Martedì, 9 agosto 2016
In un post pubblicato il 17 ottobre 2008 su "Oboe sommerso", il blog di Roberto Ceccarini, leggevo su suo invito "Lettera da Praga" di
Francesco Marotta (http://oboe.altervista.org/blog/?p=124)
apparso per la prima volta in Hairesis, (E-book, Milano, Cepollaro E-dizioni, 2007). Il file audio sembra non più accessibile su "Oboe sommerso", così ho pensato di
ricrearlo sulla base della registrazione che feci, mixandola con un diverso sottofondo musicale (*), non avendo più a disposizione quello originale, che -
credo - fu inserito da Tonino "Vaan" Vasselli. Il juke box poetico (progetto di lettura) voluto da Roberto Ceccarini era davvero una buona idea che
meriterebbe di essere ripresa, magari ampliando l'offerta mediatica con i mezzi che ci sono adesso (è ancora fruibile quasi completamente su
oboe.altervista.org/blog, numerosi gli autori presenti).
Mi fa piacere ripubblicare, per quello che vale, questo piccolo contributo/omaggio anche in relazione al fatto che si riaccende l'attenzione, peraltro mai sopita in chi lo conosce, lo
stima e gli vuole bene, per l'opera di Francesco Marotta, attenzione che in questi giorni ha trovato un fortissimo impulso nel libro di Marco Ercolani -
"Il poema ininterrotto di Francesco Marotta" - Disegni di Francesco Balsamo - Carteggi Letterari Le edizioni, una antologia di testi e di critica di sicuro
interesse.
Ricordo che nella stessa data pubblicai su Imperfetta Ellisse una nota a margine, che ritengo ancora contenga qualche spunto di riflessione (v. QUI).
Il file audio (necessita il plugin shockwave-flash abilitato)
fango dislagato in pozze di cielo l’urlo che annaspa stretto alle sue radici musica sghemba s’irida in prospettive e note di volo disordine necessario che ripete l’occhio a curare lampi malati –
e allora ripensi il chiarore il suo profumo offeso soglia che immette in terre senza luogo dove calchi di vento segnano il confine tra attesa e oblio e il futuro è un volto che riemerge da franate memorie sottovetro una catena di passi marcati col sangue uno a uno dalla foce del Sele alle porte del Hrad un ponte di croci gettato sull’abisso…
mio padre coltivava sogni dietro il filo spinato di terragne lune tra cumuli di vite lasciate a marcire e una viola spuntata per caso in pieno gelo li allevava nel piscio nel vomito di bocche smembrate proprio i sogni che resistono alla deriva degli anni quelli che lasciano una traccia indelebile ad ogni risveglio
un papavero che vigila le messi un fiammifero che urla alla marea un’ala trafitta di chiodi un frammento di buio strappato a un delirio di luci
forse già da bambino abitava il fuoco che il giorno porta iscritto dentro il palmo gabbiano insonne che misura il naufragio della storia come si guarda il tempo di una vela in balìa delle onde del crepuscolo –
ora dal reliquiario delle sue sacre ombre qualcuno libera serpi a impastare il pane delle stelle
…
solo la sua mano ancora s’illumina all’oracolo sapiente della spiga recita parole d’esilio esorcismi contro l’artiglio uncinato della grandine una preghiera a un dio senza altari un breviario di immagini dove il fumo che spunta dai camini non è alito di ceri e d’incenso ma un respiro che ieri aveva occhi e voce
era dita smagrite d’infanzia che disegnavano rotte di astri splendenti sulle pareti dell’inferno nei corridoi di Terezin o tra le case sventrate del ghetto – era bambini che ritagliavano ali di luce scavando coi denti nell’ombra incidendo brandelli di pelle sul corpo inesplorato degli anni dove non sarebbero stati –
rischiaravano la pianura boema annerita da nuvole d’acciaio solcata da transiti di uomini cavie stipati nel ventre di carri bestiame…
… se ti fermi e accarezzi la terra che conserva il calore la linfa di giorni infiniti mai nati ogni stelo che spunta ai tuoi piedi ha la forma di un calice – simbolo perenne di un unico rito il ritorno ai deserti di un grido
…
(i vivi – diceva è appena un rigagnolo di vino memoriale della terra e delle stagioni che dall’orlo colmo cade e accende sui prati alfabeti fraterni di assenza – lumi apparecchiati per la cena interminabile dei morti )
ogni sera accosto alle labbra la sua pupilla di sopravvissuto – estranea a un mondo che rimargina ferite con l’oblio l’orrore con il balsamo e i drappi putrefatti dell’eterno
– incessante dismisura del sentire mappa vegliata da silenziosi inverni dalla neve che cova salici e mulini giorni d’alveare nel cratere dei numeri abrasi sfrangiati dall’unghia della tenebra sul braccio – muta sorgente di polvere
rifiorita d’albe nel passaggio
Si può inoltre leggere qualche altro testo di Francesco Marotta QUI
(*) "Aleatory2" - generative music elaborata al computer.
Martedì, 3 dicembre 2013
Quanti ne ho mangiati di lavarelli (o coregoni) durante i miei soggiorni sui laghi lombardi. Bei ricordi, anche quelli. Il pesce d'acqua dolce di Giampiero Neri ha un'evidenza quasi scientifica e una sostanza affatto poetica, che si insinua e si installa nel testo per mezzo di una semplice osservazione, minimale, apparentemente oggettiva, e che sembra non entrarci niente: "ha la testa piccola, come di chi deve pensare poco". Ti diventa simpatico, come chi si suppone essere inoltre "pigro e pacifico". Come sono familiari, comuni, sono noi, i personaggi di "Liceo", collocati un uno scenario urbano e borghese dove i fatti, anch'essi, si presentano con una loro evidenza "slegata" e del tutto diacronici, connessi tra loro solo da una affascinante mancanza di causalità, su cui proprio l'atto poetico di Neri è intervenire a mettere ordine. Ed è l'intervento che si rispecchia in "Procedimenti", metafora dell'atto artistico che "alla fine rivela una luce propria, che attraversa una vasta ombra". Poesia in prosa, prosa poetica, prosa in prosa, linea lombarda (o forse del Garda, o meglio comasca)... In fondo che importa, oggi, leggendo questi testi che risalgono alla fine dei Settanta, pubblicati poi nella seconda opera di Neri (Liceo, Guanda 1982), e che allora suonavano così originali? Dice molto bene Francesco Marotta a proposito di Giampiero Neri:
"Il registro, il timbro originale della sua voce, è rintracciabile in un magistrale e originalissimo connubio tra un tono ironico, di ascendenza socratica, e una oggettività scientifico-didattica che si dispiega in descrizioni minuziose, come passate a un microscopio che ne rivela finanche i più estremi particolari: particolari che l’occhio, educato da secoli di visioni d’insieme, e per ciò stesso escludenti – dal momento che lasciano vivere un dettaglio solo a patto che rientri nella struttura piana e immediatamente decodificabile dell’immagine -, spesso tralascia, come elementi affatto marginali, come schegge refrattarie, impazzite, che non sedimentano. Ed ecco che la poesia, in questi termini, nei “suoi” termini, diventa, e si pone, non come il segno distintivo di un’esperienza finalizzata a trascendere il dato concreto, ma come traccia ed espressione, attraverso il particolare, di un’oltranza all’interno di una pluralità di sensi (...) La rinuncia, nella costruzione del corpo vivo del testo poetico, a qualsiasi collante di natura lirica, a ogni forma di soggettivismo che, in maniera preponderante, utilizzi la descrizione dell’oggetto al fine esclusivo, anche quando non dichiarato, di dare voce al sé che lo sostanzia, risponde in Giampiero Neri all’esigenza, eticamente pregnante, e pressante come un pungolo sempre in movimento, di costruire dei nuclei di senso autonomi all’interno dei quali è facile, perché storicamente “possibile”, riconoscersi: il riconoscimento identitario, così ottenuto, esclude a priori che una qualsiasi esperienza soggettiva possa mai ipostatizzarsi in verità assoluta, da una parte, o in una indicazione di percorso escludente qualsiasi altra ipotesi, dall’altra. Un’esigenza etica, dunque: di un ethos che si dispiega nell’accettazione degli avvenimenti come “destino”, un informe o ordinato reticolo di segni sempre da interpretare e da reinterpretare, pur nell’apparente uniformità delle immagini che si offrono all’ascolto della parola. L’esistenza, intuita come destino, quindi, utilizza, quale chiave di accesso privilegiata a questi segni, un intero alfabeto fatto di glifi, segni, figure ed elementi naturali la cui osservazione e descrizione realistica permette di chiarirne qualcuno, mai di spazzare via definitivamente il buio che è alla radice di ogni visione (...)". (Il testo integrale dell'articolo, che consiglio di leggere, è reperibile QUI, dove è possibile trovare anche altre poesie di Neri).
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Venerdì, 11 gennaio 2013
Bene, il blog di Francesco Marotta, uno dei luoghi più significativi
della poesia in rete e non, ha riacquistato la sua piena visibilità,
dopo essere stato oscurato da Wordpress per qualche giorno. Ne sono
particolarmente felice.
Non vorrei farla lunga, ma mi andava di buttar giù qualche
considerazione in margine alla vicenda dell'oscuramento de "La Dimora
del tempo sospeso". Ne ignoro le ragioni, certo, ma la cosa è di per sé
irrilevante, stante il fatto che l'azione di Wordpress è stata tanto
stupida (in quanto probabilmente "meccanica", o legata a qualche astrusa
regola di policy) quanto sproporzionata e del tutto
ingiustificata. Quindi le ragioni non sussistono, a prescindere.
Comunque l'effetto immediato è stato che parecchi di noi (Francesco dice
centinaia, e mi piacerebbe davvero conoscere i numeri) hanno messo in
moto su Facebook un tam tam, avviato se non sbaglio da Viola Amarelli, e
hanno bombardato Wordpress di email di protesta. Questa in breve la
storia. Credo che sia la prima volta che capita, almeno in questa
nicchia digitale.
Dunque una comunità poetica e sociale esiste? Direi di sì, almeno in
una accezione più vasta, non quella di addettucci ai lavori, ma quella
di gente che legge, scrive, commenta, a vari livelli e con vari esiti,
la poesia. Gente che si incazza se gli chiudono uno dei siti poetici
preferiti. Quindi un numero indefinito di persone interconnesse e
intrecciate, come se tutti i giorni, in tutte le librerie d'Italia e per
parecchie ore al giorno, parecchi lettori, scrittori, critici e
semplici curiosi si incontrassero, scambiandosi una massa di
informazioni di sicuro non quantificabile ma certo cospicua. Forse un
mare magnum, certo, spurio e multiforme, e tutto sommato niente di
eccezionale, se si guarda la situazione internazionale. E non mi sto
nemmeno a chiedere che percezione hanno di tutta questa faccenda le
majors editoriali, i canali tradizionali, le università. Una storia di
mondi paralleli, ma così è.
I social network, se li spurghi da tutte le fanfaluche che vi
proliferano, si confermano uno straordinario strumento (come tutti gli
strumenti quindi vanno usati "bene", non solo per le foto del gatto o i
pensierini del mattino), a maggior ragione in questa occasione in cui
Facebook ha di fatto operato una bella sinergia a favore di uno
strumento oggettivamente più anziano ma infinitamente più ricco e
"letterario" come il blog. E' per questo forse che bisognerebbe
rimeditare questa bella esperienza, o almeno dovrebbe farlo chi ritiene
la poesia una forma di "resistenza" artistica. Senza ovviamente deliri
di potenza.
In questa realtà che possiamo chiamare digitale sembrano attivarsi
dinamiche appunto "sociali" impensabili altrove, ad esempio
nell'editoria tradizionale o nei rapporti accademici. Voglio dire,
questa mobilitazione spontanea non sarebbe stata forse possibile da un
punto di vista, per così dire, puramente ideale, solo legato all'idea,
magari romantica, della poesia come bene assoluto. Ma certamente essa è
stata invece sostenuta dal punto di vista affettivo. Insomma,
all'interno di queste realtà, il termine "amicizia" ne è uscito per una
volta molto meno impoverito. Un fatto di una certa importanza. Evviva. (g.c.)
Approfitto dell'occasione per ricordare (ma non ce n'è bisogno) che
Francesco non è solo il generoso gestore di un blog importante, ma anche
un eccellente poeta. Perciò ecco tre testi in cui è centrale la fede di
Francesco nella purezza di una parola etica e poetica, Sono tratti da
"Per soglie di increato", un bel libro credo ormai introvabile
(l'editore, "Il crocicchio", non esiste più). Andrebbe ristampato. Vi
invito inoltre a leggere, se non lo avete già fatto, questi altri due
post QUI e QUI, sempre di e su F. Marotta.
Continua a leggere "Sul ritorno della Dimora"
Mercoledì, 9 gennaio 2013
Non so cosa esattamente sia successo. Sta di fatto che da qualche giorno l'accesso al sito dell'amico Francesco Marotta, "Rebstein - La dimora del tempo sospeso" è stato sospeso da Wordpress. E' un periodo non facile per Francesco, da sparse notizie che ho, ma non credo che questo abbia qualche relazione con la sospensione del blog. Non so nemmeno se ci sono concrete possibilità di aiutare Francesco, ma intanto rilancio il post che Alessandra Pigliaru ha pubblicato sul suo blog "Gli occhi di Blimunda". Contiene considerazioni che condivido e l'indicazione di una piccola azione che possiamo intraprendere per spingere Wordpress a revocare la sospensione. La "Dimora" è un luogo di poesia che tutti abbiamo frequentato e amato. Dobbiamo salvaguardare questi spazi preziosi. (g.c.)
Da un paio di giorni il blog gestito da Francesco Marotta
è stato oscurato da wordpress. Non se ne capiscono le ragioni, e
neppure quali siano le ipotetiche violazioni che un antipatico messaggio
automatico lascia intuire. Mi domando dunque cosa ci sia ne La Dimora del tempo sospeso
di così scandaloso e inopportuno da aver addirittura suscitato un
provvedimento simile. Con tutte le schifezze che galleggiano nel mare
magnum della rete, non mi so capacitare di una censura ad un blog di
poesia letteratura e filosofia. La Dimora di fm è un luogo di tale
spessore culturale che in tutta sincerità dovrebbe essere tutelato e
custodito. In questi anni di lavoro molti sono i contenuti ormai
imprescindibili, tanto che molti dei post presenti nel blog sono a tutti
gli effetti da considerarsi come fonti bibliografiche utilizzate in
tesi di laurea e saggi critici. Ora mi domando e dico come sia possibile
che una piattaforma seria come wordpress possa permettere una cosa del
genere. O forse devo pensare che anche qui vige la regola della
segnalazione anonima a vanvera e che bastano pochi click per poter
spazzare via cinque anni di lavoro paziente mosso unicamente dalla
passione? Se così fosse e se in tempi brevi il blog di fm non venisse
ripristinato, gliocchidiblimunda emigreranno verso altri lidi. Se La
Dimora viene soppressa per una regola idiota come quella della
segnalazione anonima, vuol dire che non c’è posto neanche per me qui.
*
Nel frattempo copio e incollo il testo della mail gentilmente fornito da Roberto R. Corsi nella bacheca fb dell’amica Viola Amarelli – che ringrazio – unitamente al suo invito:
A supporto dell’esigenza di riavere
disponibile tutto l’encomiabile e prezioso lavoro di Francesco vi invito
se interessati a inviare questo testo a http://en.support.wordpress.com/suspended-blogs/ inserendo
il vostro nome e la vostra mail, e nello spazio “url del sito”
rebstein.wordpress.com (in alternativa, si può inviare lo stesso testo a
support@wordpress.com – l’indirizzo compare nella discussione in un
forum wp e spero che funzioni ancora).
Testo:
Hello, I am writing this one as an occasional contributor and regular
reader of the italian blog “La dimora del tempo sospeso”, hosted by you
at url http://rebstein.wordpress.com/
. Such blog has recently been suspended for a claimed violation of
terms; please note that this blog is solely devoted to Italian
contemporary poetry and literature, and doesn’t mean to host or promote
any materials in violation to your terms of service.
After being in talks with the administrator Francesco Marotta I assume
that he has already sent three feedbacks via your form without any
response from you, and he’s now clueless. Therefore I kindly ask you to
clarify asap with the admin the exact nature of such eventual breach,
and make every possible and prompt effort to reactivate this blog which,
with dozens of essays and ebooks donated by poets, constitutes a vital
resource for anyone who’s interested in taking a snapshot of italian
contemporary poetry.
Sincerely yours, e poi la vostra firma.
Venerdì, 17 ottobre 2008
Roberto Ceccarini mi ha chiesto di leggere, per la sua rubrica "Progetto lettura" su "Oboe sommerso", un testo di Francesco Marotta, "Lettera da Praga", tratto da "Hairesis", un ebook pubblicato a suo tempo da Biagio Cepollaro. E' una cosa che ho fatto con grande piacere, la trovate qui. Colgo l'occasione per pubblicare una nota a margine su questo poemetto di Marotta.
Se non c'è memoria diretta (per ragioni anagrafiche o per semplice fortuna) della tragedia e della orrenda banalità del male di arendtiana memoria, c'è almeno, nella sensibilità dell'artista, "intuizione", nel senso pieno, anzi etimologico del termine. Questa intuizione, o empatia nei confronti delle vittime, di quegli uomini sulla cui "entità" Primo Levi si interrogava, non è forse una delle missioni del poeta, ed insieme uno degli strumenti principi di questa missione? Ed egli, con la sua capacità di ricreare la lingua e con essa il dire e il raccontare, non svolge con questo un'azione eminentemente politica, affondando le proprie radici nella storia? Dico queste cose pensando proprio al testo di Francesco Marotta, più o meno come le pensavo, con qualche distinguo, quando leggevo "Giorni manomessi" di Roberto Ceccarini. Anche qui c'è innanzitutto l'accettazione di una eredità, di un legato, come potremmo dire in termini giuridici, l'accoglimento di una discendenza o di elementi biografici forti che la sensibilità di uomo e artista non può disconoscere, anche se si guardi la Storia da un limes, da una soglia, come osservava S.Aglieco parlando di "Per soglie di increato". Da questi elementi e dal loro recupero o restauro è poi possibile innalzare lo sguardo con animo consapevole - e appunto empatico - alla storia, piccola o grande che sia. Incidentalmente, dal punto di vista della poesia la Storia, anche quella che scorre ora nelle nostre vite, non è affatto finita, con buona pace di alcuni pensatori (e anche di molti poeti). Ma stavo dicendo: dal dato biografico o dalla memoria indiretta o da quella che ho chiamato intuizione, il poeta innesca dinamicamente un rapporto con riflessioni più universali, dal dettaglio anche liricamente intimo e domestico alla visione di insieme della tragedia, in altre parole (e questo è il prodotto artistico) egli universalizza per noi il suo legato e ce ne rende partecipi. Mi viene in mente ora che avevo già espresso questo mio avviso, almeno indirettamente, quando mi fu posta la domanda principe "che cosa è la poesia?". Nessuno lo sa, e tuttavia nessun poeta rinuncia al tentativo di dire la sua. Risposi (scusate se mi cito): "è anche vero (...) che è memoria e immaginazione. Cioè realtà e invenzione, tradizione e tradimento, in altre parole contaminazione e meticciato della nostra stessa storia. Con memoria e immaginazione torniamo alle radici stesse della poesia (...). Mi piace pensare, pur con tutte le distinzioni del caso, che anche la poesia attuale, che pure non ha niente di epico anzi è fondamentalmente poesia di crisi e ripiegamento, debba poggiare su questo binomio o binario, che è anche piedi, cioè radicamento nella realtà e nel vissuto, e testa, ideazione, ingegno, artigianato, linguaggio capace di creare l'immagine (ecco l'immaginazione, letteralmente) che estende la percezione di qualcosa che da privato (del poeta) diventa condivisibile ma non ovvio, anzi disvelante. A voler essere radicali potremmo dire che la poesia è così, o non è. E allora faremmo meglio a lasciarla nel cassetto". Credo che il testo di Marotta sia un bell'esempio, etico e poetico, di questo. Pur lamentando "il naufragio della storia", compie la scelta (hairesis, il titolo del libro, "fare la scelta", fino all'eresia) di dare voce anche a quei "giorni infiniti / mai nati", non dimenticarne la linfa, combattere "la deriva degli anni", rinnovare "franate memorie sottovetro" di quei bambini sul cui corpo, "inesplorato degli anni / dove non sarebbero stati", la Storia ha infierito.
Martedì, 8 luglio 2008
Francesco Marotta ripropone su La Poesia e lo Spirito (v. qui), con alcune aggiunte, i miei testi che aveva ospitato sul suo blog La dimora del tempo sospeso (Rebstein) qualche mese fa. Si tratta di poesie che appartengono a periodi anche molto distanti tra loro, cosa che credo si intuisca abbastanza, e tra esse qualcuna mi piace di più, qualcuna di meno, e forse oggi andrebbe scritta diversamente. Tutte le poesie che scrivo hanno una data, che qui è stata volutamente omessa. Se c'è un filo che le unisce spero che emerga per le solite vie traverse che la poesia percorre...
Ringrazio Francesco per l'amichevole attenzione e il patron Fabrizio Centofanti per l'ospitalità.
Lunedì, 14 gennaio 2008
Nemmeno Gesù ha lasciato impronte dei suoi passi sull'acqua del lago di Tiberiade. Le ha lasciate nelle parole, o nella Parola, se volete. E' dalla parola che si ritorna all'impercettibile, a quello che è esistito, nella realtà del mondo o del poeta, e non c'è più oppure non c'è ancora, ma è esistito per il fatto stesso di essere stato "pensato". Rinvenire impronte sull'acqua potrebbe essere perciò una buona definizione della poesia, in quanto, secondo alcuni, arte inutile, oppure perchè appunto, secondo altri, compito della poesia è inventare il mondo che c'è, riscrivendolo.
I versi di questo libriccino di Francesco Marotta, scarno e essenziale, fatto di pochi testi come se rispondesse all'urgenza di uscire subito alla luce, non sono facili. Pretendono dal lettore un'attenzione (o una discesa, se preferite) non petulante nè edonistica, e quel rispetto che compete a un lavoro meditato e sofferto, ovvero, se posso rubare le parole a un grande, richiedono a chi legge "un più intenso rendez vous". Edificati appunto sulla fiducia nella capacità della parola di ricostruire la realtà a partire dalla sua frantumazione, nel tentativo eroico del dire, questi testi si dispongono seccamente sulla pagina in versi cosi' corti da essere singhiozzi, fatti come sono anche di singoli sintagmi o da enjambements (o sinafìe) così perigliosi (nel/l'orbita, tra/passano, in/quieta) che inibiscono costantemente la completezza della frase, come a significare che nemmeno la convenzione, il codice della lingua è un dato certo, e non bisogna farsene illusione. E tuttavia ci si immagina, con grande soddisfazione, come recitare a voce alta questo ritmo sincopato e drammatico, come se il suono stesso della nostra voce prestata al poeta fosse già un necessario viatico alla comunicazione. E' il privilegio del lettore. Di questo linguaggio, spezzato, indeterminato, scarso di connettivi sintattici, già Luigi Metropoli nella postfazione a "Per soglie di increato" aveva correttamente richiamato da una parte l'ermetismo e dall'altra il simbolismo attestandone però la funzionalità descrittiva, non ideologica. In altre parole, aggiungerei, Francesco ne fa qui, molto bene, un uso complessivamente connotativo: è lo stesso linguaggio che dipinge a larghi strati la complessità del vivere, la difficoltà dei rapporti, l'ardua decifrazione del mondo. Con questa consapevolezza perfettamente moderna (questa sì con parecchie parentele nel Novecento), Marotta, che come ogni poeta è anche un Robinson, raccoglie scarti, relitti, oggetti di risulta e costruisce le sue architetture. Così oggetti fragili o appunto impronte che l'acqua non arriva a trattenere, siano essi metaforici e immateriali (un graffio d'anima) o dotati di una loro indiscutibile concretezza (un amplesso / dissennato e coeso) aprono un varco attraverso il quale forse è possibile, dice il poeta, farsi una ragione delle cose e degli eventi. E' questo il supremo tentativo della poesia. Anche se a volte la verità (o la realtà, che però, ricordando Gadamer, sono la realtà e la verità più vere del poeta) "è un’eco, un’ / impronta su / un foglio di via", oppure "qualcosa / che arriva alla porta e / vapora sull’uscio / in forma di respiro" o ancora un "inchiostro che / vaga tra silenzio / e silenzio", per fortuna è pur sempre vero che "la pagina è pronta", che la parola trova la sua destinazione, sia essa il foglio o la mente del lettore in cui riesce a risuonare. Non potrebbe essere altrimenti.
Continua a leggere "Francesco Marotta - da "Impronte sull'acqua""
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