Spiaggia d’affogati, cani inquieti,
disarmati bastoni in ampi
lanci vuoti,
riva di ciottoli e relitti.
Possesso e perdita
- a perdita d’occhio -,
e un vento che trasporta nuvole barocche
e insieme l’idea stessa che avevamo
partorito.
E’ in questo preciso posto, credo,
che l’opera si è conclusa, qui
seduti a cercare il silenzio,
a prestito,
di un luogo che non ha colpa,
tranne questo delitto di fine estate,
il décollage da assi fradice
di circhi e tigri
e brani di singole parole
con cui avremmo potuto riscrivere
i nostri nomi, l’opera,
l’idea stessa del suo farsi
menzione o atto.
L’opera era avulsa dal luogo:
era accettabile purchè un dovunque possibile
con semplici tocchi di pennello fosse
in un luogo immutabile,
un luogo di puro proscenio agnostico.
Non stava là, la finzione:
era semmai metafora,
orizzonte indistinto e perciò
promettente come un futuro
senza necessari dove.
Ora si raschiano intonaci,
si disseppelliscono altri porti,
i muri sono senza parole,
senza cornici le nostre esistenze.
E qui, ora, ammutoliti,
il luogo non è
e non essendo ci turba,
perchè noi non possiamo essere noi
senza di esso.
Cerchiamo di amarle sempre, le nostre donne, ricordandoci di loro ogni giorno, non solo l'otto marzo. Cerchiamo di rispettarle, e se qualche volta ci fanno incazzare o stare male, scriviamoci sopra una poesia e continuiamo ad amarle...Qui due testi lontani tra loro quasi vent'anni
mimose precoci,
dopo un anno...
il vento ci piega e ritorniamo,
flessibili.
Un anello si è aggiunto,
solo una piccola scorza tenera,
qualcosa che è difficile da dire.
Mi chiedi se hai rughe.
Il tuo corpo perfezionato risponde,
come un'anima morbida che hai dentro,
no.
E' ancora facile incidere su te
o piegarti alla voglia;
io invecchio impercettibilmente,
un fruscio nelle ossa,
la pazienza che matura
nella paglia degli anni fili bianchi.
Ti aspetto, come un ragazzo, troppo a lungo
e non mi riconosco
1989
arrivarono le mimose...
attraversarono il giardino
con un profumo effimero,
il passo d’un precoce funerale.
Arrivarono e s’aggiunsero
al dileggio d’un ronzio elettrico,
voci disperse:
una specie di dissipazione
di sentimenti, tentativi andati a vuoto,
nell’ora tarda la resa degli specchi
al vano ristabilirsi delle cose.
Inutile chiamare. Tra i preavvisi
già c’era un’acqua ferma,
già c’era la coscienza d’un fuori tempo,
lo sfiorire
del giallo delle parole, torvo.
il primo minuto della prima ora / già attraversa la neve. /
Senza lasciare orme, come / un mattutino a piena voce, /perso nell’aria ghiaccia.
Avviene ora / la prima consunzione di promesse. /
Proprio qui, nel buio, proprio nel momento / in cui promettere è anteporre il futuro, /
disporre della tisi dell’ignoto. /
Avviene ora il richiamo / di possibili scelte, di invenzioni. /
Lo scivoloso ripassare strade / dove avremmo potuto. / Ora il paradosso / di avere acceso fuochi, / adornato l’inverno… /
Il primo minuto della prima ora / (sebbene cum laude e a piena voce) /
allinea le cose migliori sulla soglia, / attraversa la neve, senza peso. /
Lo inghiotte il primo mattino /
circostante.
certe tramontane
rinverdiscono l'aria
le prese di posizione dei monti
un freddo tutto speciale ove - ti accorgi -
gran parte di quanto detto scritto
era di lapis
gran parte era d'aria attraversata
da sostanze impeccabili (e vuote)
allineate come pioppi ventagli.
invalidità dell'estro
evanescenza dell'idea
attraversata da correnti.
e certe tramontane denudano
stracciano le vesti di chi non torna sui passi
non ricalca la parola sul lapis
non tenta e ritenta
di rilasciare nel vento una voce
che si faccia pista o ricovero
ai muti a chi spalanca la bocca
all'aria fredda del vuoto
del non essere uomo
fino in fondo
grida
dei vecchi e dei bambini il non cogliere
tra pollice e indice
il gesto incerto e vago
dell'esiguità dei sogni, come
chi considera la finezza di capelli
contro la trasparenza del cielo,
un gesto opponibile
come una mano sul cuore a trattenere
il fiato o chi fugge o il pensiero
che improvviso balùgina e abortisce...
che sia imperizia disabitudine del vivere,
stanchezza delle ossa miopia dell’io,
il perdere la presa sulle cose
è capire le cose la loro indicibile anarchia
di foglie mosse da un vento superiore;
e l’occhio incertamente guida il gesto
e il gesto apre e chiude orizzonti
o chiude il cerchio...
troppo tempo a imparare le orme.
Bivacchi dimenticati altri indizi
di alfabeti estinti.
Riportare al senso volute
di fumo
lapsus
omesse fonazioni.
Tracce nell’aria,
e l’impressione
di una prossimità
incomprensibile
alla preda, all’orlo sfrangiato
che divide chi insegue
da chi è inseguito,
nell’oscuro.
Non esiste confine.
Solo c’è da attendere
il saldo della stanchezza
il cedere del corpo
allo spossesso.
Disimparare le piste,
perdere coscienza,
affondare i denti
nell’occhio del primo sole
indifferente.
…e le nuvole vicine a Pisa sono come le altre in Italia... (E. Pound - Pisan Cantos - LXXVI)
il livello del mare è il grado zero. Da questa riva il declinare immerge il corpo e la sua pesantezza e l’abrasione dolce della sabbia dove i primi fuochi crepuscolari e il raro raggio verde appena andato salpano brani di rosso solitari suicidi. In riduzione ad ombra sospiri di passanti svelate tra i legnami scivolano sotto il pelo d’acqua donne sole e tra le orme cani sciolti risacche di detriti. Le bottiglie vuote il vento increspa i vetri le assonanze di nomi il ferro scuro salato e difficili incontri e arrivederci. Si sa che c’è - nell’opportuna direzione - una terra e non si vede di là dalle battigie e cannicci e vuoti rimessaggi. - E’ - ma altrove. …risalendo alla strada sul versante d’una duna obliqua si giunge al grado uno seppure lasciandosi alle spalle vènti di solitaria vicissitudine... [.....] queste le tamerici salmastre questo il loro nome esteso che il maestrale assalta sputtana irride come uno scompiglio d’aspettative vane. Sul viale tra la fila dei pini e i lentischi grigi rotola un’indifferenza. Svanimento come da un finestrino sporco la velocità delle cose comuni le plastiche ai margini preparativi di carabattole estive. Non è ancora stagione: da questa quota poco sopra il livello l’osservazione del mutarsi del paesaggio - cartoline vecchie io credo adieu degli orbace e storpi a prendere il sole come un risarcimento un abbaglio dei tempi un domani che non c’era… […..] solo - più tardi - gabbiani indecisi tra discariche e mare ai muri graffiti e ruggine e sale fitto come un’imbalsamazione... I segni sulla sabbia non dicono orme dei corpi residue radiazioni del sole il rassegnarsi dei ruderi come vuoti polmoni secchi ogni fuga - come allora - impossibile. Dappertutto un’aria luminosa di iodio e nuvole cifre mutevoli e mute radure di solitudine come i giorni a venire…
poco lontano da qui gli americani tenevano un poeta chiuso in una gabbia come un uccello folle e disperato...
e la scelta tra un segnale e un simbolo si fa anche soltanto tacendo: il corpo parla da sé, le ginocchia le scale molte volte al giorno il capo chino, l’abbraccio tra luce ed ombra tra dentro e fuori e occhi destini vite condivisi, sguardi che lustrano cose vecchie collezionate a lungo… che vuol dire?: l’uscio chiuso senza una parola, il mucchio di vestiti, solitari nel canto della camera, gli orari sconnessi come un trucco di carte e il giorno falsificato trovando qualcosa da fare altrove … che vuol dire?: le volute di fumo le voci della tv un indistinto rumore di fondo e gli spazi gli spazi che sembrano sempre troppo pieni… i muri sbadigliano la fame d’aria, lo scirocchetto che attraversa la casa cerca di voltare le pagine…
La tentazione di fare una poesia che superi la mera parola scritta c'è sempre, a cominciare dalla poesia letta o recitata, in pubblico o su internet, come il progetto lettura di Roberto Ceccarini, Figli di Enne Enne o il podcast di Vincenzo Della Mea, per finire alla poesia visiva o puramente concettuale, che tende a superare il confine con l'arte figurativa. Insomma l'idea non è proprio nuova, già i futuristi ci avevano fatto un pensiero sopra, e poi le avanguardie, lavorando sopratutto sulla grafica, con i risultati che sappiamo.
Posto qui un tentativo, abbastanza larvale se si vuole ma anche divertente, di poesia multimediale, tanto per farsi un'idea di quelle che potrebbero essere le potenzialità. E' evidente che anche qui si parte dalla parola scritta (ma potremmo non farlo); ed è anche evidente che serve una tecnica che non è più (o non solo) quella della semplice scrittura. Sono sicuro che ci sono dei rischi insiti in tutto ciò, ma al momento non me ne importa granchè...
IL "TESTO" (occorre il plugin Macromedia Flash Player + altoparlanti o cuffie)
1. è tutto qui, nel diario di bordo –. Una breve fila di note a margine di impulsi, sottili linee a venire –. Ora: ufficio; ora: camminare; ora: traffico/breve incazzatura – (e poi un lento rùmine, un vegetativo decadimento di notizie...) [chissà se impenna, se per qualche motivo il cuore somatizza]
2. ci sei in questo breve dormicchiare? (annota; segna tutto!) o ti deludi o illudi (e chissà se i sogni si registrano...)? rinunci a respirare; immagini che la macchina si strozzi nei suoi propri fili? e che insomma il battito rallenti, come fosse di vero una patente? (il giorno di 24; l’arruffìo delle cifre; un’altra (avanti; scrivi!) incazzatura: come un ripristino d’ossigeni, nel sangue, empatico... [et alibi anima fortasse]