Domenica, 18 gennaio 2015Mercoledì scorso è uscito su Floema, costola del progetto [dia*foria, un ebook di mie traduzioni da Ghérasim Luca, corredate da una nota introduttiva. L'ebook, scaricabile gratuitamente, è accompagnato da un articolo di presentazione, da video e da una performance in tema del compositore e cantante Stefano Luigi Mangia. Ringrazio Daniele Poletti e tutto l'equipaggio di [dia*foria per questa interessante collaborazione. Appunti per una lettura di Ghérasim Luca di Giacomo Cerrai
Ghérasim Luca non è solo una sfida
traduttiva e interpretativa, da cui non di rado si esce sconfitti o
insoddisfatti, ma rappresenta soprattutto una straordinaria esperienza
di lettura. Chi vi si accosta deve per prima cosa
accantonare l’idea, del tutto presuntuosa, di colmare una distanza con
l’autore attraverso la comunicazione. Luca aveva molto da dire, ma
sospetto che farsi capire fosse l’ultima delle sue preoccupazioni.
Doveva piuttosto agire per scostamenti e condensazioni, il suo scopo era
andare a vedere cosa ci fosse dietro la maschera – intesa anche in
senso tragico - della lingua, se vi fosse una sorgente non filtrata
della realtà. Doveva scoprire (denudare) il corpo della
lingua, rappresentarne la materia erotica, restaurarne la sonorità
pre-verbale e pre-nominale, doveva quindi (anche) sfuggire a
“l’incurabile ritardo delle parole” (C. Pelieu, ma ne aveva già parlato
Breton nel Manifeste du surréalisme del 1924), ovvero superare il gap tra formulazione
del pensiero ed espressione. Progetto quanto mai ambizioso, se si pensa
che è stato esperito per tutta la vita lavorando su una lingua “altra”,
non sua, alloctona, anche se fin da subito padroneggiata proprio nella
sua funzione più ardua, quella poetica. Un atto di coraggio, senza
dubbio, e una scelta così radicalmente diversa ad esempio da quella
dell’altro grande esule, il suo amico Paul Celan, per il quale il
francese rimase quasi sempre una lingua d’uso, poichè per lui
abbandonare la lingua della madre (e degli aguzzini di lei) avrebbe
equivalso, come sappiamo, ad abbandonare di nuovo la madre stessa. (la lettura prosegue QUI)
(commenti e trackback a questa notizia sono bloccati) Domenica, 21 settembre 2014Appunti di lettura (ad alta voce) Parto dall'esperienza di giovedì scorso a Milano, in occasione della
presentazione del libro antologia "Totilogia - involatura sulla poesia
di Gianni Toti" (libro di cui spero di parlare a breve), durante la
quale ho letto due o tre testi di Toti, e li ho letti come mi andava di
leggerli. L'esperienza in sè, divertente e positiva, è qui solo
l'occasione per qualche breve riflessione, un po' a ruota libera, sul dire, leggere, recitare (che sarebbe già un bel titolo per un saggetto). E leggere altri da sé stessi, soprattutto, testi di autori che non siamo noi.
Diamo per scontato che solo l'autore sa come andrebbe letto un suo
testo, e forse nemmeno lui, dato che, come credo, il testo poetico può
sempre essere soggetto ad "illuminazioni" di senso (e anche di suono)
anche per l'autore stesso. In genere l'autore ha comunque un'idea
precisa sul da farsi. Credo ad esempio che Ungaretti avrebbe letto "I
miei fiumi" cento volte allo stesso modo che in questa registrazione,
piuttosto nota. Penso anche che sarebbe difficile, avendo sotto mano
questo documento, darne una versione molto diversa, a meno che non se ne
voglia fare una cover rap o una citazione intertestuale. E che dire di Ghérasim Luca e della sua ancora oggi sconvolgente Passionnément?
Ma mettiamo il caso di non avere l'autore sotto mano, perché assente,
distante, non documentato o semplicemente morto. Purtroppo (o per
fortuna, da un'altra prospettiva) il testo poetico non è una partitura
musicale, in cui gli accenti, le misure, le pause ecc. sono più o meno
chiaramente identificati. Se questa "mancanza" lascia spazio a un certo
margine di autonomia interpretativa, tuttavia sapere come
leggere un testo di un altro è, in via generale, una presunzione, e
questo vale ovviamente anche per me. Perciò affermazioni del tipo che la
poesia (quale? tutta?) andrebbe letta lentamente, staccando con ampi
vuoti come questi le parole in modo che
l'ascoltatore possa intendere e
gustare a pieno il senso delle parole, mi
lasciano qualche perplessità, se non altro perché la poesia non è fatta
solo di parole ma di molte altre cose. Come del resto mi lasciano un po'
dubbioso le "scuole" in cui viene insegnato a dire la poesia e gli slam
nei quali la spettacolarizzazione scenica della lettura fornisce
talvolta una fin troppo comoda mascheratura alle carenze qualitative del
testo (in questo caso il proprio, quindi lasciamo perdere). Forse -
ecco, appunto - oltre al dire bisognerebbe anche insegnare il capire criticamente il testo (o autocriticamente, se si tratta di roba propria).
Un buon punto di partenza resta a mio avviso la sensibilità personale
del lettore, per quanto possa apparire fumoso questo concetto. Se uno
parte dalla tecnica probabilmente restituisce all'ascoltatore la
tecnica, non so se mi spiego. Se uno parte dall'empatia, dal
riconoscimento delle percezioni anche emotive che il testo gli ha già
dato prima, privatamente, può anche darsi che riesca a
restituirle a chi ascolta (tra l'altro sono sempre stato convinto che la
poesia andrebbe sempre letta a voce alta, anche nel chiuso della
propria cameretta, e questo rimane un buon inizio). Sensibilità e
occhio. Perchè l'autore, a parziale correzione di quanto dicevo
all'inizio, qualche segnale di "partitura" o di sotto testo, per dirla
in termini teatrali, lo dà. Credo sia utile, a mio avviso, considerare
la punteggiatura se c'è (nei testi contemporanei sempre più assente), le
interlinee, i rientri le indentazioni e gli allineamenti al margine
destro, che raramente un autore mette lì a caso, ed altri arnesi come
gli enjambement. Tutta roba che serve a dare un ritmo, le sospensioni, i
silenzi. Ma soprattutto credo che sia necessario intendere il tono del
componimento, se sia di modo maggiore o minore, se sia ad esempio grave
o ironico, se contenga un'ossessione o una liberazione. Lo so, sono
cose ovvie, ma forse non tanto a giudicare da quello che sento in giro.
Dovendo fare un esempio, citerei intanto una delle poesie di Toti che
ho letto a Milano, tratta dal libro. Ironia e critica di certi artifizi
lirici, con un pizzico di surrealismo che però dichiara un principio di
realtà assoluto:
(NECROLOGIO PER LA METAFORA)
non paragonava più niente a nessuno / non diceva più alla sua donna che era come una rosa / che era una rosa / non ripeteva neppure più alla sua rosa che era come la sua donna / che era la sua donna / ma quando lei arrivava sei come te ripeteva e quando aspirava una rosa sei come una rosa constatava e gli veniva quasi da piangere perché // la sua donna era solo la sua donna le rose erano le rose e tutte le donne del mondo tutte le rose il come era abolito nessuno lo sapeva più distinguere tra il volto e lo specchio / finalmente …
Gli slash (/) sono sospensioni, quelli doppi (//) una sospensione
allungata prima della conclusione, i grassetti i punti che a mio avviso
in lettura andrebbero enfatizzati, proprio dove il poeta mette in
discussione l'usurato "come" della metafora, annullandolo. Mi sembra
abbastanza intuitivo, tutto sommato, ma naturalmente non definitivo,
perchè in qualche modo la lettura è sempre una forma di prevaricazione
del testo.
Anche se possiamo non essere completamente d'accordo con U. Eco quando
afferma: "un testo vuole lasciare al lettore l'iniziativa
interpretativa, anche se di solito desidera essere interpretato con un
margine sufficiente di univocità", è indubbio che in quel margine
risiede il diritto creativo e inalienabile dell'autore, di cui chi
legge, più o meno professionalmente, deve tener conto.
Concluderei invitando alla lettura di una poesia che amo molto, tratta da "Variazioni" di Amelia Rosselli:
Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il mondo è vedovo se tu non muori ! Tutto il mondo è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi dalla tua nascita e l'importanza del nuovo giorno non è che notte per la tua distanza. Cieca sono che tu cammini ancora ! cieca sono che tu cammini e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.
E' evidente il meccanismo di ripetizione, reiterazione, circolarità, di
isolamento della parola, di verso costruito sul fiato, un testo in cui,
come in altri "l'idea non era più nel poema intero [...] ma si
straziava in scalinate lente, e rintracciabile era soltanto in fine, o
da nessuna parte" (Rosselli, in "Spazi metrici"). E' in funzione di
questo, del suo precipitare di parole-pietre e altro ancora che
bisognerebbe pensare la sua lettura, probabilmente. E' un terreno
aperto. Voi come la leggereste?
Giovedì, 23 maggio 2013Un piccolo ma significativo saggio di John Taylor sulla poesia di Ghérasim Luca. John Taylor è uno scrittore, critico e traduttore americano che ha vissuto a lungo in Francia. E' autore di Paths to Contemporary French Literature, in tre volumi, e di Into the Heart of European Poetry, tutti pubblicati da Transaction. Ha inoltre scritto sette libri di narrativa, racconti e poesia, gli ultimi dei quali sono The Apocalypse Tapestries (Xenos Books), Now the Summer Came to Pass (Xenos Books), and If Night is Falling (Bitter Oleander Press). Il primo è stato tradotto in italiano da Marco Morello con il titolo Gli Arazzi dell'apocalisse (Hebenon). Taylor ha spesso tradotto importanti selezioni di poesia e prosa poetica dei principali autori francesi, ma ama cimentarsi anche con l'italiano. Qui su IE sue traduzioni di Lorenzo Calogero.
Il saggio è un'ottima occasione, per chi non lo conoscesse, per avvicinare il lavoro di Luca. Testi di G. Luca possono essere letti QUI, oltre che sul blog "Anfratture"
di A. Riponi, che ha curato e tradotto, in collaborazione con me e
R.R.Florit, "La fine del mondo", l'unica antologia di scritti di Luca attualmente pubblicata
in Italia (Ed. Joker).
Nella foto, una delle "cubomanie" di G.Luca ("Indocina", 1960, collage su legno) - clicca sull'immagine per ingrandire. Ghérasim Luca, un serissimo gioco di parole
Molti di noi sentirono parlare per la prima
volta del poeta Ghérasim Luca (1913-1994) da Gilles Deleuze. Il defunto
filosofo francese affermava nel suo libro Dialogues (1977) che
il poco noto scrittore francese di origini rumene era niente di meno che
"un gran poeta tra i più grandi". Questa lode, provenendo da un
pensatore di tale valore, spinse nuovi lettori ad avvicinare la
provocatoria opera di Luca, che all'epoca era pubblicato in edizioni da
bibliofili a tiratura limitata. Più tardi, quando la prosa e la poesia
di Luca divennero più disponibili nei tardi anni '80 e nei successivi
'90 - in attraenti e scrupolosamente curati volumi (una decina nel
periodo) pubblicati dalle Edizioni José Corti - nessuno poté più
ignorare questo surrealista rumeno che si era stabilito definitivamente a
Parigi dal 1952 e aveva già adottato - con il suo libro Le Vampire passif (1945) - il francese come lingua letteraria. Un écorché vif, come questi artisti
creativi e tormentati erano chiamati (erano stati "scorticati vivi"), Luca
impresse a fuoco il suo marchio sulla moderna poesia francese con i
mezzi di una feroce irriverenza, di una sfida intellettuale, una
originalità formale, così come, in particolare, con bizzarri giochi di
parole e polisemici "balbettii". I torvi, lascivi, ossessionati dalla
morte scritti di Luca disorientano, indignano, e inducono al riso; essi
possono anche sfidare o confondere, come nelle lettere, quotidiane e non
firmate, che egli una volta scrisse, e mandò realmente a un amico,
indirizzate a un fantomatico "Monsieur" - vedi Levée d’écrou
(2003) - scelto a caso. In breve, le poesie e i testi in prosa di Luca
sono tanto giocosi e illuminanti quanto essi sono bizzarri e
inquietanti. Continua a leggere "" Lunedì, 10 dicembre 2012Ieri su La Lettura del Corriere della Sera è uscita una recensione di Roberto Galaverni di "La fine del Mondo", l'antologia di testi di Ghérasim Luca edita da Joker, a cura di Alfredo Riponi, traduzioni di A.Riponi, R.R.Florit e G. Cerrai. "Bisognerebbe forse avere in mente le pagine di Emile Cioran sulla calcificazione, il fanatismo grammaticale, la monumentalità della lingua francese, prima di avvicinarsi alle poesie di Ghérasim Luca, lo scrittore romeno espatriato in Francia nel 1952 e scomparso nel 1994, quando, proprio come il suo più illustre conterraneo Paul Celan, pose fine alla sua vita gettandosi nella Senna. L'antologia La Fine del mondo costituisce il suo primo volume di versi tradotto in italiano direttamente dal francese, una lingua che Luca, nato nel 1913 da una famiglia ebrea askenazita e di lingua yiddish (ma anche romena e tedesca), scelse di adottare molto prima dell'espatrio, e non per garantirsi una patria e un'appartenenza linguistica nuove, quanto per testimoniare nella più codificata e inesorabile delle lingue la condizione di radicale, ontologica estraneità dell'uomo al mondo che gli è dato". (continua a leggere QUI)
Lunedì, 11 giugno 2012Bene, alla fine ce l'ha fatta. Il libro "La fine del mondo - Poesie 1942 - 1991" di Ghérasim Luca, a cura di Alfredo Riponi, con traduzioni di A. Riponi, Rita Regina Florit e Giacomo Cerrai, è finalmente uscito per i tipi delle Edizioni Joker, collana "Libri dell'arca" (v. QUI). Un autore importante e difficile, che costituisce sempre una sfida interpretativa e traduttiva, impone un ascolto costante e scelte a volte ardue, ma che restituisce una esperienza poetica assoluta. Book-trailer di 19 pag, con estratti QUI Mercoledì, 23 febbraio 2011Un altro testo di Ghérasim Luca, una traduzione non senplice, in bilico tra senso e significato, in cui si è
impegnato ancora Alfredo Riponi, che ringrazio. Il testo è già apparso
su Lessness, dove è possibile reperire altre poesie dello stesso autore, come anche qui su IE seguendo il tag corrispondente. nella foto: Cristina Roncati - Letto sfatto, 1975, scultura polimaterica, dim: 60x110x200
Fonte: Galleria Centro Steccata - Parma (link)
nota del traduttore:
D’UN GESTE SIGNIFICATIF
La poesia è solo a prima vista un gioco linguistico. Siamo sul letto occupato da due amanti.
Si percepisce nel titolo finale “Lit ivre” il riferimento al “Bateau
ivre” di Rimbaud. I sintagmi, frutto di una scelta linguistica solo
apparentemente del tutto arbitraria, liberano completamente il
significato solo nel suono.
lit-monade = letto-monade (limonade = limonata) lit-vide = letto-vuoto (livide =livido) lit mortel (l’immortel = l’immortale) lit limité (l’illimité = l’illimitato) lit mémoré (l’immémorial = l’immemoriale) lit-tige (litige = litigio) lit-dé (l’idée = l’idea) lit-mage (l’image = l’immagine) lit respirable (l’irrespirable = l’irrespirabile) lit responsable (l’irresponsable = l’irresponsabile) lit mobile (l’immobile = l’immobile) lit-lit mi-table (l’illimitable = l’illimitabile)
lits sans cieux = letto senza cieli (licencieux = licenziosi)
LETTO EBBRO nessun letto-stelo letto-dado e letto-mago
letto respirabile letto responsabile letto mobile letto-letto metà tavola letti senza cieli
Mercoledì, 26 gennaio 2011
GHERASIM LUCA
Per Luca “le parole sono soltanto il supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale”, un abbandonarsi alla vibrazione
del nostro essere che eccede il senso.
L’INVENTORE DELL’AMORE - APPENDICE
L'ultima raccolta alla quale Ghérasim Luca lavorò si compone di due lunghi poemi già pubblicati nel 1945 in Romania: L'inventore dell'amore e La Morte morta e un’Appendice. Questi testi, ai quali Ghérasim Luca rimise mano prima della morte, sono in diretta relazione con il “Primo manifesto non-edipico”, testo scomparso. L’inventore dell’amore propone la sua reinvenzione, in un mondo in cui
“tutto dev’essere reinventato” e che impone il distacco da una condizione edipica, che rende l’amore impossibile. L’inventore dell’amore
rincorre la donna amata ma assente dalla realtà per incarnarsi in tante donne diverse, per sfuggire al fantasma edipico della madre.
QUARTO D'ORA DI CULTURA METAFISICA
Prendersi una pausa, un quarto d’ora di cultura metafisica. Occorre trovare un posto alle idee, a costo di piegare la morte alla vita o di collocare la
vita sopra la morte. Le idee hanno corpo, prendono corpo, sono tese, sfibrano l’essere. Il vuoto non è senza il suolo, la terra non è senza angoscia.
Un brivido percorre le idee e la vita, la morte va tenuta sopra la testa o lasciata fuori. Tra “la transe et la danse” saltelliamo – come
Zarathustra – sui brividi, le angosce docili, rilassamento delle idee e del corpo. Esercizio di respirazione, ma che è solo un punto di arresto – un
tempo morto – tra le idee, un gettarle indietro con la morte, facendo venire avanti vita e angosce, “aspirare attraverso il vuoto”. “Il saggio è senza
idee”, il poeta ha idee tese, fino a spezzare il corpo, dove “expirer” (espirare) è anche l’atto di morire (spirare) aspirando il vuoto.
Quart d'heure letto dall'autore
Mi è difficile esprimermi in linguaggio visivo. Potrebbe esservi nell’idea stessa di creazione - cre-azione - qualcosa, qualcosa che sfugge alla passività di una descrizione che deriva
inevitabilmente da un linguaggio concettuale. Nel linguaggio che serve a designare gli oggetti, la parola non ha che un senso, o due al massimo, e
tiene prigioniero il suono. Spezzando la forma in cui la parola si è invischiata appariranno nuove relazioni: la sonorità si esalta, affiorano segreti
che giacevano addormentati, colui che ascolta è introdotto in un mondo di vibrazioni che suppone una partecipazione fisica, simultanea, all'adesione
mentale. Liberate il soffio e ogni parola diventa un segnale. Mi riallaccio verosimilmente a una vaga tradizione poetica e ad ogni modo illegittima. Ma
il termine stesso di poesia mi sembra falsato. Forse preferisco “ontofonia”. Colui che schiude la parola, schiude la materia, e la parola non è che il
supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale. Più che situarmi in rapporto a una tradizione o a una rivoluzione, mi
applico a svelare una risonanza dell’essere, inammissibile. La poesia è un “silensophone”, il poema, un luogo d’operazioni, la parola è sottomessa a
una serie di mutazioni sonore, ognuna delle sue sfaccettature libera la molteplicità del senso di cui si carica. Nell’estensione della mia lingua il
frastuono e il silenzio si scontrano – centro shock - dove la poesia assume la forma dell'onda che l’ha scatenata. O meglio, la poesia s’eclissa
davanti alle sue conseguenze. In altri termini: io m’oralizzo.
(Ghérasim Luca)
***
Ghérasim Luca (1913 – 1994).
Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua
della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza
con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e
di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca
di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo
ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta
illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo
grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato
francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e
comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per
i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil
Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976.
le note introduttive e la scheda biografica sono di Alfredo Riponi
Martedì, 16 febbraio 2010Ghérasim Luca (1913 – 1994) Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976. * Nel gioco linguistico dei verbi-sostantivi (Je te flore \ tu me faune), sono gli oggetti a prendere corpo da me a te e da te a me. Anche se apparentemente c’è (nella lingua francese) un solo soggetto, in realtà sono due in uno. Io-tu, uomo-donna, “noi singolare”: “nous nous pulvérisable”. Rendere altrimenti questo testo sarebbe stato impossibile (Alfredo Riponi) La traduzione è di Alfredo Riponi. Un altro testo di Ghérasim Luca, L'eco del corpo, tradotto da Alfredo Riponi e Rita R. Florit, è reperibile qui Addendum 18/02: altri testi di e su G. Luca (sempre su Lessness) li trovate qui Continua a leggere ""
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