Gerritt Kouwenaar, nato ad Amsterdam il 9 agosto 1923, è uno dei maggiori poeti e scrittori olandesi, vincitore di numerosi premi letterari nel corso di una lunga carriera iniziata pubblicando in clandestinità durante l'occupazione nazista. E' inoltre traduttore, soprattutto di opere teatrali di autori come Brecht, Weiss, Sartre, Tennessee Williams, Osborne, Pinter. I testi qui pubblicati sono
nella traduzione di Karin van Ingen Schenau e Maurizio Cucchi. I
testi originali sono stati omessi per difficoltà tipografiche, ma sono a
disposizione di chiunque li richieda.
Tre meno un quarto: l'ideale
Tre meno un quarto: occorre essere ancora più sottile, persino ciò che accarezza il naso in qualche luogo puzza in parole
bussare per pane è chiaro, masticare la morte è chiaro, la nebbia che rinvia e ritira il respiro è chiara
l'acqua lenta che ruggisce attraverso la crepa nella strada d'asfalto è mortale nonsenso è mondo lontano stranamente chiara
il viaggiatore è sulla strada, la lontananza non è in nessun luogo è dappertutto pensabile, egli fa qualche passo, nessuna parola, non riesce a passarci, egli la calma -
Alcuni testi giovanili di Paul Valéry, tratti da Album des vers anciens, tradotti da Maurizio Cucchi (Paul Valéry - Un chiaro fuoco - Ed. L'Arca Felice, 2012)
LE VANE BALLERINE
Quelle che sono fiori leggeri son venute, figurine d'oro, bellezze minute dove iride diviene, debole luna... Eccole fuggire melodiose nel bosco rischiarato. Di malva e d'iris e di notturne rose le grazie nella notte, sotto la loro danza, schiuse. Che velati profumi, da quelle dita d'oro!
Ma si sfoglia l'azzurro in questo morto bosco e riluce a fatica un filo d'acqua sottile, riposata, come tesoro pallido di antica rugiada, da cui il silenzio in fiori sale. Eccoli melodiosi fuggire nel bosco rischiarato.
Graziose quelle mani verso gli amati calici; un po' di luna dorme sulle devote labbra e le loro braccia splendide, dai gesti addormentati dipanano piacevolmente sotto gli amici mirti i fulvi loro vincoli, carezze... Ma talune del ritmo meno schiave e delle arpe lontane verso un sepolto lago vanno con passo lieve a bere dai gigli la gracile acqua in cui dorme l'oblio.
Les vaines danseuses
Celles qui sont des fleurs légères sont venues, Figurines d’or et beautés toutes menues Où s’irise une faible lune... Les voici Mélodieuses fuir dans le bois éclairci. De mauves et d’iris et de nocturnes roses Sont les grâces de nuit sous leurs danses écloses. Que de parfums voilés dispensent leurs doigts d’or!
Mais l’azur doux s’effeuille en ce bocage mort Et de l’eau mince luit à peine, reposée Comme un pâle trésor d'une antique rosée D’où le silence en fleur monte... Encor les voici Mélodieuses fuir dans le bois éclairci.
Aux calices aimés leurs mains sont gracieuses; Un peu de lune dort sur leurs lèvres pieuses Et leurs bras merveilleux aux gestes endormis Aiment à dénouer sous les myrtes amis Leurs liens fauves et leurs caresses... Mais certaines, Moins captives du rythme et des harpes lointaines, S’en vont d'un pas subtil au lac enseveli Boire des lys l’eau frêle où dort le pur oubli.
Mario Fresa - Uno stupore quieto - Ed. Stampa2009, 2012, "La collana", a cura di M. Cucchi
Un senso di insopprimibile inquietudine è il sentimento predominante
nella lettura di questo ultimo libro di Mario Fresa. Dietro la copertina
innocente e il titolo insospettabile ci aspetta un mondo incerto,
mobile e perfino poco sicuro, visto che si parla (anche) di metamorfosi
kafkiane, di sicari, di morte. Si incomincia la lettura di ciò che non
ha importanza definire prosa poetica o poesia in prosa, e ci si ritrova in un terrain vague in cui i tradizionali punti di riferimento
che ci conducono per mano verso un confortevole traguardo del senso
vengono a mancare progressivamente. Siamo lettori precari, in balìa
dell'immaginazione dell'autore, del suo onirismo ragionato con cui
rovescia il consueto complesso di inferiorità di chi scrive ("oddio, mi
si capirà?") nei confronti di chi legge e instaura - e sospetto con
molto divertimento di Mario - una sua personalissima dittatura. E
tuttavia è in questa precarietà che il lettore accorto cerca e trova il
suo equilibrio, la sua "colmatura" dei vuoti, incastra il "suo" senso.
Lo "stupore" del titolo, parola che interviene più volte nel testo, non
ha niente di romantico, né è quieto, ma assomiglia più ad un
avvertimento a stare viceversa all'erta, a non farsi cogliere
impreparati o in uno stato ipnotico, a cui la realtà - anche di tutti i
giorni, anche di cronaca - rischia di ridurci. Può essere lo stupore
della morte, oppure di inusitati sbocchi di eventi, o di svolte
inopinate nell'andamento naturale delle cose. Ci sono vari personaggi,
personalità forse multiple, maschere in commedia, insospettabili,
malati, assassini. C'è l'autore stesso, ovviamente, di fronte al mondo,
alla vita, ai suoi dolori e alle sue ridicolaggini, alle sue perdite e
alle sue ingiustizie, a cui cerca di porre qualche risarcimento, qualche ricucitura, con la scrittura.
Direi che non si può parlare di versificazione, qui, o forse è inutile.
Richiamare il verso lungo, come fa M. Cucchi nella breve prefazione,
non indica molto. Il riferimento in tal senso a esponenti del 900 è
ammissibile direi più in termini morfosintattici, di utilizzo delle
catene semantiche in un certo modo, dei traslati, del linguaggio comune ecc. Chi
indicare? l'andamento prosastico e "parlato" di Raboni, ad esempio del
suo "Cadenza d'inganno"? un Pagliarani più decostruito? Vai a sapere...(e del resto, già in "Alluminio" (v. QUI) erano presenti molti elementi del Fresa odierno). A
me, che mi piace l'azzardo, è venuto in mente Gadda, non tanto nel
senso del pasticcio linguistico, della geniale enumerazione
dell'ingegnere, quanto dell'ironia (che anche Cucchi segnala) sempre
sottesa a questa "disarmonia prestabilita" di Fresa, ma anche - e non a
caso, direi - l'andamento un po' improbabile del melodramma in agguato.
Comunque sia, Fresa è uno che ci sa fare con il linguaggio, da una parte
aborre la retorica, dall'altra la conosce tanto bene (e conosce bene i
meccanismi che innesca nella nostra mente) da architettare tranelli
tanto simili a quelle buche coperte da innocenti ramoscelli in cui casca
la tigre. Avviene così di ritrovarsi in un ambiente, in una storia (?),
in un sogno che non è il nostro, in un dialogo che ci appare
decontestualizzato, in una frase che non termina e ci lascia seccamente
di fronte, per dirla con Borges, a sentieri che si biforcano. Si cade,
sotto molti aspetti, in un abile tranello narrativo, con la nostra
stessa complicità, dato che vengono frustrati certi esiti che la nostra
mente di lettori ingenuamente si aspetta.
Non credo che sia del tutto fuori luogo, nel caso di questo libro,
accennare da una parte ad una presenza dell'onirico come mimesi del
reale e valorizzazione e nobilitazione dell'ordinario e dei suoi sbocchi
anche inaspettati; dall'altra ad un linguaggio finzione, quasi campionato
da segmenti di nastro magnetico (ecco, ora mi viene in mente Beckett),
o da citazioni di citazioni, e messo in teatro in testi anche complessi,
anche vertiginosi; dall'altra ancora a ciò che vorrei definire una
narrativa "a iati", per sottrazioni o atti mancati, come in cerca di
autore, ma - per le ragioni che dicevamo - niente affatto reticente,
anzi fortemente suggestiva, nel senso etimologico del termine. Per
questo mi pare che sia una piccola sottovalutazione parlare, come fa il
prefatore, di "uso regolare del parlato, per quanto senza eccessi"
(corsivo mio). Viceversa l'insieme degli elementi a cui accennavo
costituisce un "eccesso" felicemente "sregolato", il fascino maggiore di questo libro ed
anche la sua carica "sperimentale", a cui corrisponde la richiesta di
una forte e consapevole partecipazione da parte del lettore. (g.c.)
Non so quasi nulla di Silvana Colonna. So però che queste poesie mi piacquero, quando le lessi una trentina di anni fa, e che continuo a considerarle eccellenti. Silvana Colonna è nata a Belluno nel 1942 e vive (credo) a Milano. Suoi testi sono apparsi su "Paragone" e su altre riviste. Nel 1984 ha pubblicato, con presentazione di Maurizio Cucchi. "L'orientamento lontano" (Società di Poesia, Milano), in cui figurano anche i testi qui pubblicati. E' traduttrice dall'inglese, in particolare dell'opera poetica di E.A.Poe. Non ho notizie di altre pubblicazioni.
Da parte di Silvana Colonna, nessuna condiscendenza nei confronti del lettore. Difficile ravvisare con esattezza l'identità di questi testi, impossibile tracciare una pur vaga mappa delle loro probabili ascendenze. É una poesia dalla controllata eppure necessaria reticenza, quella che si sviluppa in questa sua prima raccolta organica. Una poesia in sé perfettamente compiuta, elegante nello stile, che nell'apparente freddezza o indifferenza del tono e della pronuncia cela solo parzialmente la tremante, trepida sensibilità della propria autentica natura. Ed è così che, dalla superficie senza esibite increspature del suo verso, Silvana Colonna attrae, coinvolge un po' misteriosamente l'interlocutore; e lo fa certo in modo sottile, nella flebilità irrinunciabile, quasi fisica della sua voce, che sempre la sorregge nella registrazione di emozioni e battiti minimi e nondimeno profondi, di improvvisi tuffi al cuore, di ossessioni continue eppure appena trapelanti. In questo modo si svolge, con puntiglio, con precisione, con insistita cura e attenzione dei dettagli, la delicatissima trama del suo discorso, nel pudore di un tocco che sa produrre elementi di essenziale, limpida grazia. (da una nota non firmata attribuibile a M.Cucchi - Poesia Uno, Guanda 1980)
Un'altra delle mie riletture estive, un pò a "saltafosso" per la verità. Dopo Vitiello, Cattafi e Porta ora Scalise.
l'acqua sigla quei palazzi dove si affacciano uomini fotografati in pose diverse: la lezione di quegli anni è meglio dimenticarla, ha il grigio sapore del vissuto, la polvere vola fra gli alberi di un giardino straniero: le idee le ricavi dai libri, cominciando da capo, e in una definizione senza prospettive quella fatica arde nel cielo: come un quadro la realtà si rovescia, non indica una linea precisa: l'uomo va verso una nuova miseria percorre il cammino di tutti gli errori, prima di sapersi servire di una tradizione sbagliata.
*
lo spazio è ricavato dagli alberi: gli altri sono dei cerchi: guarda il vuoto: all'altezza degli occhi le immagini entrano nel gioco quotidiano; vi sono giorni contratti come numeri, il vento ricuce le acque; esser liberi senza ragionamento, esprimere desideri, alzarsi ogni giorno in quel punto esistenziale che ogni notte scende oltre il confine: al mattino scioglie parole, passeri sulle bucce d'arancia, gli alberi sono più dritti, le macchine passano fra le foglie, la casa si riflette nel vetro: lo spazio del tavolo è come un'autostrada, il seme dell'adolescenza non ripete quei gesti: se la maturità è linguaggio c'è una materia opaca che deride i visi tesi, gli entusiasmi
Quattro poesie tratte da "Come una nave", plaquette pubblicata dalle Edizioni L'Arca Felice (2008), nella collana "Coincidenze" a cura di Mario Fresa, con illustrazioni di Prisco De Vivo. Le pubblicazioni de L'Arca Felice sono infatti sempre corredate da riproduzioni a tiratura limitata di opere di vari artisti.
Informazione viva
Allora ho pensato a te,
che mi chiamavi e alzando
quel poco lo sguardo ho osservato
prima indistinta, come una suggestione,
infine quasi chiara, una forma
avanzare, oscillare. Come una nave,
о dì sicuro una nave
che rompeva l'orizzonte arrivando
in una strana, confusa evanescenza.
Come un messaggio sbucava, come
un'informazione viva
о superstite, integra,
emersa da un nero immenso tutto.
Sangue e famiglia
Ho amato e rimpianto la famiglia,
la famiglia dei vìncoli di sangue,
degli affetti assoluti, dei dolci ricatti.
Ma quella stanza, adesso, è sempre più
stanza di sbranamenti.
Ma è in se, dentro di sé, che crolla
о è il mondo che se la mangia, la famiglia?
E poi, l'orrore che era intimo, segreto, vero,
erompe e vomita a colori
sulle nostre pietanze,
sui piatti delle nostre cene.
Oltre la pagina
La poesia ha parole pesanti
che in queste strane pagine
sembrano mobili e leggere.
Viaggiano quasi imprendibili,
cangianti, e disorientano
la nostra vecchia mente di carta.
Chissà se in questa luccicante
casa in affitto
troveranno dimora stabile,
amica, e dunque vita
che si rinnova autentica.
Credo di sì, perché la poesia
chiede di spargersi e andare
lieve e piana nel mondo,
che forse non lo sa
però la sta aspettando.
Tenerezza bambina
La tenerezza bambina della donna
si realizza nell'incontro sognato
e chi arriva a inverarlo,
quell'incontro,
non è angelo del cielo, sublime creatura,
ma un tipo qualsiasi come me,
che trova per sempre un beneficio
e dice grazie.
Maurizio Cucchi è nato a Milano, dove vive, nel 1945. Consulente letterario, pubblicista, traduttore (da Stendhal, Lamartine, Flaubert, Villiers de l’Isle-Adam, Prévert), ha pubblicato questi libri di poesia: II disperso (Mondadori, 1976; nuova edizione Guanda, 1994), Le meraviglie dell'acqua (Mondadori, 1980), Glenn (San Marco dei Giustiniani, 1982, Premio Viareggio), II figurante (scelta di versi, 1971-1985, Sansoni, 1985), Donna del gioco (Mondadori, 1987), Poesia della fonte (Mondadori, 1993, Premio Montale), L'ultimo viaggio di Glenn (Mondadori, 1999), Poesie 1965-2000 (Oscar Mondadori, 2001). È autore del romanzo Il male è nelle cose (Mondadori, 2005) e del libro di prose La traversata di Milano (Mondadori, 2007). Ha curato il Dizionario della poesia italiana (Mondadori 1983 e 1990) e con Stefano Giovanardi l'antologia Poeti italiani del secondo Novecento, 1945-1995 (Mondadori, 1996).