Lunedì, 10 dicembre 2012Ieri su La Lettura del Corriere della Sera è uscita una recensione di Roberto Galaverni di "La fine del Mondo", l'antologia di testi di Ghérasim Luca edita da Joker, a cura di Alfredo Riponi, traduzioni di A.Riponi, R.R.Florit e G. Cerrai. "Bisognerebbe forse avere in mente le pagine di Emile Cioran sulla calcificazione, il fanatismo grammaticale, la monumentalità della lingua francese, prima di avvicinarsi alle poesie di Ghérasim Luca, lo scrittore romeno espatriato in Francia nel 1952 e scomparso nel 1994, quando, proprio come il suo più illustre conterraneo Paul Celan, pose fine alla sua vita gettandosi nella Senna. L'antologia La Fine del mondo costituisce il suo primo volume di versi tradotto in italiano direttamente dal francese, una lingua che Luca, nato nel 1913 da una famiglia ebrea askenazita e di lingua yiddish (ma anche romena e tedesca), scelse di adottare molto prima dell'espatrio, e non per garantirsi una patria e un'appartenenza linguistica nuove, quanto per testimoniare nella più codificata e inesorabile delle lingue la condizione di radicale, ontologica estraneità dell'uomo al mondo che gli è dato". (continua a leggere QUI)
Lunedì, 11 giugno 2012Bene, alla fine ce l'ha fatta. Il libro "La fine del mondo - Poesie 1942 - 1991" di Ghérasim Luca, a cura di Alfredo Riponi, con traduzioni di A. Riponi, Rita Regina Florit e Giacomo Cerrai, è finalmente uscito per i tipi delle Edizioni Joker, collana "Libri dell'arca" (v. QUI). Un autore importante e difficile, che costituisce sempre una sfida interpretativa e traduttiva, impone un ascolto costante e scelte a volte ardue, ma che restituisce una esperienza poetica assoluta. Book-trailer di 19 pag, con estratti QUI Lunedì, 2 maggio 2011
SENTITO DIRE
Il titolo della raccolta da cui sono stati estratti i poemi è “Ouï Dire”, alla lettera “Sentito dire”, ovvero la “Voce” che giunge… senza un criterio di verità. Se “quel che accade in poesia, è il trionfo della perifrasi e dell’equivoco - scrive Déguy – per la gloria dell’immaginazione”. Il pensiero poetico “esita tra” i nomi, il significato, il senso.
Déguy sostiene che la prima fase della sua poesia, fino a “Gisants”, potrebbe essere racchiusa sotto il paradigma “Ouï Dire”. “Nutrita di esperienze: viaggi e traduzioni” e altre voci: “sotto il segno di Holderlin e Heidegger”. Nella sua prima ispirazione “la poesia è fiduciosa, immediata”. E segnata dall’inquietudine che è la ricerca di precisione, di senso. La poesia di Déguy si costruisce anche su una sfida al senso. Perché la poesia è anche libertà, la libertà del bambino d’inventare parole: ecolalie, glossolalie, invenzioni musicali, onomatopeiche. E, al contempo, si carica di tutto il senso possibile, la forza della filosofia si dispiega nella bellezza della frase. Una poesia pensante.
“Se la stessa cosa si potesse chiamare ora con un nome ora con un altro, diceva Kant, nessuna sintesi dell'immaginazione potrebbe avere luogo. Tuttavia è quel che accade in poesia”. Dunque, c’è una “ragione poetica” come c’è una ragion pura filosofica. Una ragione la cui intelligenza sta dietro i fenomeni, pur essendo interamente nella sensazione, nei sensi.
Per Déguy, la poesia è compresa “nell’assioma di complementarità, l’associazione onda-corpuscolo, continuo-discontinuo”. Da un lato: “la prosodia, la logica, il continuo dei tropi”, dall’altro lato: “la rottura, la dislocazione, la dispersione stocastica” (1)
(1) Per questa e le altre citazioni contenute nella nota: M. Déguy, prefazione a Donnant, donnant, Poésie/Gallimard, 2006
(2)L’entropia, intesa come passaggio dall’ordine al caos, è un processo difficile (impossibile) da invertire. L’imperativo categorico è un’esortazione a combattere il disordine (3)Ilificati : La hyle è la materia indifferenziata comune ai corpi. Ilozoismo, concezione filosofica secondo la quale la materia è vivente e animata, dal greco Hyle (selva, bosco) e zoé (vita). “Tutto è pieno di dèi” (Talete).
Venerdì, 4 marzo 2011Alain Jouffroy - Eros sradicato
ALAIN JOUFFROY
EROS SRADICATO
“Considero il mondo esterno come la chance di ogni individuo. Gli occorre però abolire prima la propria censura per inseguirla. Che cosa significa? Censurarsi, questo è impedirsi di vedere, impedirsi di aspettare, come dice Schlegel, che qualcosa di straordinario accada nell’istante successivo.” (A. J.)
Ogni poema di Alain Jouffroy è un viaggio, nel mondo o all’interno di sé. È un’avventura rischiosa, sradicamento nell’eros. “ Amare è liberare la voce… Voce che va fino in fondo”. Il poema di Jouffroy va veloce, le frasi sembrano lampi nella notte, scintille di corpi sfregati l’uno contro l’altro. Qualcosa precede la forma, è il punto in cui, nell’anamorfosi, la visione si accende “E ho riaperto gli occhi | Su una possibilità che non acceca”
“ Rythmes et cadences génèrent parfois des collisions. De ces étincelles de masses lancées a vive allure naissent des images. Leurs liaisons fluides et perpétuellement en devenir produisent des anamorphoses baroques ». (Michel Onfray).
Poemi come quadri sospesi nel vuoto.
a.r.
Da « Alain Jouffroy, C'est aujourd'hui toujours (1947-1988) » (traduzione e note di Alfredo Riponi)
Notizia bio-bibliografica
Alain Jouffroy è nato l’11 settembre 1928 a Parigi. Membro del gruppo surrealista dal 1947 al 1948. Decisivo l’incontro con Breton, che pubblica le sue
prime poesie in varie riviste. È del 1952 il viaggio in Italia per studiare la pittura italiana; nel 1954 incontra Manina (Marianne Tischler) a Venezia
e comincia a scrivere sulla pittura. La sua prima raccolta poetica « A toi », pubblicata nel 1958, è dedicata a Manina. Da allora ha pubblicato un
centinaio di libri tra poesia saggio e romanzo. Nel 1965 si riconcilia con Breton, ma afferma, oltre il surrealismo: “La poesia è una categoria da
distruggere”. L’attività letteraria è anche, per Jouffroy, una battaglia per i diritti rivoluzionari dell’individuo. Nel 1968 pubblica il saggio
“L’abolizione dell’arte”; nel 1975 il libro di saggi “De l’individualisme révolutionnaire”. Tra i libri di più recente pubblicazione: le antologie
poetiche “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” e “C’est, partout, ici (1995-2001)” “Manifeste de la poésie vécue”, 1995; “Conspiration”, 2000.
Mercoledì, 23 febbraio 2011Un altro testo di Ghérasim Luca, una traduzione non senplice, in bilico tra senso e significato, in cui si è
impegnato ancora Alfredo Riponi, che ringrazio. Il testo è già apparso
su Lessness, dove è possibile reperire altre poesie dello stesso autore, come anche qui su IE seguendo il tag corrispondente. nella foto: Cristina Roncati - Letto sfatto, 1975, scultura polimaterica, dim: 60x110x200
Fonte: Galleria Centro Steccata - Parma (link)
nota del traduttore:
D’UN GESTE SIGNIFICATIF
La poesia è solo a prima vista un gioco linguistico. Siamo sul letto occupato da due amanti.
Si percepisce nel titolo finale “Lit ivre” il riferimento al “Bateau
ivre” di Rimbaud. I sintagmi, frutto di una scelta linguistica solo
apparentemente del tutto arbitraria, liberano completamente il
significato solo nel suono.
lit-monade = letto-monade (limonade = limonata) lit-vide = letto-vuoto (livide =livido) lit mortel (l’immortel = l’immortale) lit limité (l’illimité = l’illimitato) lit mémoré (l’immémorial = l’immemoriale) lit-tige (litige = litigio) lit-dé (l’idée = l’idea) lit-mage (l’image = l’immagine) lit respirable (l’irrespirable = l’irrespirabile) lit responsable (l’irresponsable = l’irresponsabile) lit mobile (l’immobile = l’immobile) lit-lit mi-table (l’illimitable = l’illimitabile)
lits sans cieux = letto senza cieli (licencieux = licenziosi)
LETTO EBBRO nessun letto-stelo letto-dado e letto-mago
letto respirabile letto responsabile letto mobile letto-letto metà tavola letti senza cieli
Mercoledì, 26 gennaio 2011
GHERASIM LUCA
Per Luca “le parole sono soltanto il supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale”, un abbandonarsi alla vibrazione
del nostro essere che eccede il senso.
L’INVENTORE DELL’AMORE - APPENDICE
L'ultima raccolta alla quale Ghérasim Luca lavorò si compone di due lunghi poemi già pubblicati nel 1945 in Romania: L'inventore dell'amore e La Morte morta e un’Appendice. Questi testi, ai quali Ghérasim Luca rimise mano prima della morte, sono in diretta relazione con il “Primo manifesto non-edipico”, testo scomparso. L’inventore dell’amore propone la sua reinvenzione, in un mondo in cui
“tutto dev’essere reinventato” e che impone il distacco da una condizione edipica, che rende l’amore impossibile. L’inventore dell’amore
rincorre la donna amata ma assente dalla realtà per incarnarsi in tante donne diverse, per sfuggire al fantasma edipico della madre.
QUARTO D'ORA DI CULTURA METAFISICA
Prendersi una pausa, un quarto d’ora di cultura metafisica. Occorre trovare un posto alle idee, a costo di piegare la morte alla vita o di collocare la
vita sopra la morte. Le idee hanno corpo, prendono corpo, sono tese, sfibrano l’essere. Il vuoto non è senza il suolo, la terra non è senza angoscia.
Un brivido percorre le idee e la vita, la morte va tenuta sopra la testa o lasciata fuori. Tra “la transe et la danse” saltelliamo – come
Zarathustra – sui brividi, le angosce docili, rilassamento delle idee e del corpo. Esercizio di respirazione, ma che è solo un punto di arresto – un
tempo morto – tra le idee, un gettarle indietro con la morte, facendo venire avanti vita e angosce, “aspirare attraverso il vuoto”. “Il saggio è senza
idee”, il poeta ha idee tese, fino a spezzare il corpo, dove “expirer” (espirare) è anche l’atto di morire (spirare) aspirando il vuoto.
Quart d'heure letto dall'autore
Mi è difficile esprimermi in linguaggio visivo. Potrebbe esservi nell’idea stessa di creazione - cre-azione - qualcosa, qualcosa che sfugge alla passività di una descrizione che deriva
inevitabilmente da un linguaggio concettuale. Nel linguaggio che serve a designare gli oggetti, la parola non ha che un senso, o due al massimo, e
tiene prigioniero il suono. Spezzando la forma in cui la parola si è invischiata appariranno nuove relazioni: la sonorità si esalta, affiorano segreti
che giacevano addormentati, colui che ascolta è introdotto in un mondo di vibrazioni che suppone una partecipazione fisica, simultanea, all'adesione
mentale. Liberate il soffio e ogni parola diventa un segnale. Mi riallaccio verosimilmente a una vaga tradizione poetica e ad ogni modo illegittima. Ma
il termine stesso di poesia mi sembra falsato. Forse preferisco “ontofonia”. Colui che schiude la parola, schiude la materia, e la parola non è che il
supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale. Più che situarmi in rapporto a una tradizione o a una rivoluzione, mi
applico a svelare una risonanza dell’essere, inammissibile. La poesia è un “silensophone”, il poema, un luogo d’operazioni, la parola è sottomessa a
una serie di mutazioni sonore, ognuna delle sue sfaccettature libera la molteplicità del senso di cui si carica. Nell’estensione della mia lingua il
frastuono e il silenzio si scontrano – centro shock - dove la poesia assume la forma dell'onda che l’ha scatenata. O meglio, la poesia s’eclissa
davanti alle sue conseguenze. In altri termini: io m’oralizzo.
(Ghérasim Luca)
***
Ghérasim Luca (1913 – 1994).
Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua
della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza
con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e
di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca
di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo
ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta
illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo
grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato
francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e
comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per
i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil
Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976.
le note introduttive e la scheda biografica sono di Alfredo Riponi
Martedì, 16 febbraio 2010Ghérasim Luca (1913 – 1994) Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976. * Nel gioco linguistico dei verbi-sostantivi (Je te flore \ tu me faune), sono gli oggetti a prendere corpo da me a te e da te a me. Anche se apparentemente c’è (nella lingua francese) un solo soggetto, in realtà sono due in uno. Io-tu, uomo-donna, “noi singolare”: “nous nous pulvérisable”. Rendere altrimenti questo testo sarebbe stato impossibile (Alfredo Riponi) La traduzione è di Alfredo Riponi. Un altro testo di Ghérasim Luca, L'eco del corpo, tradotto da Alfredo Riponi e Rita R. Florit, è reperibile qui Addendum 18/02: altri testi di e su G. Luca (sempre su Lessness) li trovate qui Continua a leggere "" Martedì, 6 ottobre 2009Louis-René des Forêts (1918-2000) è stato uno dei maggiori poeti francesi, forse il più appartato e singolare. Amico di Bonnefoy, di Celan, di Dupin, di Leiris, con i quali fondò nel 1967 la rivista L'Ephémère, ha pubblicato soltanto una decina di volumi, in cui però la ricerca e l'analisi della esperienza umana e della vita interiore hanno raggiunto valori altissimi, insieme a quelle sulla parola e il suo opposto, il silenzio. Pubblico qui le prime tre parti del poema "POESIE DI SAMUEL WOOD", alla cui traduzione si è impegnato Alfredo Riponi, autore anche dell'articolo di presentazione "Una voce che viene da fuori". Un lavoro che meriterebbe un editore. Un post non facile, che richiede un sincero impegno al lettore. Ma un degno modo di festeggiare il quattrocentesimo post di Imperfetta Ellisse.
Continua a leggere "" Sabato, 19 settembre 2009Alain Jouffoy - Per chi scrivo, una poesia
Alain Jouffroy Pour qui j’écris Un poema da : Éternelle extravagance, in C’est aujourd’hui toujours, Poésie / Gallimard, 1999 Non scrivo per voi che vi prendete per giudici appena vi si pone delle domande inattese. Voi i rassegnati del pessimismo dell’ultima ora voi che non amate niente come l’isolazionismo voi che confondete la scrittura, la pittura e l’assolo, quando la rete mondiale occupa già tutta la superficie del vostro piccolo cervello. Né per voi, ultimi nostalgici del gregge, col vostro risentimento incessante, voi i nemici di tutto ciò che è straniero, voi che non detestate niente come le facies, i magrebini e i nostri padri d’Africa che non avete vergogna d’ignorare Cravan, Vossnessenski, Ginsberg et Degenhardt, perché hanno spezzato il loro cerchio, no, non è per voi che scrivo. Non scrivo per voi adepti di tutte le pubblicità con la vostra incultura da compact disc Voi che trattate le donne da sciocche e piagnucolate come bambini quando vi mollano. Voi e il vostro disprezzo di tutte le rivoluzioni che non avete fatto, come se la perdita di ogni libertà fosse il vostro solo viatico. E nemmeno per voi che rispondete con gli insulti a coloro che disturbano i vostri commerci. Voi gli avidi mercanti dal Tempio, che non amate niente come il portafoglio e i telegiornali, i cliché di tutti i supermercati, il vostro disgusto di voi stessi e i vostri espedienti per sopravvivere senza utopia, la vostra società senza società e i vostri tappeti antiscivolo. No, non è per voi che scrivo. Scrivo per voi che aprite la strada dalla Grecia alla Cina e fate guerra alla stupidità nazionale fin nel vostro rifugio. Diventerete gli architetti del looping sotto i fili d’acciaio di tutte le istituzioni. Per voi che ingranate la marcia del pensiero nella vostra auto in piena notte. Per voi che defenestrate i vostri fantasmi, che suicidate ogni disperazione attraverso il lucernario della memoria e sognate ogni giorno di incontri, di viaggi trasversali e di altri modi di farsi vedere. Sì. Per voi che lanciate aghi di bussola tra le vostre finestre e la porta d’ingresso degli altri, tra l’Egitto dei Fatimidi, Granada, tutti gli esili e le isole, Per voi che disertate il Tempio dove il giovane Gesù non riapparirà, finché l’Occidente si drappeggerà nel suo razzismo di vecchio stampo, finché Isabella e Ferdinando saranno i cromosomi dell’egoismo. Per voi che tracciate linee intermedie, a metà strada tra movimento del punto e effetto di piano; Per voi il cui solo documento d’identità è la carta del cielo. È per voi che deploro tutto ciò che non riesco a scrivere. maggio 1998
Continua a leggere "Alain Jouffoy - Per chi scrivo, una poesia" Lunedì, 1 giugno 2009Renaud Ego - Porte che danno sulla strada
Ogni civiltà si costruisce contro sé stessa e si inventa dei muri dietro ai quali contenere la sua brutalità. Più di altre, la cultura cosiddetta occidentale è insieme una forza di liberazione e di alienazione; essa si estende al resto del mondo con il prestigio e la violenza della sua scienza e della sua tecnica. E’ un Giano, di rado placato e sempre pronto a rivelarsi mostruoso, anche quando la sua faccia più fosca resta invisibile agli occhi di quegli stessi di cui essa è immagine. Renaud Ego, nato nel 1963, mostra in questo poemetto, come aveva già fatto ne Le Désastre d’éden (Paroles d’aube, 1995), che non c’è terra più straniera, più inaccessibile di quella in cui si vive, tanto essa è simile all’ombra di sé, al di sotto della quale non si salta. La lingua straniera che forgia il poemetto inventerà una nuova distanza, cioè la condizione di un vedere senza veli e di una libertà nuova? (nota redazionale, fonte: La pensée de midi, n. 5-6, autunno 2001)
Porte che danno sulla strada 1 Nodi stradali parcheggi illimitati su un residuo di verde città magnifiche sono diventate obese l’untume dell’epoca vi trabocca dappertutto cianfrusaglie gadgets vesti vettovaglie che occhi lappano e altri occhi sorvegliano che è questo specchio dove tutto riflette mancanza qui l’invidia mette in riga il desiderio e chi non sta attento abbrutito d’abbondanza lascia entrare il vuoto dalle nafte sovrane e ben presto entro non c’è più spazio io senza saperlo è diventato questo si che il tempo declina in modo autoritario - essere e a ogni costo non essere non è questo oggi il problema
Continua a leggere "Renaud Ego - Porte che danno sulla strada" Venerdì, 24 aprile 2009Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy
Un poema di Alain Jouffroy da “Moments extrêmes” (Éditions de La Différence, 1992) e “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” (Gallimard, 1999) Alain Jouffroy Hypnologue
Ipnologo* significa qui, forse, la presa di coscienza dell’ipnosi, dello stato di sonno che ci provoca la storia, le forme allucinanti della Storia; dice altrove Jouffroy che non esistono leggi della Storia
Qui il Vangelo di Giovanni è a pretesto per una storia dell’uomo e del mondo che sfocia in una riflessione sull’individuo rivoluzionario. Gli inizi di un mondo che non finiscono mai, sprovvisti di pensiero, di verbo. All’inizio non era il verbo...
Tutto riporta all'incoscienza dell'infanzia (del creato).
È un nuovo principio che s’enuncia: l’affermarsi di un pensiero individuale, indipendente, rivoluzionario. Non (ci) accade più nulla, vediamo ogni cosa sotto un nuovo aspetto.
Scrive Jouffroy nel suo saggio “Dell’individualismo rivoluzionario” citando Aragon : “Vi farà ridere e troverete derisorio, diceva Aragon…, che persone che non dispongono di alcun potere, che non sono nulla, senza denaro, senza ipocrisia, parlino improvvisamente di rivoluzione…. È tuttavia questo fatto senza precedenti nella storia umana che unisce quelli che credono in questo solo legame, la poesia, e un certo gusto dell'insensato."
“Missione di una poesia sovversiva” rivendicata da Jouffroy, “per evitare che ci spossessino dei nostri diritti” acquisiti con la rivoluzione francese.
“Non c'è miracolo-scientifico della scrittura e della pittura. La storia emette dei segni attraverso la svolta di individui che scrivono, che dipingono.”. Alcuni di questi segni, continua Jouffroy, sono stati cancellati con i tentativi di censura di scrittori e artisti. Lasciar parlare di nuovo questi segni censurati, vederli, è rifare e dunque fare la storia.
Annientando il proprio potere,
Si allarga la vista.
Ma il vedere è un altro potere
Di cui nessuno si è impadronito.
On ne voit plus rien venir / … / Nous voyons tout partir. Ci sarebbe l’uso arcaicizzante di ‘partir’, partager, diviser en parties, il “dividersi”, l’andare ogni cosa per conto suo, è da considerare. Potremmo tradurre ‘avvenire’ che richiama per antinomia ‘partire’. Altro problema, di conseguenza: se ‘partir’ significa andarsene, scomparire, allora non può essere il ‘principio’? Io credo che qui ci sia un’antinomia “falsa”, che rafforza un concetto negativo: niente arriva, tutto parte. Al centro (anche della strofa, quindi graficamente) non rimane altro che un vuoto, o un nulla che noi umani siamo costretti a speculare, a “pensare” (nota: cinque versi, cinque volte il verbo vedere!). Riepilogando ‘non si vede avvenire più niente / […] / noi vediamo partire ogni cosa’.
Ma a conti fatti, “partir” significa anche “nascere, avere origine, partire, iniziare, cominciare” quindi la ripresa del primo verso alla fine. Quindi, “vedere il principio di tutto”, un nuovo inizio. Pensando a quella falsa antinomia che rafforza un concetto negativo : questo vuoto che rimane, questo nulla che noi umani siamo costretti a speculare. Effettivamente il nulla è al centro della speculazione filosofica dagli inizi della metafisica. “Noi pensiamo il nulla” diceva Heidegger.
“Per la prima volta, noi pensiamo” Il vedere dell’ultima strofa diventa pensiero, per la prima volta “Perché il mondo non comincia all'esterno del nostro occhio. Comincia con il fruscio del sangue dei nostri due emisferi cerebrali, con l’energia che innesta ad ogni secondo il corpo su se stesso, nel temporale ultra-segreto del pensiero a contatto con il tutto.” (Jouffroy, Le gué). Qualcosa verrà, ma qualcosa di cui non si attende più la venuta, come scrive Ingeborg Bachmann “E sono ancora nel deserto che viene prima del domani”.
* psicoterapeuta che aiuta a far emergere dal profondo, mediante tecniche appropriate, elementi psicologici nascosti o rimossi.
Traduzione Alfredo Riponi, con la collaborazione di Giacomo Cerrai e Rita R. Florit
Nota introduttiva Alfredo Riponi e Giacomo Cerrai
Ipnologo
In principio,
Non c'era alcun ordine.
Tutto era banale e piatto nel caos,
Salvo gli aghi della sofferenza.
In principio,
Il mondo era sovraccarico di rovi.
Mai l'orizzonte si apriva,
La metempsicosi andava dallo stesso allo stesso.
In principio,
Tutto era ridicolo,
Odiosamente arduo, imperfetto,
Odiosamente fiero della propria imperfezione,
Il comunismo delle cose s’imponeva alla rinfusa.
In principio, era l'infanzia, i suoi odi,
Il suo ostinato ottenebrarsi.
Niente testimoniava da nessuna parte
L’oltrepassare dello zero.
In principio,
L'impurità regnava sovrana.
Nessuno osava contraddire l’infelicità
Che stringeva il cuore in una morsa.
Continua a leggere "Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy" Sabato, 4 aprile 2009ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre, cinque poesie
ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre Continua a leggere "ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre, cinque poesie" Sabato, 31 gennaio 2009Alfredo Riponi - Illumini unica il mio nulla, testi da "Anacoresi" (inedito)
L'anacoresi che titola questo libriccino inedito di Alfredo Riponi è scelta - per definizione - eremitica, il cui estremo risiede nel silenzio non del pensiero ma della parola, o - nel suo grado minimale - nell'esicasmo, come afferma Alessandro De Caro nella sua bella prefazione. Ovvero nella ripetizione mistica di una sintetica formula devozionale, si presume fino al delirio, nel tentativo sovrumano (perchè a-temporale) di restituire alla parola un senso primigenio riducendola a puro suono. Ma il poeta, per fortuna, non deve rivolgersi a un dio. Non può prescindere da un lettore (o venticinque, per quanto ipotetici), o non è. In questo rapporto la parola, per quanto possa tendere a un suo grado zero, rimane fondante di una comunicazione, seppure lungo una rischiosa linea di confine che De Caro correttamente identifica. Dice infatti: "Lo scrittore di prosa, in genere, si ferma a considerare la frase; diciamo pure che la frase nel suo mondo creativo aspira alla qualità di feticcio o di termine ultimo del lavoro della parola. La frase assorbe buona parte del lavoro, anche se attraverso il procedimento indefinito delle correzioni che ne sbriciolano la solidità apparente (...). Per il poeta, invece, non credo che funzioni allo stesso modo; lo si vede bene che la materia del linguaggio viene accostata prima o piuttosto al di là di una forma frastica che l'assorbe secondo un'unità strutturale, come si sarebbe detto una volta, di livello superiore o di secondo grado". Per quanto quest'ultima affermazione sia abbastanza perentoria, non è inesatta. E' semmai parziale perchè privilegia, modernamente, il segno come strumento e fine del poeta, dice che questa non è una rosa ma è una "rosa". E continua: "Davanti a quest'incertezza [sull'etimo, la storia, il senso della parola] che cosa ci sarebbe di meglio da fare che lavorare dentro e attraverso quest'assenza, al di là della questione se si debba o meno rendere conto, in prosa come in poesia, della realtà simbolica in cui siamo immersi? Nel puro lavorio di un testo, nell'essenza per sempre tra-forata, circuita o pervertita della parola (...) non c'è quel cammino che potremmo chiamare, se non suonasse come una campana a morto specialmente oggi, un tentativo di anacoresi?" Ecco: al di là della questione della realtà simbolica. E' questa la rischiosa linea di confine: una poesia della parola in cui la parola riecheggi non la realtà (seppure quella parziale del poeta) ma il suo stesso suono, operando "come se si componessero delle poesie, dunque all'interno di una tradizione dall'apparenza intatta ma deflorata". Tuttavia, è bene dirlo infine, la poesia di Alfredo Riponi non solo riflette seriamente sul rapporto tra linguaggio ed esperienza (tenendo ben presente il limes che dicevamo), ma è anche consapevole del fatto che il linguaggio ha una sua voce e una sua memoria (v. anche i suoi due articoli su D. Heller-Roazen qui e qui) e che con essi la poesia, più di ogni altra arte, è capace di dare corpo all'amore, alla perdita, al dolore, alla stessa mancanza di senso che la vita ha talvolta. Un libro/percorso che è scandito (in sezioni: Incipit, Incisi, Vita nova) e assume una forma e una struttura non fittizia o strumentale, ma che corrisponde a un'idea, a un tentativo anche morale di raccogliere frazioni di realtà, che , come dice il poeta in una nota al testo, " si ordinino sulla carta , nel testo poetico o nel sogno trascritto" (corsivo mio). Forse, aggiunge, "il risultato non è subito decrifrabile, ma è lì, attende la nostra lettura".
da Incipit
Continua a leggere "Alfredo Riponi - Illumini unica il mio nulla, testi da "Anacoresi" (inedito)" Martedì, 6 gennaio 2009Michel Deguy - La poesia fa male?
Ricominciamo a parlare di poesia, seriamente, con un saggio di Michel Deguy, uno dei poeti e filosofi francesi di maggior spicco. Un testo di non facile presa, denso di suggestioni e riferimenti culturali e filosofici, forse un po’ troppo impegnativo per un blog, ma senz'altro importante. Se non avete tempo di leggerlo accuratamente e di meditarlo, passate oltre, vi prego... La traduzione è mia, con il colto e fondamentale apporto dell’amico Alfredo Riponi, che ringrazio pubblicamente.
La poesia fa male? Questa affermazione ottativa (percepisco un voto e un dubbio in questa dichiarazione) fu il titolo, l’incipit, di una causerie di Paolo Fabbri una sera alla Casa degli scrittori. Io qui cerco di svilupparla, provando anche il suo contrario, o qualche altra modalità. E so bene che l’affermazione suona anche (in primo luogo?) come un richiamo – alla tradizione. La poesia faceva male; fece male; sapeva far male. Potrebbe farlo ancora? Il tempo dei giambi e degli epigrammi è passato. Il tempo dei Châtiments. E da Archiloco a Voltaire, a Chénier, a Hugo, fu quello il tempo più lungo. Satirica o patriottica, assassina o bellicosa, canto di battaglia, di vittoria; invito all’omicidio, all’insurrezione; peana, ritornello guerriero, libello...la poesia armata, con l’elmo, con i suoi affondi metrici e il suo scudo d’Achille; ma anche acuminata, con la sua agudezza e i suoi concetti, nel boudoir di Celimene, o la pretura o la sala delle guardie...Lo so bene; ma vado a cercare in altre direzioni: anche quella del farsi male; e quella del non far male, per questa “occupazione la più innocente” (nella traduzione, qui, di Hölderlin); quelle dell’irritazione, della crudeltà, della privazione, della abdicazione... Irritato, crudele, ascetico, rinunciante...In quale luce si pone lo stesso “soggetto lirico”?! Vediamo. Dell’irritazione La questione non è la collera del poeta, fragile psiche (può capitare). Piuttosto: è la collera che mette il poeta in azione; è l’Iliade che comincia con la collera. Chiamiamo questa una emozione. Non una sensazione; né un umore tra altri, ma una disposizione rivelatrice. nell’altra tradizione, religiosa, è lo stesso Yaveh, che si irrita e ispira la collera del profeta. Ci sono altre emozioni potenti, certo, sconvolgimenti affettivi, Stimmungen – compassione, disgusto, amore. Prendo questa, la collera, per via di Omero e Orazio. Vatum irritabile genus. Per il resto, il problema non è di sapere chi comincia, se la gallina collerica o l’uovo irritante. Ma di strappare la poesia a una psicologia di poeta, il “lirismo” alla caratteriologia. La collera è oggettiva; questo non vuol dire che si oscilla dal soggetto all’oggetto; ma che si desoggettivizza il commento. Dunque, che cosa succede? Tutto questo (mi) irrita, l’essere si mette in collera e si scuote; io sono divinamente male! Si parlerà di modo d’essere che si affaccia su come è; di disposizione onto-logica, o rivelante. L’essere diventa – ciò che è, in “sé ”. In sé per sé. Riflessione dell’Essere; auto rivelazione. La collera mette in movimento il pensiero; il quale cerca di dire quel che ne è da quello che è, con un tono corrucciato. I filosofi parlano di un “esistenziale”. Io sono collera, si diceva. Oppure: la musa irrita il poeta - suscettibile, allora, perfino di andare in collera. Poi il discredito viene meno, dalla Musa divina alla suprema Allegoria:
Continua a leggere "Michel Deguy - La poesia fa male?" Lunedì, 20 ottobre 2008Due poesie tradotte in francese
Alfredo Riponi, sul suo blog "Lessness" (lessness.splinder.com), ha tradotto in francese due mie poesie, "La domanda", che risale ai primi anni '90, e "omissis" che invece è del 2007. I due testi sono già presenti in rete, ma è interessante la traduzione, non solo come resa poetica che Alfredo è riuscito a dare ma anche per i problemi che pone, a cominciare da quello della restituzione del senso eplicito e di quelli impliciti che il testo poetico porta sempre con sè, e insieme perchè pone l'autore di fronte a una prospettiva per così dire "laterale", come se fosse esterno a sè stesso, o straniero in patria. In fondo la traduzione è riconciliazione di un conflitto, tentativo di superare Babele (Steiner), ospitalità linguistica della parola dello "straniero" (Ricoeur) e altro ancora, ma anche ri-creazione artistica non dissimile da quella che fa un critico o un lettore accorto e sensibile nel momento stesso in cui legge.
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