Lunedì, 9 febbraio 2015
Alessandra Palombo - Mestieri - Ladolfi Editore 2014
Ogni volta che leggo qualcosa di Alessandra (Sandra) Palombo mi torna
alla mente uno dei fringuelli di Darwin, quegli uccelli sulle cui
differenze morfologiche si dice che lo studioso abbia fondato le sue teorie
evolutive. In effetti la poesia di Sandra è una forma di speciazione,
fondata in parte su quella che io ho sempre definito la sua insularità
(esattamente come i fringuelli darwiniani), ovvero su una forma di
isolamento che in questi tempi moderni, così ricchi di mezzi di
comunicazione, non può che essere psicologico o esistenziale; e in parte
fondata su un particolare attaccamento ad una tradizione che non è solo
poetica, ma anche antropologica, includendo in questo aggettivo anche
l'uso della lingua (in effetti le sue escursioni o allontanamenti
maggiori dalle forme per così dire correnti sono avvenuti con haiku o Tautogrammi d'amore e d'amarore,
uno dei suoi libri, del 2005). E in questo senso di insularità, che è
appartenenza a un luogo, senso dei confini e bisogno di starsene
appartati, c'entra certamente l'attaccamento alla sua meravigliosa Elba.
Chi ha frequentato l'isola d'Elba, magari in tempi non recentissimi
(poiché todo cambia, canta Mercedes Sosa) e possibilmente non
nel caotico agosto ma nel pungente inverno isolano, capisce di cosa
stiamo parlando. E si ritrova di certo nei brevi testi, sintetici e
icastici, di Sandra, nelle figure caratteristiche che era possibile
trovare nei mercati o nei vicoli di Portoferraio o Rio Marina, nei
mestieri cancellati da una mutazione antropologica a cui l'isolamento
non poteva più fare da barriera. Naturalmente questo non è in libro di
bozzetti coloristici, o di curiosità sociologiche. E', prima di tutto,
un libro di ricordi di prima mano, vissuti direttamente, e se il ricordo
è un'ancora di salvezza, lo è a maggior ragione per Sandra che, va
detto, ha anche una vocazione di storica, soprattutto intorno alla
figura del Napoleone elbano. Ma ricordi dinamici, legati a un tempo che è
scorso e continua a scorrere nei versi, per mezzo dell'onnipresente
imperfetto, che è il tempo verbale della narrazione, del prolungamento
nel tempo della vita raccontata. E poiché il tempo non lascia
superstiti, siano essi individui o simboli di una stagione civile, mi
piace pensare a questo libro come ad una piccola Spoon River nostrana,
in cui gli scomparsi, qui muti e accompagnati ciascuno dagli oggetti
simbolo del mestiere, trovano la voce di chi ha accolto l'incarico di
raccontarli.
Parrebbe ovvio allora definire questa poesia come "conservativa" (che,
attenzione, è diversa da "conservatrice"), non solo per gli argomenti
che tratta, ma anche per l'andamento che la contraddistingue, pacato e
quasi incurante di trovare effetti o rime, semplice ma non dimesso,
tanto da non ricercare nemmeno una chiusa ad effetto, epigrammatica,
come se i testi provenissero direttamente da un bloc notes, senza
eccessive mediazioni o patemi d'animo. In effetti è una poesia che trova
il suo essere non nella forma ma nella sostanza delle parole concrete
che usa, nella loro lineare consequenzialità, forse in quella che
potrebbe sembrare ingenuità (ma qui "ingenuo" va inteso nel suo etimo di
ingenito, connaturato), e che certo corrisponde a un genius loci
(e magari può sembrare strapaesana) a cui Sandra vuole rimanere fedele.
E allora ti rendi conto che l'insularità non è solo isolamento ma anche
protezione, localizzazione, ancoraggio in qualche insenatura sicura. (g.c.)
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Domenica, 8 gennaio 2012
"Possa perdonarmi la parola se la uso per parlarmi
/ mentre picchio e picchio contro il tronco / a scavare un incavo,
dove raccogliermi", dice Sandra in un frammento in epigrafe a questa
piccola raccolta inedita. Come a scusarsi di una scrittura certo lirica,
con molto "io" dentro, ma certamente non egocentrica. Del resto la
parola non è un "altro da sé", men che mai in poesia; non è un dio che
"parla attraverso", è semmai proprio lo strumento con cui si scava il
nostro simbolico tronco.
E in effetti la
cifra di questi versi è appunto, credo, l'uso di una lingua "consunta",
ma nel senso buono, come i ciottoli che si trovano su certe spiagge
elbane. Cioè naturale e levigata dall'uso e dalla natura del linguaggio
stesso, un attrezzo familiare con cui percuotere e far risuonare i
ricordi, i dolori, le malinconie.
Malinconia, certo. E nostalgia, qualcosa che mi piace chiamare un piccolo nostos,
appunto, necessità di un ritorno o di una ripercorrenza, non sempre
possibile, di sentieri, di momenti. Dall'Elba alla terra ferma e
ritorno, a Pisa o Livorno, da una casa all'altra, dalla quiete alla
lotta, in una certa orizzontalità fisica del percorso, mentre il
verticale del tempo è affidato alla perentorietà narrativa
dell'imperfetto e del passato remoto, cosa già di per sé encomiabile.
Tempo che così rimarca il non detto, il non fatto. Forse anche il non
scritto.
Tuttavia non si deve credere che si
tratti di lirismo puro e semplice, magari con tutti i suoi bei rimandi
letterari, alcuni lampanti. Direi innanzitutto che non ha importanza
classificare in tal senso questi versi, e a Sandra nemmeno interessa.
Semplicemente la sua voce è quella, con quella si distingue e si
esprime, su un terreno che, alla fine, non è più ego-centrico ma comune a
molti di noi, cioè di una esperienza esistenziale riconoscibile, di una
sostanza metaforica "semplice" e perciò immediata, cognitiva. Una voce
certo marcata da ciò che Sandra chiama, con un termine che ho usato
anch'io in altra occasione, isolitudine: una condizione
speculativa sullo spazio, l'orizzonte lontano, la vastità del mare (c'è
sempre una "città sul mare simile a una luminaria", una "finestra
mirante il mare"), ma insieme sentimento di una "terra avvolta
dall'azzurro" la cui "dimensione domestica" può essere anche prigione,
ripiegamento, quasi luogo endemico di un confronto costante con sé
stessi, i ricordi, i rimpianti, l'esistenza. (g.cerrai)
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Lunedì, 3 marzo 2008
Pubblico alcuni testi tratti da "Il lavoro del vento" di Alessandra (Sandra) Palombo, Ed. Liberodiscrivere, Genova 2008, prefazione di Manrico Murzi, nota di L.R. Carrino. Di Sandra ho già pubblicato, con commenti, la silloge "Rosso mobbing" (v. qui). Per un commento, partecipato e empatico, di M.G. Catuogno, rimando qui.
L'orizzonte
Gli occhi indugiano sull'orizzonte alla
ricerca di segni. Sirio è silenziosa e di-
stante. Tutto è compiuto, tranne il cielo.
Lungo il tratturo i segni si fecero verbo,
i sogni deformi.
Avevo forme e misure perfette, novanta
di seno, sessanta di vita, novanta di fian-
chi. Lui succhiò il nettare, ne fece miele
e lo ricoverò.
Arriverà la vecchiaia, forse prima la
morte , nella stanza. L'Ostia spezzata tor-
nerà intatta, la materia non avrà più peso.
Intanto sommo attimi, attimi e sogni.
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Venerdì, 22 giugno 2007
Pubblico qui la stesura definitiva della silloge Rosso mobbing di Sandra Palombo, non ostante che nella sua versione in progress sia già stata letta tutta o in parte su La poesia e lo spirito, su Lo specchio e altrove, perchè mi interessa per un discorso che sto facendo in questo periodo, stimolato proprio da uno scambio di idee avuto con Davide Nota di recente. Partito dalla questione della territorialità della poesia (concetto ormai superato almeno per il fatto che in questa epoca di tarda modernità globale il locale ha uno scarso impatto sulle problematiche della poesia), il discorso è approdato ad un concetto di "territori paralleli", che può darsi possa essere ancora legato a un suo connotato geografico, ma a me fa venire invece in mente paralleli territori dell'esistere o della riflessione sulla realtà. Palombo si inserisce egregiamente qui. Perchè è una donna, ed è una donna inserita nel mondo del lavoro, ed è insieme una poetessa consapevole e senza timidezze che, mentre rinuncia alla poesia come strumento puramente lenitivo o consolatorio, riconosce in pieno ad essa il suo statuto di strumento principe di decifrazione della realtà, per quanto soggettiva essa possa essere. Non è forse un territorio questo, ampiamente percorribile? Non è forse uno dei tanti che la poesia può esplorare con piena legittimazione? Non è certo un caso che in questi testi l'apparato formale sia in un certo senso secondario rispetto al narrato, all'esperienza, all'offerta fatta al lettore di una sofferenza che diremmo sociale e perciò di tutti, tanto per tornare al discorso da cui siamo partiti. E tuttavia il dato biografico non schiaccia in questi testi il dettato fortemente poetico, a tratti quasi lirico, come nella bella "Fine settimana", anzi riesce a trovare punti di equilibrio di apparente fragilità, come nell'efficace "Mobbing", un tautogramma di impronta oulipiana che però, come certi esercizi di stile, rischia di "raffreddare" la spinta poetica. E c'è perfino un'eco ungarettiana, nell'epigrafe a questa piccola raccolta: "In ufficio si sta come un foglio / di carta riciclata accartocciata / nel cestino". Insomma, una materia quotidiana e moderna, un "territorio" che Sandra filtra con una particolare sensibilità, che potremmo quasi definire "psicosomatica" ("lo stomaco rumina un rimbrotto"; "la laringe sigilla la rabbia"; "pensieri in catena gonfiano l'ansia", ecc), traduce su un piano interiore e restituisce come esperienza condivisibile.
Alessandra Palombo, nata a Livorno nel 1955 , vive all’isola d’Elba nel comune di Portoferraio. Laureata in lettere e filosofia ha pubblicato vari articoli di storia sulla biblioteca elbana di Napoleone I, due libri di poesie, Iomare con prefazione di Manrico Murzi e nota di Giorgio Weiss (Genova, Liberodiscrivere 2004) e Tautogrammi d’amore e d’amarore, con introduzione di Raffaello Aragona (Genova, Liberodiscrivere 2005), oltre a racconti e poesie in antologie e riviste cartacee e online. Il suo blog è http://sandra-isoladimare.blogspot.com/
ROSSO MOBBING
di
Alessandra Palombo
In ufficio si sta come un foglio di carta riciclata accartocciata
nel cestino.
Fine settimana
Anche questa settimana è passata. Nessuna novità sul fronte del lavoro. C'è il sole e pochi turisti per strada. Presto il paese scivolerà nel silenzio totale. Il diminuire dei rumori va di pari passo con lo scemare della luce del giorno. Settembre però è il periodo più bello. L'aria è tersa, fa caldo e non c'è afa. Si dorme bene dopo pranzo. Nel sogno lei saliva una scala che da una camera da letto portava
al piano superiore per terminare su un varco, ad arco.
Chiunque poteva entrare in lei e uscirne. Ecco perché ha vissuto con la paura dentro. Le ha salite una seconda volta, in compagnia di un'amica. C'era la porta stavolta, ma tutti avevano la chiave. Ha pensato che avrebbe dovuto cambiare il tamburo della serratura. La casa, di campagna, era al centro di un grande giardino all'italiana
con tanti alberi secolari e salici e lecci e sughere e viali di ghiaino
con aiuole di rose, circondato, a sua volta, da gialli campi di fieno tagliato
che formavano un tappeto ispido.
Sogna sempre case strane quando attraversa periodi di particolare tensione. Case che hanno le fondamenta a falce di luna, come le barche,
instabili e oscillanti,
case buie sotterranee,
case che ha poi rivisto nella realtà,
case di campagna e case di città,
case italiane e di paesi lontani. La sua casa interiore non è solida, se colpita da fortunali, traballa e le appare in
sogno. La più bella che ricorda è una piccola costruzione in pianura.
Davanti all’entrata aveva un mare viola, una distesa di lavanda fiorita. Il suo mare interiore sciaborda.
Ha due giorni di tempo per calmare le acque e recuperare. Adesso è stanca. Il pensiero è fisso all’ufficio. A che serve studiare e pensare con la propria testa? Per anni ha lavoravo sodo, è stata sempre disponibile, è stata scema. Per lo stipendio si deve lavorare. Non per altro. Obbedienza e sottomissione serve, e anzianità di servizio. Il resto solo parole…parole…, anzi bolle di parole. Il sole sta tramontando, l’aria è ferma , il mare una piana. Spera stanotte di non sognare case.
Mobbing
Mi mandò, manager, mendaci messaggi, mi mortificò mediante mansioni minori, magistralmente mi maltrattò molto, moralmente.
Montò malumore malessere, malinconia mestizia. Marcai malattia. Meditai.
Morale: Magistratura? Macché! Meglio minimizzare muoversi, mutare mestiere magari monotono, ma meno molesto.
Etica
Anche se lo stomaco rumina un rimbrotto - è utile l’etica se riscuote il contrario? - la laringe sigilla la rabbia che vorrebbe gridare: Ingiustizia!
C’è da perdere il sole e il sorriso pensando all’impiego passato, presente e a quello futuro, estraneo quanto l’unghia di un pesce.
Ansia
Sul binario di scambio non riesce a stare ferma la mente. Pensieri in catena gonfiano l’ansia e s’incuneano, come processionarie ai pini nel ventre e nel cuore, ora con rabbia, paura e tristezza ora con fiori, colorati e odorosi.
Rossomobbing
Nei tornanti interiori onde morbide striate di rosso scolorano la rabbia invasiva che fa perdere il sonno ed il senno. Rosso è il mobbing, rosacqua la quiete.
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