesa al reale e il momento decisivo in cui la fotografia viene presa e l’immagine fissata su una
pellicola. In quell’istante, sembra dirci il video, esiste e resiste, agisce o reagisce contro l’apparente opposizione della realtà il nostro primo spazio
di scelta, di libertà e d’azione individuale.
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Martedì, 3 marzo 2015

Da "Too early too late", arte contemporanea, Medio-Oriente e modernità (Pinacoteca di Bologna, gennaio-aprile 2015)
“Troppo presto e troppo tardi” già e non ancora, un tempo anacronistico rispetto a quello storico, costantemente fuori dalla temporalità dell’attuale come
il vento d’una rivoluzione mancata o a venire, cominciata troppo presto o che si è tradotta in atto troppo tardi, costantemente traslata su un piano
virtuale, indeterminato, oltre semplicemente come quel tempo dell’a-venire rispetto a ogni presente storico. Così il titolo del film di Jean-Marie Straub e
Danielle Huillet, “Trop tot, trop tard” fa eco all’esposizione alla pinacoteca di Bologna inquadrando nei termini di tale temporalità differita o
metaforica la relazione, per esempio, tra Medio Oriente e modernità in Iran, tra arcaismo e una non riuscita democratizzazione imposta in molti dei paesi
medio-orientali sul modello occidentale, ciò che si è ripercosso a più ampio raggio nel conflitto di civiltà, nella dicotomia aperta e ancora oggi
irrisolta tra islam e occidente dopo la fine del bipolarismo mondiale.
Nel film due temporalità storiche differenti sono messe in parallelo, quella delle lotte contadine nella Francia rivoluzionaria del 1789, poi quella delle
rivolte anticolonialiste egizie nel 1952 sullo sfondo di immagini svuotate, la campagna deserta francese, poi quella egizia scossa invisibilmente dal vento
di eventi accorsi, evocati più che palesemente presentati _ il vento di quei processi rivoluzionari che scuotono alle radici lo stato di cose esistenti_
mentre una voce fuori campo legge la parole di Engels a Karl Kautsky sui lasciti della rivoluzione francese. In tale temporalità dislocata, in tale
orizzonte spazio-temporale aperto sull’area Medio-Orientale si situa lo sguardo scelto dalla mostra, sguardo gettato dall’Occidente europeo al mondo arabo,
caucasico o dell’Asia centrale, dalla Turchia all’Iran dall’Egitto alla Libia, Siria e Palestina partendo da un preciso punto di vista topografico,
l’Italia, nello specifico Bologna al di là d’ogni stereotipo o visione orientalista. La scelta curatoriale di Marco Scotini resta infine quella di mostrare
il lavoro di artisti contemporanei medio - orientali nel loro interfacciarsi allo sguardo d’ artisti e critici occidentali rivolti alla stessa area
geografica: tra i più noti riferimenti il “Taccuino Persiano” di Michel Foucault scritto per il Corriere della Sera durante la rivoluzione iraniana nel
‘79, le fotografie scattate da Gabriele Basilico a Beirut all’indomani della guerra civile negli anni ‘90, i “Sopralluoghi in Palestina” di Pasolini nel
’64, infine il film dei coniugi Straub sulla mancata rivoluzione egizia.
Continua a leggere "Too early too late - Riflessioni sull'arte di Elisa Castagnoli"
Mercoledì, 5 giugno 2013
"Autoritratti, iscrizioni al femminile nell'arte italiana conte mporanea " (al Mambo di Bologna, maggio-settembre 2013) - una nota di Elisa Castagnoli
“Autoritratti” è un progetto collettivo nato alla galleria d’arte moderna di Bologna dalla collaborazione di 42 artiste e diverse curatrici per presentare
una ricognizione, uno spaccato del rapporto tra donne e arte in Italia negli ultimi decenni. Una molteplicità di posizioni e di pratiche artistiche,
attraverso diverse tematiche e le più svariate modalità espressive- pittura, video, installazione, fotografia- percorrono strade proprie per iscrivere la
differenza significante di un’arte, d’ una modalità del fare artistico che parta da un punto di vista specificatamente femminile. Centrale resta il tema
della ricerca o della definizione d’un identità personale e di genere soprattutto in relazione alle modalità sociali o estetiche esistenti, implicito nella
scelta del titolo “autoritratti” articolato attraverso una serie di proposizioni multiple, individuali, diversissime tra loro. Autoritratto è immagine del
sé, immagine pensata o interrogata a partire da un punto di vista interno al femminile che implicitamente rovescia, decostruisce o ironicamente deride una
serie di proiezioni, stereotipi o posizioni che oggettivano il soggetto “donna” a partire da un punto di vista a lui estraneo, sia essa la veste ideologica
che lo comprime dentro il rituale sociale o lo sguardo oggettivante, maschilista, repressivo e dominante della rappresentazione storicamente in atto. La
diversità delle pratiche artistiche qui presentate è riconducibile dunque al progetto comune di trovare una propria visibilità identitaria e artistica
attraverso una modalità differenziale del fare arte espressa da artiste donne, capace di esercitare un impatto sulle forme e le estetiche dominanti negli
ultimi decenni. L’esperienza corporea, la centralità d’un sé corporeo e performativo diventerà sempre più centrale in queste proposizioni come spazio di
visibilità o di interrogazione del sé , implicito luogo d’auto-coscienza o forse solo di indagine e di sconfinamento sulle possibilità e i limiti della
soggettività femminile.
Continua a leggere "Riflessioni sull'arte: Autoritratti, iscrizioni al femminile nell'arte italiana contemporanea"
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