Lunedì, 6 giugno 2016
Il 10 giugno prossimo, alle ore 21, nel cortile maggiore d i Palazzo Ducale a Genova, nell'ambito di "Parole spalancate", XXII Festival internazionale di poesia, che si terrà dal 7 al 19 giugno (vedi QUI il programma completo), avrà luogo "In cerca di vite già perse", incontro/reading del poeta inglese Simon Armitage, presentato da Massimo Bocchiola, curatore per Guanda dell'antologia che porta lo stesso titolo.
Per conoscere l’Inghilterra di oggi e cosa significhi scrivere poesia che sa insieme comunicare e negarsi a un consumo prevedibile non c’è guida migliore
di Simon Armitage.
Già ospite del Festival Internazionale di Poesia di Genova una decina di anni fa, Armitage è ormai uno dei più importanti poeti inglesi.
Armitage è uno scrittore-poeta di professione, con frequentazioni anche come componente del gruppo rock Scaremongers, che passa dalle sue poesie originali
a riscritture (anche dell’Odissea), teatro, romanzi (L’omino verde). Soprattutto lavora per la televisione, producendo programmi che rivisitano episodi più
o meno tragici e crisi sociali: dall’anniversario della vittoria del 1945 a un’inchiesta sulla prostituzione (Pornography: The Musical) o sui reduci delle
tante ultime guerre.
Ecco qualche verso delle pagine scelte da Bocchiola:
«E un presidente ben messo si presenta in video per dire / perché dobbiamo darci dentro / e in questi casi per lo più è seguito / da un primo ministro
ben vestito… Chi sia stato a dire che la civiltà è profonda solo un pasto / poteva aggiungere che per quanta strada / crediamo di aver fatto, siamo
ancora / a una sola parola dalla guerra. / E ogni storia ha sempre almeno due facce, / ma quando le due facce dicono che stanno cercando / di fare
quello che si deve secondo il loro Dio / forse mentono entrambe…»
Armitage, poeta politico e dissidente all’interno di una società che dà spazio al contraddittorio, non ha difficoltà a trovare argomenti e non ne avrà
certo nei ferali anni seguenti. Scrive un po’ degli editoriali in versi, riprendendo la lezione del tardo Auden (grande esponente della poesia funzionale
alla società e ai nuovi media: anche i giornali). Ma le frasi fatte (come sopra quella sul pasto) si collocano felicemente e forniscono informazione al
lettore. In Armitage la violenza urbana ha buona parte, ma il tono è spesso sardonico. (Fonte: nota stampa del Festival, ma tanto vale leggersi sul Manifesto il più completo articolo di Massimo Bacigalupo da cui in parte è tratta QUI). Pubblichiamo di seguito alcune poesie di S. Armitage.
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Mercoledì, 17 dicembre 2014
Eliot fa parte, insieme ad altri, delle mie lett ure "curative", quando il troppo è troppo e c'è la necessità di ripristinare un certo livello qualitativo, di rifarsi la bocca, di restaurare certe pietre di paragone. Insomma di fare "rehab". The hollow men, un testo del 1925, mantiene a distanza di 90 anni una drammatica attualità, anche al di là della componente mistica che certo lo innerva (l'autore si stava avviando verso la sua conversione al cattolicesimo che troverà espressione ad esempio in Mercoledì delle ceneri del 1930). Il poemetto è introdotto da due epigrafi. La prima (Mistah Kurtz—he dead, Mister Kurtz - è morto) è tratta da "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad ed è la notizia che Marlow, il protagonista, apprende da un servitore durante il ritorno dal viaggio di ricerca del misterioso Kurtz. Incidentalmente, una delle scene magistrali di "Apocalypse now" di Francis Ford Coppola (1979), che come noto trasse molta ispirazione da Conrad, è quella in cui Marlon Brando, nelle vesti del tragico colonnello Kurtz, recita proprio The hollow men, in un geniale intreccio culturale (v. QUI, in inglese) che, vale la pena di ricordare, rimanda al "riutilizzo" del serbatoio della tradizione così come lo intendeva Eliot nel suo saggio "Tradizione e talento individuale" del 1919 (v. meglio QUI). L'altra citazione (A penny for the Old Guy, un penny per il vecchio Guy) punta direttamente al secondo verso poiché fa riferimento ai fantocci impagliati che il 5 novembre tradizionalmente i bambini inglesi portano in giro chiedendo un penny, fantocci che poi saranno bruciati in ricordo della esecuzione di Guy Fawkes, che nel 1605 tentò di assassinare il re Giacomo I e i membri del Parlamento con una esplosione. Da notare, anche qui incidentalmente, che la maschera rappresentativa del personaggio Fawkes ha fatto anch'essa il suo percorso culturale fino a diventare il simbolo di movimenti di protesta contro l'ordine costituito come Anonymous o Occupy. Ma l'uomo di paglia, per Eliot, vale un penny. Gli uomini vuoti, gli uomini "impagliati" del 1925 che nel poemetto si presentano in prima persona ("noi") non si differenziano certo da quelli del terzo millennio che stiamo vivendo, non sono diversi da noi. Il vuoto, che non è solo quello esistenziale, che subiamo, ma anche quello che creiamo, spesso deliberatamente, o quando "l'ombra cade" tra il pensiero e l'azione, tra il potere e il fare, senza che noi interveniamo, è fatto di usura delle parole "secche", della loro inconsistenza, della sterilità di chi popola desolatamente ("figura senza forma, ombra senza colore, / forza paralizzata, gesto privo di moto") una "terra desolata", una "valle di stelle morenti". Gli uomini vuoti brancolano, ammassati sulla riva di un fiume che assomiglia molto a un dantesco Stige pieno di accidiosi, girano irresoluti intorno a sterili simulacri. Attraverso una serie cospicua di simboli, metafore e quei correlativi oggettivi la cui "invenzione" è tradizionalmente attribuita a Eliot e che tanta importanza hanno avuto nella poesia moderna, il poemetto si avvia al finale, estremamente moderno. La preghiera della quinta parte sembra essere un balbettio smozzicato ("Perché Tuo è / La vita è / Perché Tuo è il") che non riesce ad afferrare e coagulare quanto una voce fuori campo sembra suggerire. Non sembra che ci sia molta speranza. La chiusa è percussiva e folgorante insieme, con una estrema accusa di ignavia accidiosa che Roberto Sanesi, per quanto "whimper" possa essere tradotto restrittivamente anche come "gemito, lamento", rende lapidariamente con la parola "piagnisteo". (g.c.)
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Lunedì, 19 dicembre 2011
Difficile cavare un estratto da questo libro eccellente (Peter Russell, This is not my hour,
Edizioni del Foglio clandestino, 2010), perchè qualsiasi sua selezione
somiglia a guardare un panorama con un cannocchiale alla rovescia. Il
libro andrebbe letto e riletto nella sua completezza, poichè ricco,
articolato, colto, sapienziale, un libro che si apparenta a buon titolo
alla poesia di Pound e Eliot, incastonata però, almeno in questo libro,
in una forma classica come quella del sonetto, non solo di ascendenza
shakespeariana o miltoniana, ma anche del medioevo italiano. In questo
Russell ci è fratello, fratello della nostra tradizione migliore, oltre
ad essere stato nostro "conterraneo" avendo vissuto in Toscana, nel
Pratomagno, per circa venti anni, fino alla morte avvenuta nel 2003.
Il libro è frutto dell'affetto di Raffaello Bisso, curatore e
traduttore, che con esso porta a buon fine un impegno anche di amicizia
contratto con l'autore, impegno non indifferente non solo in termini
traduttivi ma anche di "interrogazione" del testo e delle cospicue
implicazioni culturali ad esso sottese, come dimostrano le note
accuratissime. "Se il sonetto é tra le forme adatte o tradizionalmente
adattate alla riflessione sapienziale, alla critica civile e culturale
ecc., meglio che fissato come ‘forma’ assoluta serve vederlo nel tempo e
nello spazio mutevoli della storia di una letteratura e nel fuoco della
prassi degli autori. Nei Sonnets, l’attenzione ai livelli del
testo indica la presenza di un altro elemento organico, essenziale alla
logica di funzionamento di questa scrittura, di cui regge parte del
carico comunicativo facendo convergere le parti verso l'intensificazione
e l'eccedenza espressiva". Su temi poeticamente essenziali, come
emergenze dal tessuto apparentemente pastorale: come "quello di
meditazione sulla fine, qoheletiana sui generis, ma in cui serpeggia secondo il virgiliano "Latet anguis in herba" (Ecl.III) la modalità dell'Et in Arcadia Ego" (Bisso),
accompagnata da una critica acuta alla società impazzita da cui il
poeta si è appartato, e da una osservazione della natura che diventa
anche, correlativamente, scatto e impulso della poetica russelliana.
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