Lunedì, 14 maggio 2018
«Raccolta di trascrizioni» e aggregazione in forma di pastiche in
molti casi, «centone di composizioni precedenti di uno o più
autori» (dal Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti UTET),
così ci informa l'autore nella Nota a fine testo, citando un passo di
Jolanda Insana sul «bisogno di fare e disfare», e mettendo a commento
Raboni della “poesia che si fa”, Gli esercizi platonici di
Pagliarani, i Palimpsestes di Genette, Zanzotto...
E in effetti questa raccolta, che si colloca dentro una tradizione
antichissima, mette a punto alcune considerazioni specifiche sulle modalità
del “fare poesia”:
- i rapporti di senso cambiano, ma reggono in altri modelli inediti e a
volte imprevisti, scombinando e ricombinando il materiale verbale («si
creano sbilanciamenti» osserva Insana a proposito di proprie esperienze
simili);
- è un modo per «giocare con ciò che si trova in giro» (ancora Insana),
quindi si pone attenzione alla disposizione a usare parole, oggetti, già in
circolazione, comuni;
- più che esercizi di scrittura sono anche e forse soprattutto «esercizi di
lettura», nel senso di lego (“leggere” e anche “scegliere”,
“raccogliere”);
- questo disfare e fare ci riporta alla poesia come a «un piccolo o grande
opificio» (Zanzotto).
La ricombinazione di significati ha tradizioni lunghe nel tempo e
consolidate nel Novecento, soprattutto in ambito francese, svizzero,
tedesco (Oulipo, dadaismo, parte delle Avanguardie) e angloamericano.
Nella raccolta di Rodolfo Zucco diventa materiale di creazione e di studio,
esercizi di scrittura in cui si sperimentano multiformi possibilità di
costruzioni linguistiche per indagare fin dove può arrivare la forza di
aggregazione del linguaggio, la sua disponibilità plastica. E parimenti
quali immersioni nei significati sono possibili, quali suggestioni si
agganciano a una forma di scrittura non empatica, distaccata, tenuta
insieme dalla misura delle parole, anche quando si tratti di linguaggio
arcaico, specialistico, gergale, colloquiale, plurilinguistico. Le
“restituzioni” ci offrono un testo sorvegliato, misurato, mai dirompente o
eccessivo. Come se l'intento primo dell'autore fosse stato quello di
mantenere un equilibrio interno, una proporzione nel dicibile, lavorando di
scelta ponderata, di presa di misura negli accostamenti. Questo
procedimento non diminuisce la creatività, ma libera la disposizione
autonoma alla ricerca, senza eccessi o sovraccarichi derivanti da un
surplus empatico.
Non sono giochetti fini a se stessi o al più legati a una sovraesposizione
di narcisismo (anche involontario), o di ironia, di quella arrischiata
sorpresa accattivante atta ad attrarre il lettore, una manipolazione
piuttosto superficiale che riveli bizzarrie, metta in luce la facilità del processo di invenzione, di imitazione, come in tanti
esercizi di scrittura contemporanei.
In questa raccolta l'esplorazione del linguaggio consente due direttrici di
percorso: una verticale, che entra nei gangli del processo creativo, si
cala nelle profondità del soggetto perché muove qualche lontana somiglianza
o reminiscenza o faglia sospesa che tende a risuonare nuovamente; un'altra
orizzontale, aperta e dinamica, che esplora le disposizioni della
lingua, le sue innumerevoli possibilità di combinazione da cui scaturiscono
nuovi o rinnovati sensi, tutti indagabili in altre esplorazioni.
E non perché il materiale usato appartenga spesso alla lingua antica o a
registri specialistici o comuni, a forme desuete o burocratiche, alla
letteratura, a dizionari, a copioni teatrali, a codici di legislazioni, a
resoconti di viaggi, alla produzione saggistica, a didascalie; e si
rincorrano, tra gli altri, i nomi di Dino Buzzati, Bruno Schulz, Stefano
Malatesta, Konrad Lorenz, Carlo Goldoni, si affacci forse Elena Ferrante.
Neppure perché si mantenga graficamente una separazione (tondo e italico)
nella scrittura a indicare intenzioni diverse e qualche volta si rimandi a
un gioco alterno, uno spostamento inaspettato nella “posizione” e
nell'ottica scrittoria. E neppure perché da spunti appena accennati nascano
per interna germinazione delle osservazioni, riflessioni, suggerimenti che
trascinano il senso a interrogarsi sul comune destino, sulla disponibilità
umana alla esistenza consumata nelle sue innumerevoli forme: come, in quali
modi storici e contemporanei, è data, si è manifestata.
E' una osservazione continua di frammenti, di particelle di realtà
accostati per moltiplicarne il senso, per dare significazione di una
complessità di sguardi, di scelte, di posizioni, di proprietà, di
accidenti, tutti oggetto di trasformazioni, mutazioni.
E lo sguardo combinatorio dell'autore sorveglia e scava la materia vitale
con la cura tenace dello studioso, con l'accudimento dell'amante. (gabriella musetti)
Continua a leggere "Rodolfo Zucco - Bubuluz, nota di Gabriella Musetti"
Giovedì, 31 marzo 2016
Gabriella Musetti - La manutenzione dei sentimenti - Samuele Editore, 2015
"Una poesia che dice di sentimenti senza mai scadere nel sentimentale",
esordisce Rossella Tempesta nella prefazione. Ed è vero, lo dico
subito, per quanto "sentimenti", "sentimentale" e via discorrendo siano
tutte parole che rischiano di essere etichette, fuorviando il ben
intenzionato lettore.
Forse per questo incomincerei proprio dalla fine, dall'ultimo testo, che ci torna utile per circoscrivere questo libro di Gabriella"> Musetti:
l’io si fa da parte, si ritrae. modo indiretto di osservare,
di lato. la traiettoria sbieca mette a fuoco immagini non
ortogonali, lascia spazio a ciò che accade
indipendentemente da noi, non si sovrappone. osserva
i cambiamenti, prende parte – quando vale.
nell’attimo sospeso, a volte, la bellezza
In esergo, un frammento di Emily Dickinson, il 624, che appare - come uno specchio - in lingua originale all'inizio, e chiude il cerchio:
Degli attimi fuggenti è fatto il sempre -
non è un tempo diverso -
se non per l’infinità -
o l’ampiezza della casa -
E' la precisa descrizione della curvatura ellittica della silloge,
della sua parabola, e della parabola della vita a cui il libro si
sovrappone. E' quello che avviene. L'io
si fa da parte - direi - invecchiando, molto semplicemente. Giunge
progressivamente alla convinzione, o alla maturazione, che il punto di
vista è quello laterale, defilato, da cui osservare con una buona dose
di disillusione e di consapevolezza "ciò che accade indipendentemente da
noi", all'interno di un tempo "infinito" (che quindi non ci appartiene
ma ci possiede) o nello spazio conchiuso della "casa", intesa sotto
molti e importanti significati di identità, di "noi", di appartenenza a
quella vita ivi vissuta (e non serve qui rammentare quanto valesse la
parola "home" per la Dickinson). E' in questo percorso che i
"sentimenti" (e bisogna intendere allora questo termine in un senso
molto ampio) progressivamente assumono consistenze, spessori, colori
diversi, come qualcosa che nel tempo sprofonda dall'epidermide a una
misteriosa e indefinita sede dell'anima. In altre parole, questo ultimo
testo è la scaletta della silloge, il suo resumé e la sua epigrafe.
Scritto in più anni, come mi dice Gabriella, il libro ripercorre in
effetti eventi che si sono succeduti nel corso del tempo, non solo come
ricordi o registrazioni emozionali, ma anche come successive
sublimazioni poetiche, una rilettura che arrotonda gli spigoli dove ce
ne sono, affina le percezioni dell'avvenuto (perchè effettivamente i
sentimenti sono questo, qualcosa di più persistente di una semplice
emozione), svolge in sostanza una funzione di pietas e di assoluzione di
sé e degli altri. Il sentimento, a differenza della passione, ha una
sua giustificazione e quelle ragioni che la ragione non
necessariamente conosce, richiamando Pascal. Ecco quindi, io credo, il
perché di questo bel titolo: la cura del sentimento, il "tenerlo in
mano", non come attimo fuggente come dice la Dickinson, ma come risorsa,
elemento vitale che necessita, anche artisticamente, di una messa a
fuoco, per non dissiparlo. Intendendo sempre "sentimento", ripeto, in
senso non meramente affettivo, ma anche ad esempio nel senso in cui lo
intendeva Ungaretti, come coscienza - in quel caso - del tempo (e del
resto non c'è sentimento senza la sua inclusione nel flusso temporale,
nella "storia" individuale).
Il libro parte dalla giovinezza e arriva ad una maturità pensosa e
dolorante, esordisce con una prima sezione del libro ("Città") nella
quale Musetti ricorda i passaggi di città in città insieme al compagno,
le basi di una vita in comune quando iniziava "una vicenda ancora
sconosciuta", passa attraverso la malattia (la morte?) nella sezione
"Passaggi ibridati", giunge nelle successive ad una meditazione
solitaria e intensa che a mio avviso costituisce la parte migliore del
libro, nella quale appunto "l'io si fa da parte, si ritrae" e forse
proprio per questo "la confessione pubblica di questioni private [che] è
parola che rasenta l’atto spudorato e chiede energia sufficiente" e il
sentire - che per sua natura è soggettivo - raggiungono una dimensione
più universale, di tutti, proprio meno "privata".
E' questa la parabola, anche creativa, a cui alludevo in precedenza,
che segna una continuità e che trasporta la raccolta dalla giovanile
superficie del corpo, di una felicità anche tattile (come ricorda
Tempesta), alla profondità riflessiva che guarda in faccia (e lo fa con
una intensa scrittura in testi molto belli) non solo la morte ("una
partenza è certa lì proprio fissata"), la solitudine ma anche un
bilancio complessivo e senza finzioni ("si è quel che si è / non c’è
remissione o scampo / saperlo non è facile...") e dove le "memorie" sono
ormai trasfigurate, ridotte ad un nucleo essenziale ed esistenziale che
parla a tutti i lettori. (g. cerrai)
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Sabato, 1 febbraio 2014
Gabriella Musetti - Le sorelle, La Vita Felice 2013
‘…
Ri-scoprire e ri-valutare il divino femminile significa, inoltre, ridefinire la relazione che le donne hanno con la natura, ma anche con l’etica e
l’estetica. La genealogia femminile … contesta il sistema di valori imposto e interrompe l’ordine maschile precostituito, rappresentando il punto di
incontro di differenti identità femminili e la creazione di linee di discendenza-dipendenza-sorellanza: maestre/discepole, donne modello/sorelle,
dee/donne mortali, madri/figlie…’
c’è ‘ un ordine etico fra donne in due dimensioni, una verticale, nella linea genealogica madre-figlia e una orizzontale attraverso la sorellanza’…
(Daniele Cerrato - Congresso “Le voci delle dee”, Università di Sassari, 20, 21, 22 settembre 2012)
A tutti è capitato di ascoltare parole/lamentele di una donna sul legame indissolubile che si riesce a costruire con una sorella/e e/o sui sensi di colpa,
rabbia che si nutrono nei loro confronti. In realtà le esperienze infantili vissute nel nucleo domestico continuano ad avere il proprio peso anche durante
l’età adulta in cui le scelte di autonomia possono far degenerare i rapporti precostituiti. Nella fase evolutiva e poi nell’adolescenza si sviluppano
passioni e tensioni interminabili e contraddittorie che fanno riferimento alla dipendenza psicologica di un ruolo simbolico interiorizzato. È necessario
separarsi dalle sorelle? Si può essere dipendenti emotivamente da loro? La psicologia ci parla spesso del distacco interiore come un esito positivo del
normale processo di sviluppo e se questo non dovesse avvenire si consolida un profondo senso di smarrimento e di fallimento, ma soprattutto si scatena la
burrasca emozionale. È pur vero che la distanza interiore è spesso insopportabile e i fratelli/sorelle, insieme ai genitori, rappresentano protezione,
sicurezza, nucleo familiare anche se, spesso, la famiglia non è un’entità stabile, integra, unita. Gabriella Musetti, nel suo lavoro poetico Le sorelle, La Vita Felice 2013, rinuncia alla lotta identitaria e riesce, attraverso la poesia, ad assumere un atteggiamento di accoglienza, di
partecipazione che va al di là dell’immagine stereotipata dell’unione fraterna. Forse il limite di chi vive la sorellanza è quello di imparare molto presto
il comportamento che frattura e separa per meglio perseguire gli impulsi di autonomia e di libertà, quasi come a dover/voler rinnegare la necessità
inespressa del desiderio di comunione simbiotica. Per l’autrice la responsabilità dei ricordi si aggancia a sensazioni di rimpianto, spesso di
idealizzazione delle figure: la mancanza mette a nudo ogni sentimento/attaccamento! Forse il confronto aperto incarna e definisce meglio la funzione della
sorella (maggiore o minore); i ruoli prestabiliti fanno i conti con le aspettative quasi come a saper diventare ‘alleate contestate’ conservando il proprio lignaggio di donne dello stesso sangue, della stessa cultura religiosa della vita. (rita pacilio)
Continua a leggere "Gabriella Musetti - Sorelle, nota di Rita Pacilio"
Sabato, 13 novembre 2010
Vorrei con questo post portare un piccolo contributo alla conoscenza di un poeta, un poeta italiano, per quanto di nazionalità croata. Un poeta
notevole, dico subito, anzi per molti versi extraordinario, e uno dei libri più intelligenti, densi e generosi di suoni e suggestioni in cui mi sia
imbattuto negli ultimi tempi.
Ultimamente mi è capitato spesso di ricevere voci da quella area che appartiene più al tempo che allo spazio, che potremmo azzardatamente definire
austroungarica, o mitteleuropea, una enclave linguistica italiana che di certo non è separata dal mondo, ma che per qualche ragione mantiene un
rapporto fecondo con una tradizione nostra, come se, per fare un esempio, un poeta grandissimo come Saba appartenesse più a quella area che a questa,
dove un pò s'è perso. Lo dico perché in questo libro di Mauro Sambi si rintracciano così tanti echi che è del tutto naturale definirlo
in primis un canzoniere, non solo perché in effetti lo è, ma anche perché ci riporta col pensiero, in tanti momenti, al grande triestino, come pure ad
altre voci del Novecento nostrano, Sereni, Zanzotto, e il sempre presente Montale, senza tuttavia che questi rimandi
mai si trasferiscano in manierismi. Se la questione di una poesia italiana per così dire extra territoriale è di per sè interessante, va però detto che
nel caso di Sambi il fatto che sia nato a Pola è abbastanza marginale, avendo egli studiato e lavorando oggi in Italia. In altre parole, anche qui,
come in altri casi, non si tratta certo di una poesia "di confine", dato che non presenta tracce di una osmosi tra due mondi, ma è saldamente rivolta
all'Italia, a una tradizione feconda e faconda guardata in faccia, non in cagnesco come fanno tanti poeti, e contemporaneamente tenuta in abile equilibrio.
Il libro (L'alloro di Pound, Ed. Edit Fiume, 2009, collana Altre lettere italiane) raccoglie la produzione di un quindicennio (dal
1994 al 2009) ed è preceduto da una bella prefazione, ampia, colta e articolata, di Gabriella Musetti. Produzione che non è solo poetica, ma anche
traduttiva, come dimostra la versione, secondo me molto buona, di undici sonetti shakespeariani e uno di John Donne che fanno da spartiacque tra le due
parti principali dell'opera, oltre a quelle di altri importanti autori.
Traggo alcuni passi significativi dalla ottima prefazione di Gabriella Musetti: "Una osservazione va subito fatta, per sgombrare il
campo da ogni possibile equivoco: la poesia di Sambi non è una poesia intellettualistica, che mira a una precisione chirurgica del dato linguistico e
si misura con la tradizione al puro fine speculativo o di agone. È una poesia che nasce da urgenze intime, sofferte, laceranti, ha una sua carica
eversiva più o meno scoperta, e trova una sua esposizione di parole dentro una forma scelta con cura come luogo di incontro/confronto/scontro con la
tradizione con cui dialoga costantemente. Forse proprio la cultura e la professione scientifica che Sambi esercita nella vita lo portano a un rigore
attento nelle scelte dell’espressione poetica, come traduzione perseguita da un codice del vissuto profondo a un codice dell’espressione verbale,
sapendo bene che ogni traduzione, benché accurata, è sempre imperfetta". In questa poesia, aggiunge Musetti "la domanda di senso è sottesa a molti
versi, esplicita, a volte, oppure appena celata, si intravede a mezza via tra le parole, una domanda che in-terroga la natura e anche marginalmente il
mito (Endimione, la luna, Albireo – stella doppia nel braccio più lungo del Cigno, le costellazioni), cercando di ripescare nella tradizione
collegamenti e fili che hanno percorso il tempo. È una interrogazione pacata ma non per questo meno profonda. Una interrogazione che mette in campo
diversi luoghi del sapere, cerca “uno scarto dell’occhio” che apra a una visione inedita. Anche l’errore è un luogo fecondo dove può accadere la
percezione immediata che travalica, mentre la ripetizione dell’errore è già consuetudine".
Di sè, del suo lavoro Sambi scrive: “La mia è una poesia del limite, in primo luogo del limite tra tempo e annullamento del tempo. Per questo mo-tivo
la mia è ininterrottamente poesia d’amore. Perché l’amore è il primo strumento, forse l’unico, che porta a sfiorare il confine tra tempo e non-tempo,
ma contemporaneamente ne sancisce l’invalicabilità. L’amore si manifesta per epifanie. Si sfiora il limite. Ma un definitivo passar oltre non è dato –
quelle illuminazioni, o vertiginose ascensioni, possono segnare una vita, ma non fanno una vita. Una poesia del limite ha bisogno di gabbie canoniche.
In quest’ottica la poesia è fatta di quattro elementi: la gabbia; lo scarto (sempre calcolato) dalla gabbia; la musica, che può confermare o invalidare
la gabbia; il significato/senso, che può convalidare o contrastare gabbia, scarto e musica. Tento sempre (sempre di più...) di volgere il gioco di
forme canoniche e scarti dal canone, di convalide e contrasti, alla massima semantizzazione della gabbia: la gabbia deve farsi significante al massimo
grado possibile. [...] Amore, poi, consente di lasciare nel vago distinzioni del tipo filia/eros/agape.” Aggiunge Musetti: "In queste parole, al di
là del contenuto, si esprime una consapevolezza del fare poesia che nasce, evidentemente, da una lunga frequentazione dei testi poetici della
contemporaneità e del passato, ma anche da una meditazione-interiorizzazione delle modalità dell’espressione poetica e degli autori, una ricerca
continua che interroga gli strumenti, il lessico, le forme, i ritmi, i metri, il linguaggio, nella scelta quasi “scientifica”, nel senso di razionale,
calibrata per ottenere il meglio, delle potenzialità della parola poetica, una strada che parte dal dato soggettivo – mai scartato – per raggiungere
una “dicibilità” generale. (...) L’esperienza è frutto dell’attimo e della persistenza, il movimento veloce di ciò che è vicino e l’apparente stasi
dello sfondo, quasi un immutabile fondale scenico su cui si muovono, a differenti velocità, le vicende quotidiane e le memorie. Ma anche questo è falso
dualismo, illusione ottica. L’adeguamento della forma, a volte, stringe e costringe la passione prima, che pure si avverte urgente sotto le formule. È
una scelta di adeguamento non superflua ma, sebbene rigorosa e addirittura extraordinaria, porta il limite della materia prima ribollente in una forma
lucidamente e spericolatamente ancorata alla tradizione come scelta etica di parola, immette tradizione e sperimentazione in una scelta stilistica che
ha profondi ancoraggi."
Ho poco da aggiungere a quanto sopra, tranne che sottolineare ancora la ricchezza dei richiami culturali e stilistici e delle sonorità di questa poesia,
nonchè la straordinaria persistenza che rimane dopo la lettura, non solo di queste associazioni ma anche dellle idee e dalle riflessioni che ne
scaturiscono.
Pubblico qui una selezione di testi, con l'avvertenza che il libro è più articolato (due parti, dieci sezioni) e coerente di quanto possa apparire da
questo semplice post. E che ogni scelta è, per sua natura, arbitraria.
Continua a leggere "Mauro Sambi - L'alloro di Pound"
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