Chiudo la serie di post dedicati ai lavori del Premio Internazionale Il Ceppo di Pistoia con una poesia di Paolo Fabrizio Iacuzzi, direttore artistico
del premio, ispirata all’opera simbolo dell’edizione di quest’anno, un origami dello scultore Luigi Russo Papotto dal titolo “Il Ceppo bianco”. Iacuzzi
è tra l’altro curatore dell’opera di Piero Bigongiari ed è nell’ambito del premio che del grande poeta è stato presentato il testo inedito qui
pubblicato. Ringrazio Iacuzzi per il materiale concesso a Imperfetta Ellisse per questa occasione e per i post precedenti
Il Ceppo Bianco
Cartografia assiale è quanto ho appreso nell’orto dai frutti.
E da questo padre che prima della morte ha invaso la Natura.
Già esiste al di là della sua vita. Percorre in discesa il bosco
Di castagni. Arriva al cerro sughero. Disegna la carta in forma
Di trapezio. La peripezia umana. Qui nel ceppo tagliato
Il castagno si esprime in mazze sottili di carta. Possiede
La forza degli origami che non diresti. Le mazze bianche.
I ritagli di carta. La neve nel primo inverno. Qualche foglia
Verde rimasta intatta nei bronchi neri. Una bianca è il sellino.
Bicicletta l’intreccio della cesta in divenire. Stretta con fili
Di paglia. Manubrio e canna tralci di vite bianca. Calce.
Si muove il vento. Si concede il movimento. Salire dai bronchi
Neri andati a fuoco dopo il taglio. A volte s’impenna alta.
Spaventa gli storni piovuti in assalto. Nella bandita di caccia.
Paolo Fabrizio Iacuzzi
Una poesia inedita di Piero Bigongiari
La foresta dell’Acquerino
Ebbi un paese pieno di foreste
e botri e feste mattutine, vidi
l’irradiarsi del sole tra le fronde
gelide ancora della notte, udii
parlare il muto come un animale
preistorico. Perché dunque se dico
che io so stare dove non si può
sostare, sembra incredulo il mio detto?
Nulla più dell’imperfezione è
perfetto, nulla più del tragico è
dolce.
Acque cadenti giù di masso
in masso che scherzavano coi venti
furono testimoni che il mutare
era piuttosto stare nell’infrangersi
dello specchio. Il diamante dove appare
e scompare della vita, se lo
estrassi dall’anulare del padre
e lo lasciai cadere e scheggiare
la trasparenza oscura, dove amare
era solo un sospetto, dove mai
io posso ritrovarlo?, oltre il tarlo
della mente, nei suoi oscuri cespiti
dove la luce e il niente che s’incontrano
si toccano a vicenda.
È in frammenti
che il canto inascoltato trova i suoi
più nascosti elementi come persi
sul buio pavimento luccicavano
minuscole le schegge che indicavano
che il cammino non regge se le sue
direzioni non moltiplicano il senso
delle regge della felicità
da abbandonare. È dolore, non polvere
sostare dove l’uomo deve stare.
– Ma tu, o dolcissima, non voltarti,
sei sulla curva estrema del tuo sguardo. –
Segno qui per te un frammento del poema,
pur se in grave ritardo sul suo tema.
14 maggio 1989