Lunedì, 12 giugno 2017Nanni Balestrini - da ContromanoAlcuni testi tratti dalla bella pubblicazione curata e edita dal gruppo di [dia°foria nel 2015 (v. QUI), un libro bifronte come Giano, con due autori ma completamente dedicato a Nanni Balestrini. Si tratta (il recto) di " Nanni Balestrini - Contromano", otto testi, di cui uno eponimo, e sei opere visuali, più (il verso) "Fausto Curi - Un’ordinata progettazione del disordine", un interessante saggio dello studioso delle avanguardie italiane sul lavoro di Balestrini, il cui titolo - almeno a me vecchio compulsatore di Gadda - rimanda alla "disarmonia prestabilita" di roscioniana memoria (e credo che l'accostamento sia onorevole, e forse non del tutto peregrino). Vale la pena ricordare che nel 2016, sempre per [dia°foria, Fausto Curi ha pubblicato una raccolta di saggi su Balestrini, compreso il succitato, dal titolo "Nanni Balestrini e la poesia come questione" (v. QUI).
Dice Curi nel suo saggio: "Nella letteratura italiana d'oggi, presa, con qualche eccezione, fra ordine banale e disordine incolto, Balestrini è uno dei pochi che hanno capito che il nuovo nasce da un'ordinata progettazione del disordine (...). Per Balestrini comporre un testo poetico non significa soddisfare un'esigenza espressiva personale, soggettiva. Significa costruire un pezzo di realtà. Ciò non implica, né d'altro canto potrebbe, una totale esclusione del soggetto dall'operazione poetica. Tanto più che questa si avvale sempre di strutture verbali prelevate da altri testi, per lo più giornalistici, e consente quindi spesso un accorto gioco di allusioni e di riferimenti che, per essere indiretti, non sono per questo meno significativi. Che Balestrini parli con parole altrui è diventato quasi un luogo comune delle cronache. Ci si dimentica di solito di precisare che la straordinaria abilità e la non meno straordinaria efficacia con cui l'autore compie le sue scelte ed esegue i prelievi verbali e la costruzione di nuovi testi conferisce al discorso poetico una sorta di impersonalità linguistica che è efficace soprattutto nella misura in cui talvolta assomiglia alla asseverazione indiscutibile di certe epigrafi o di certi detti memorabili. Con questo però di particolare, che alla serietà dell'operazione l'autore non manca mai di congiungere un intento ludico, così da creare un singolare contrasto e da attenuare ma non da spegnere eventuali effetti di solennità, o da provocare un imprevedibile grottesco o un'ironia del tutto oggettiva: "che un'altra storia è possibile", "si propone di migliorare il mondo", "trentanni di storia italiana tagliati a pezzi / posò la gallina per terra", "l'abiura. Spesso preghiamo che Dio ci dia una mano / (un cilindro di carta d'amaretto, dateci fuoco in cima...)", "Un uccello / bianco ogni tanto lacera aquiloni nel sole. TEOREMA: / Francesco Petrarca era forse infelice di non avere il caffè?". Balestrini, insomma, parla di sé e di molte altre cose usando non memorabili parole altrui. Ma quelle parole diventano incontestabilmente sue e acquistano una dissacrata memorabilità per il nuovo assetto che egli conferisce loro. Si noti: quando non è essa stessa il senso, è spesso la struttura a decidere del senso. (...) Quelli che convenzionalmente chiamiamo versi sono delle cellule verbali ossia dei sintagmi che quasi certamente Balestrini preleva dai testi di altri autori, testi non poetici ma giornalistici o scientifici. Ciò non significa che egli si precluda ogni intervento, sia pur minimo, e che pertanto un sintagma - al di là di quanto di soggettivo è già presente nella scelta e nel prelievo - non possa essere modificato a piacere dal nuovo autore. Il punto essenziale è quindi in quale modo un sintagma, o se si preferisce un verso, viene congiunto con il sintagma o verso successivo. Senza affatto escludere possibili errori di interpretazione dell'esegeta, Balestrini sembra procedere alternando due diversi modi: 1) per consecutività o per similarità, fornitegli dal prototesto, o inventate da lui stesso; 2) per contrasto o per alterità, ossia per assenza di connessioni proprie della logica comune". Insomma, continua Curi, "la realtà com'è non piace a Balestrini. Ma non gli piacciono nemmeno i progetti variamente elaborati per la realtà come potrebbe essere, non lo soddisfano, non lo persuadono, perché, nonostante la buona volontà di coloro che li hanno disegnati, corrispondono a idee e immagini della realtà com'è. Come non è un naturalista, così Balestrini non è un utopista. Come non penserebbe mai a riprodurre la realtà com'è, così non lo sollecita fantasticare, immaginare mondi possibili. È un realista deluso, inquieto, eretico, e disperato. Ma è un realista. E un realista deluso dalla realtà e che si rifiuta di rifugiarsi nella fantasia non ha altre risorse che usare la stessa realtà per costruire una realtà diversa. Costruire, si badi, edificare, dare forma, non immaginare, se non per quel tanto di immaginazione che è necessario per dare forma a qualunque oggetto. Quello che cerca Balestrini non lo immagina, lo costruisce". Continua a leggere "Nanni Balestrini - da Contromano" Domenica, 12 febbraio 2017Juan Larrea - poesie da Versione celesteAlcune poesie di Juan Larrea (1895-1980), tratte dal libro "Versione
celeste", pubblicato in Italia da Einaudi nel 1969, con la traduzione e
cura di Vittorio Bodini (1914-1970), forse il massimo interprete della
letteratura spagnola, soprattutto barocca e surrealista. Serve
sottolineare innanzitutto che questa edizione costituisce la prima
mondiale della pubblicazione dell'opera poetica di Larrea. Il poeta è
stato uno dei nomi più nascosti (tanto che per un po' è stato creduto un
eteronimo dell'amico poeta Gerardo Diego) della poesia del Novecento,
non solo iberica, che Bodini aveva già preso in esame nel suo importante
testo "I poeti surrealisti spagnoli", pubblicato nel 1957 sempre per
Einaudi, definendolo "il padre misconosciuto del surrealismo
spagnolo". In realtà Larrea è un surrealista sui generis, perché pur appartenendo alla cosiddetta generazione del '27.
di cui l'avanguardia è componente rilevante, se ne è tenuto appartato,
ed è semmai con la sua permanenza a Parigi (dove insieme all'amico César
Vallejo conosce e frequenta Eluard, Tzara, Aragon, Desnos ed altri)
che entra in contatto con il surrealismo militante. E tuttavia, come
scrive lui stesso, "del movimento ho utilizzato solo quelle tendenze che
mi erano affini, ma non mi compromisi mai con esso. Anelavo anch'io a
trasferirmi in un'altra realtà, ma in maniera differente". In realtà,
mentre altri lo annettono ai cosiddetti "creazionisti" o agli
"ultraisti", è proprio Bodini a volerlo includere nella categoria del
surrealismo, pur ammettendo implicitamente che quello di Larrea è un
linguaggio tipico e personale, tanto che "il suo generico debito verso
Tzara non è maggiore di quello di ogni altro surrealista francese e
europeo". L'acquisto principale di Larrea in Francia è invece la lingua
in cui sono scritte molte delle poesie originali del libro, il francese
"che è la lingua franca della rivolta, il segno linguistico della
categoria del surreale che si fa linguaggio internazionale della
comunità dei poeti, data la sottonazionalità dell'inconscio collettivo.
Ciò che egli cerca è l'estensione dell'io sino ad includere i più remoti
angoli dell'universo, l'annessione dell'altra faccia della vita, sogno e
inconscio, la dislocazione di sé, la moltiplicazione del reale in
ipotesi" (Bodini). Ed è lo stesso Larrea ad affermare: "Non invano avevo
iniziato a svincolarmi dalla Spagna degli anni '20, fino ad arrivare a
comporre i miei testi poetici in francese. Mi ero estraniato dalla
poetica peninsulare, come fecero ugualmente nel loro campo i pittori".
Come scrive ancora Bodini, "Larrea attinge dal subliminale materiali
psichici junghiani carichi di retroscena, di vicende stregate e amabili,
che ci seducono senza conoscerle, ma fra cui nondimeno s'affaccia con
una qualche costanza una serie di cieli capovolti, di un cosmo
ribaltato, ma senza degradazione, con pazienza, nel fondo
dell'individuo, intrecciato ai suoi fili, alle sue relazioni più
personali". Da questi materiali Larrea trae una scrittura che affascina e
stimola, nella quale "i sostantivi nascono simultaneamente coi loro
sorprendenti predicati, e questo è già il segno d'un poeta di razza. Ma i
predicati sono azioni o relazioni fra le cose: la fittissima rete che
vengono a istituire fra di esse fa sì che l'universo di Larrea, unitario
e sensibile, si risponda da una parte all'altra, pronto a registrare
fino alle più insospettate lontananze il più piccolo evento o la più
piccola coincidenza che si verifichi in qualsiasi punto di esso", dice
inoltre Bodini. Che aggiunge: "ribadiamo la convinzione che ciò che
conta nella sua fabbrica poetica non siano gli oggetti ma le relazioni
che si vengono a creare fra di essi e fra essi e il poeta, la
equidistanza che egli riesce a mantenere, il suo andare e venire fra il
cuore e il cosmo nella loro più rigorosa oggettivazione". Se il testo
può apparire difficile (ma mai artefatto o "falso") quindi è perché, mi
sento di aggiungere, il poeta osa operare "tale prodigiosa dislocazione"
di sé, delle relazioni, del linguaggio. Basterebbe questo per
restituirgli il posto che merita nella poesia del Novecento, non solo
spagnola. (g.c)
Continua a leggere "Juan Larrea - poesie da Versione celeste" Martedì, 29 novembre 2016 Un’influenza senza angoscia: l’ombra lunga di Emilio Villa nei testi di Corrado Costa
[da un intervento al Convegno che ha avuto luogo nelle giornate del 24 e 25 novembre 2016 presso la Scuola Normale Superiore, dal titolo «I Verbovisionari.
L’ “altra avanguardia” tra sperimentazione visiva e sonora»]
Il parallelismo critico tra le figure di Corrado Costa ed Emilio Villa, oltre a poggiare su una solida amicizia personale (testimoniata dal nutrito carteggio conservato presso l’Archivio «Emilio Villa» di Ivrea), ha prodotto un’interessante collaborazione artistico-letteraria, particolarmente operativa tra gli anni Sessanta e Ottanta. Ricordo, sinteticamente, tra i testi più noti, ll mignottauro. Phrenodiae quinque de coitu mirabili (scritto a quattro mani e pubblicato nel 1980) e The Flippant ball-feel (un testo di Emilio Villa composto ad accompagnamento dei tre poemi-flippers di Corrado Costa e William Xerra, presentati alla Mostra del Mana Market, a Roma, nel 1973). Per fornire un inquadramento generale dell’approccio di Costa ai testi villiani, occorre partire da alcune specificazioni preliminari: per quanto Villa sia stato un referente d’elezione per il giovane poeta, Costa è riuscito ad emanciparsi piuttosto brillantemente dal modello villiano, smontandolo nelle sue componenti fondamentali ed isolando quelle caratteristiche tecniche più utili a fondare una propria avventura sperimentale, felicemente autonoma. Per questo motivo, si potrebbe parlare di un caso critico-clinico di «influenza senza angoscia», cercando, nel parafrasare e distorcere l’etichetta di Bloom, di conservare intatto il valore dell’influenza, da cui Costa si svincola ma soltanto dopo aver compiuto un pedinamento serrato dei testi villiani, e operando una scelta ragionata di prelievi stilistici cui mescolare altre sollecitazioni culturali o apporti personali. Dal canto suo, Emilio Villa ha l’abitudine di rivolgersi a grandi modelli del passato (dai filosofi presocratici ad Artaud, da Esenin a Eliot), scansando il dialogo diretto con i poeti contemporanei; pertanto la figura di Costa verrà accettata in veste di compagno di strada (a volte coadiutore in opere a quattro mani), ma senza che la collaborazione lasci tracce stilistiche o suggestioni tematiche evidenti.
Soprattutto nei testi di Costa elaborati all’interno dell’arco cronologico citato all’inizio (anni sessanta-ottanta), il basso-continuo villiano si impone
come referente preferenziale e quasi “seconda voce” argomentativa nella riflessione del poeta. Se prendiamo, ad esempio, Inferno provvisorio
(uscito nel 1970), oltre a svariate allusioni e citazioni dirette sparse nel corpus testuale, troviamo un sottoparagrafo intitolato proprio «Emilio Villa»,
una sorta di digressione dedicata alla figura-chiave nel percorso di formazione del poeta:
Continua a leggere "" Lunedì, 29 settembre 2014Totilogia, involatura sulla poesia di Gianni TotiTotilogia - Involatura sulla poesia di Gianni Toti - [Dia*foria / Edizioni Cinquemarzo 2014
Dopo molti libri di più o meno esordienti alla ricerca spesso vana di una originalità difficile da afferrare, è bello sfogliare questo di (e su) Gianni Toti, dovuto alla passione di un gruppetto che anima la rivista/sito [Dia*foria, in collaborazione con la Casa Totiana presieduta da Pia Abelli Toti. Libro in cui l'originalità di Toti emerge come talento e insieme risultato di una ricerca per sua stessa natura sempre insoddisfatta (la ricerca è di per sé "incompiuta") ma costantemente perseguita. E risultato di un lavoro e di una maturazione intellettuale (voglio dire, l'originalità non è una cosa a cui si può "puntare", come pretenderebbe qualcuno). Probabilmente non è facile farsi un'idea esauriente - solo tramite questo libro - della personalità complessa di Gianni Toti, del suo multiforme ingegno, della sua curiosità artistica che spaziava attraverso le forme o le inventava, ricercando sempre. Basta dare una scorsa alla sua biblio-film-videografia (v. QUI) per rendersene conto. Ex partigiano ("coSmunista", come si definì in seguito), amico di molti importanti intellettuali del tempo da Pasolini a Cortàzar, giornalista per moltissimi anni, romanziere, saggista, poeta, cineasta, autore teatrale e televisivo e, dagli anno '80, artista poetronico (altra sua definizione), ovvero ideatore e creatore di videoarte a livello internazionale, e comunque in ultima e definitiva sintesi, come ha scritto qualcuno, semplicemente poeta, poeta che amava sperimentare. Tuttavia questo libro è importante, non solo perchè è la prima raccolta italiana di lavori totiani. Questo volume nasce dall'esigenza di mettere insieme una buona antologia delle opere di Toti (purtroppo, per ovvie ragioni, solo quelle su carta) e una serie di interventi creativi e critici che illuminano Toti o che da Toti tributariamente sono irraggiati. L'interesse sta anche qui, nell'idea di fecondità artistica che si riverbera dalla prima alla seconda parte, delle possibilità non remote che indica di lavorare su una diversa tradizione (absit iniuria verbis) su cui costruire dinamicamente. E anche nel fatto che non storicizza proprio un bel niente (come talvolta è difetto delle antologie), ma anzi vuole essere una porta lasciata aperta. Come ogni buon lavoro, non deve essere esaustivo. Deve semmai accendere una curiosità da soddisfare magari investigando ulteriormente, della dimensione - pure storica, pure politica, certo - della produzione artistica di quei decenni che scorreva parallelamente, senza mai incontrarlo, al cosiddetto mainstream, anche al di là della singola figura di Toti. Che, dal mio punto di vista, è molto interessante anche come raro punto di contatto e fusione di forme che comunemente vivono nel disinteresse dell'una per l'altra, anche a livello cognitivo o semplicemente culturale, in un sistema oppositivo che vede solitamente distanti poesia e prosa, letteratura e arti figurative, media fisici ed elettronici. Questa fusione permette, molto più di quanto avvenga in altri autori, di scorgere una visione del mondo e del tempo, un panorama di quegli anni attraversati da molti fermenti, sia politici che culturali, spesso purtroppo decaduti. Ma il lavoro fondamentale di Toti, al di là delle
forme, qualsiasi forma, è sul linguaggio, inteso nel senso più ampio del
termine, "in una militanza che pone l'accento sulle giunture del segno,
tanto che si potrebbe parlare di realismo intraverbale finalizzato a
disvelare la rete delle apparenze, le miriadi di circuitazioni da cui il
velo di Maya è pervaso", come afferma Stefano Guglielmin in una nota
contenuta nella seconda parte del libro. Anche utilizzando marchingegni in realtà antichissimi come ossimori, paradossi, metasememi, tutti in grado di cortocircuitare il senso canonico, quel che ci si aspetta. Analogamente nei video l'immagine è manomessa, graffiata, rovesciata, sovrapposta, sporcata, blurred, o semplicemente re-inventata. Spingendosi così nella sua opera
sempre più in là, surrealisticamente: se la realtà non è più dicibile,
anzi se si è "cancellato l'indicibile", se i vecchi arnesi non fungono
più, come dice (metaforicamente) nel testo "Necrologio per la metafora" (v. QUI),
allora "Toti ri-comincia ad inventare il linguaggio, ma questa volta
non sbaragliando e spezzettando i significati, quanto ricomponendo i
significati tramite la ri-metaforizzazione del dicibile, per via
dell'in-venzione che sola potrebbe ridarci un futuro, ossia la
temporalità della coscienza, la verbalizzazione che possa riconnetterci a
un altro o altri" (Peter Carravetta, in un'altra nota qui presente).
Una "titanica, e forse proteica, vocazione alla ricreazione" che
sembrava potenzialmente infinita. (...) Continua a leggere "Totilogia, involatura sulla poesia di Gianni Toti" Giovedì, 19 dicembre 2013Cinquant'anni del Gruppo 63, video RAIIeri sera, su RAI5, speciale di "In scena" dedicato ai cinquanta anni del Gruppo 63, dal titolo "63 X 50". Interviste, interventi, brani, letture, clip di performances ecc. di Cepollaro, Angelo Guglielmi, Cortellessa, Balestrini, Bonito Oliva, Niccolai, Giovanni Fontana, Lo Russo, Barilli, Venturiello ecc. ecc. Un po' di spezzatino, ma se per caso ve lo siete perso e vi interessa lo ripropongo qui, una rinfrescata di memoria non fa mai male. Avvertenze: la connessione con la Rai è un po' lenta, il file è pesante, oltre 50 minuti, ci vuole pazienza. Vi conviene aspettare che il buffering (in pratica lo scaricamento) vada un po' avanti. Per passare a schermo intero usate il comando a destra del lettore video (la barra appare passando il mouse o cliccando sullo schermo). Buona visione.
Link diretto alle Teche RAI QUI Martedì, 29 aprile 2008Emilio Villa l'inafferrabile
Con la mostra a lui dedicata in questi giorni a Reggio Emilia sembra riaccendersi l'interesse su uno dei maggiori "soggetti artistici non identificati" della cultura italiana, Emilio Villa, già oggetto di una mostra nel 1996 al Museo Pecci di Prato. Ripesco da La Repubblica e riporto qui sotto un articolo scritto da Francesco Erbani pochi giorni dopo la morte dell'artista (ma non so se questa definizione gli sarebbe piaciuta) avvenuta nel gennaio del 2003. Segnalo anche su Nazione Indiana il post di Fabio Pedone dedicato alla mostra (v. qui)
Emilio Villa l'inafferrabile di Francesco Erbani
Giovedì, 20 dicembre 2007Adriano Spatola - Zeroglifici
Torno su Adriano Spatola, nel tentativo di dare un'idea un pò più ampia delle sue attività poetiche, pubblicando qui (file pdf) quattro "zeroglifici" non presenti tra quelli reperibili in rete perchè digitalizzati direttamente dalla rivista Tam Tam, che Spatola fondò con Giulia Niccolai nel 1972. Qui la parola (che c'è ancora, da qualche parte, forse in qualche improbabile recesso della mente del "lettore") viene "affettata" ma non per domandarne la ricomposizione al fruitore, che sarebbe un'irrisione, bensì per innescare una "disseminazione del senso" quasi di stampo decostruzionista. Dice S. Guglielmin: "Zeroglyphics di A. Spatola uscì nel 1966, per la The Red Hill Press di Los Angeles. I caratteri sacri degli antichi, la loro capacità di decifrare i segni del divino nel presente, viene meno. Nella civiltà della comunicazione di massa, il segno ha infatti un valore metafisico uguale a zero, essendo soltanto superficie, residuo di una forma ch'era stata sostanza, da cui ricavare altri, infiniti, residui. Residui di residui, scarti degli scarti: zeroglifici, appunto. (da Blanc de ta nuque). E dice Spatola, in una dichiarazione di poetica comparsa nel libro Zeroglifico (Sampietro, Bologna 1966): "L’obbiettivo della poesia concreta è la ristrutturazione sistematica dei metodi di creazione poetica, mediante la ricerca sperimentale di nuove forme di disponibilità eteronoma del fare poetico e la costruzione di modelli di comportamento inediti all’interno dell’attività creativa. Le esperienze svolte nell’ambito della poesia concreta sono caratterizzate dalla provocazione controllata di aperture semantiche a largo raggio, i cui risultati si presentano come dati preliminari di operazioni successive intese all’analisi delle possibilità “attive” della parola, sulla base del postulato che la parola non è l’oggetto amorfo ma il centro vitale di forze in continua trasformazione. La poesia concreta (effetto ottico + valore semantico) muovendosi nel più vasto contesto della poesia sperimentale analizza le tecniche di interazione tra i vari livelli di significato, agendo per mezzo di metamorfosi morfologiche, fonologiche o sintattiche, e di declinazioni o sostituzioni sillabiche. Arte essenzialmente tecnica, la poesia concreta è poesia razionale, fondata non più soltanto sulle leggi estetiche ma anche su quelle statistiche, e rappresenta un passo decisivo verso il rinnovamento radicale dell’immaginazione." (da Tellusfolio).
Giovedì, 6 dicembre 2007Adriano Spatola - da Diversi accorgimenti
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