Lunedì, 10 dicembre 2012![]() "Bisognerebbe forse avere in mente le pagine di Emile Cioran sulla calcificazione, il fanatismo grammaticale, la monumentalità della lingua francese, prima di avvicinarsi alle poesie di Ghérasim Luca, lo scrittore romeno espatriato in Francia nel 1952 e scomparso nel 1994, quando, proprio come il suo più illustre conterraneo Paul Celan, pose fine alla sua vita gettandosi nella Senna. L'antologia La Fine del mondo costituisce il suo primo volume di versi tradotto in italiano direttamente dal francese, una lingua che Luca, nato nel 1913 da una famiglia ebrea askenazita e di lingua yiddish (ma anche romena e tedesca), scelse di adottare molto prima dell'espatrio, e non per garantirsi una patria e un'appartenenza linguistica nuove, quanto per testimoniare nella più codificata e inesorabile delle lingue la condizione di radicale, ontologica estraneità dell'uomo al mondo che gli è dato". (continua a leggere QUI)
Lunedì, 11 giugno 2012B Book-trailer di 19 pag, con estratti QUI Mercoledì, 26 gennaio 2011
GHERASIM LUCA
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Per Luca “le parole sono soltanto il supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale”, un abbandonarsi alla vibrazione
del nostro essere che eccede il senso.
L’INVENTORE DELL’AMORE - APPENDICE
L'ultima raccolta alla quale Ghérasim Luca lavorò si compone di due lunghi poemi già pubblicati nel 1945 in Romania: L'inventore dell'amore e La Morte morta e un’Appendice. Questi testi, ai quali Ghérasim Luca rimise mano prima della morte, sono in diretta relazione con il “Primo manifesto non-edipico”, testo scomparso. L’inventore dell’amore propone la sua reinvenzione, in un mondo in cui
“tutto dev’essere reinventato” e che impone il distacco da una condizione edipica, che rende l’amore impossibile. L’inventore dell’amore
rincorre la donna amata ma assente dalla realtà per incarnarsi in tante donne diverse, per sfuggire al fantasma edipico della madre.
QUARTO D'ORA DI CULTURA METAFISICA
Prendersi una pausa, un quarto d’ora di cultura metafisica. Occorre trovare un posto alle idee, a costo di piegare la morte alla vita o di collocare la
vita sopra la morte. Le idee hanno corpo, prendono corpo, sono tese, sfibrano l’essere. Il vuoto non è senza il suolo, la terra non è senza angoscia.
Un brivido percorre le idee e la vita, la morte va tenuta sopra la testa o lasciata fuori. Tra “la transe et la danse” saltelliamo – come
Zarathustra – sui brividi, le angosce docili, rilassamento delle idee e del corpo. Esercizio di respirazione, ma che è solo un punto di arresto – un
tempo morto – tra le idee, un gettarle indietro con la morte, facendo venire avanti vita e angosce, “aspirare attraverso il vuoto”. “Il saggio è senza
idee”, il poeta ha idee tese, fino a spezzare il corpo, dove “expirer” (espirare) è anche l’atto di morire (spirare) aspirando il vuoto.
Quart d'heure letto dall'autore
Mi è difficile esprimermi in linguaggio visivo. Potrebbe esservi nell’idea stessa di creazione - cre-azione - qualcosa, qualcosa che sfugge alla passività di una descrizione che deriva
inevitabilmente da un linguaggio concettuale. Nel linguaggio che serve a designare gli oggetti, la parola non ha che un senso, o due al massimo, e
tiene prigioniero il suono. Spezzando la forma in cui la parola si è invischiata appariranno nuove relazioni: la sonorità si esalta, affiorano segreti
che giacevano addormentati, colui che ascolta è introdotto in un mondo di vibrazioni che suppone una partecipazione fisica, simultanea, all'adesione
mentale. Liberate il soffio e ogni parola diventa un segnale. Mi riallaccio verosimilmente a una vaga tradizione poetica e ad ogni modo illegittima. Ma
il termine stesso di poesia mi sembra falsato. Forse preferisco “ontofonia”. Colui che schiude la parola, schiude la materia, e la parola non è che il
supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale. Più che situarmi in rapporto a una tradizione o a una rivoluzione, mi
applico a svelare una risonanza dell’essere, inammissibile. La poesia è un “silensophone”, il poema, un luogo d’operazioni, la parola è sottomessa a
una serie di mutazioni sonore, ognuna delle sue sfaccettature libera la molteplicità del senso di cui si carica. Nell’estensione della mia lingua il
frastuono e il silenzio si scontrano – centro shock - dove la poesia assume la forma dell'onda che l’ha scatenata. O meglio, la poesia s’eclissa
davanti alle sue conseguenze. In altri termini: io m’oralizzo.
(Ghérasim Luca)
***
Ghérasim Luca (1913 – 1994).
Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua
della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza
con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e
di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca
di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo
ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta
illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo
grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato
francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e
comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per
i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil
Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976.
le note introduttive e la scheda biografica sono di Alfredo Riponi
Venerdì, 21 gennaio 2011Rita R. Florit - Passo nel fuoco
Rita R. Florit - Passo nel fuoco - Edizioni d'If, Napoli 2010, pagg.32 (il libro ha vinto il premio I miosotis IV edizione)
Continua a leggere "Rita R. Florit - Passo nel fuoco" Lunedì, 2 novembre 2009Rita R. Florit - Varchi del rosso - videopoemaDall’ombra all’ombra: variazioni percettive, alterazioni cromatiche, mutazioni temporali, mutamenti interiori. La fluidità del senso non si lascia mai arrestare: trapassa nei flussi della voce che lo enuncia e nella cui grana si incarna, si trasfigura in petali declinati in irriducibili movenze del rosso: magmi carminio, carni porpora, fiamme scarlatte, ondivaghi tessuti. Calligrafie enigmatiche – ulteriori varchi – affiorano, trascolorano, vaniscono. Una frase musicale di viola, bianca di bruciata passione, arabesca l’ultima declinazione in alba del cuore. (nota da www.frattaroli.eu) L’opera video che Rita Florit, scrittrice e autrice di video, ha realizzato insieme ad Enrico Frattaroli, autore di opere teatrali, acustiche e visive, rappresenta lo scorrere del sangue attraverso i vasi sanguigni sovrapponendolo al fluire stesso del mondo, della natura e dei pensieri umani. Si tratta di un lavoro semplice quanto incredibilmente solenne, che rimanda all’eco delle più antiche culture, in particolare alla giapponese, grazie agli ideogrammi che compaiono rosso su rosso nella creazione della suggestione di uno scorrimento fluido simile a quello di un panneggio di sostanza organica. Il rapporto costante tra micro e macro permette allo spettatore di entrare e uscire, di sentirsi parte in causa e di vedersi, allo stesso tempo, come dal di fuori. Ma se l’immagine rimanda decisamente alla cultura orientale, il testo e la voce recitante assumono la valenza costante di un’eco proveniente dal passato, dal rimosso, un dimensione di costante evocazione. (nota di Francesca Pietracci da melangearte.splinder.com) Da vedere anche l'intensa nota di lettura che ne ha fatto Alfredo Riponi (v. qui) IL TESTO:
Continua a leggere "Rita R. Florit - Varchi del rosso - videopoema" Venerdì, 24 aprile 2009Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy
Un poema di Alain Jouffroy da “Moments extrêmes” (Éditions de La Différence, 1992) e “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” (Gallimard, 1999) Alain Jouffroy Hypnologue
![]() Qui il Vangelo di Giovanni è a pretesto per una storia dell’uomo e del mondo che sfocia in una riflessione sull’individuo rivoluzionario. Gli inizi di un mondo che non finiscono mai, sprovvisti di pensiero, di verbo. All’inizio non era il verbo...
Tutto riporta all'incoscienza dell'infanzia (del creato).
È un nuovo principio che s’enuncia: l’affermarsi di un pensiero individuale, indipendente, rivoluzionario. Non (ci) accade più nulla, vediamo ogni cosa sotto un nuovo aspetto.
Scrive Jouffroy nel suo saggio “Dell’individualismo rivoluzionario” citando Aragon : “Vi farà ridere e troverete derisorio, diceva Aragon…, che persone che non dispongono di alcun potere, che non sono nulla, senza denaro, senza ipocrisia, parlino improvvisamente di rivoluzione…. È tuttavia questo fatto senza precedenti nella storia umana che unisce quelli che credono in questo solo legame, la poesia, e un certo gusto dell'insensato."
“Missione di una poesia sovversiva” rivendicata da Jouffroy, “per evitare che ci spossessino dei nostri diritti” acquisiti con la rivoluzione francese.
“Non c'è miracolo-scientifico della scrittura e della pittura. La storia emette dei segni attraverso la svolta di individui che scrivono, che dipingono.”. Alcuni di questi segni, continua Jouffroy, sono stati cancellati con i tentativi di censura di scrittori e artisti. Lasciar parlare di nuovo questi segni censurati, vederli, è rifare e dunque fare la storia.
Annientando il proprio potere,
Si allarga la vista.
Ma il vedere è un altro potere
Di cui nessuno si è impadronito.
On ne voit plus rien venir / … / Nous voyons tout partir. Ci sarebbe l’uso arcaicizzante di ‘partir’, partager, diviser en parties, il “dividersi”, l’andare ogni cosa per conto suo, è da considerare. Potremmo tradurre ‘avvenire’ che richiama per antinomia ‘partire’. Altro problema, di conseguenza: se ‘partir’ significa andarsene, scomparire, allora non può essere il ‘principio’? Io credo che qui ci sia un’antinomia “falsa”, che rafforza un concetto negativo: niente arriva, tutto parte. Al centro (anche della strofa, quindi graficamente) non rimane altro che un vuoto, o un nulla che noi umani siamo costretti a speculare, a “pensare” (nota: cinque versi, cinque volte il verbo vedere!). Riepilogando ‘non si vede avvenire più niente / […] / noi vediamo partire ogni cosa’.
Ma a conti fatti, “partir” significa anche “nascere, avere origine, partire, iniziare, cominciare” quindi la ripresa del primo verso alla fine. Quindi, “vedere il principio di tutto”, un nuovo inizio. Pensando a quella falsa antinomia che rafforza un concetto negativo : questo vuoto che rimane, questo nulla che noi umani siamo costretti a speculare. Effettivamente il nulla è al centro della speculazione filosofica dagli inizi della metafisica. “Noi pensiamo il nulla” diceva Heidegger.
“Per la prima volta, noi pensiamo” Il vedere dell’ultima strofa diventa pensiero, per la prima volta “Perché il mondo non comincia all'esterno del nostro occhio. Comincia con il fruscio del sangue dei nostri due emisferi cerebrali, con l’energia che innesta ad ogni secondo il corpo su se stesso, nel temporale ultra-segreto del pensiero a contatto con il tutto.” (Jouffroy, Le gué). Qualcosa verrà, ma qualcosa di cui non si attende più la venuta, come scrive Ingeborg Bachmann “E sono ancora nel deserto che viene prima del domani”.
* psicoterapeuta che aiuta a far emergere dal profondo, mediante tecniche appropriate, elementi psicologici nascosti o rimossi.
Traduzione Alfredo Riponi, con la collaborazione di Giacomo Cerrai e Rita R. Florit
Nota introduttiva Alfredo Riponi e Giacomo Cerrai
Ipnologo
In principio,
Non c'era alcun ordine.
Tutto era banale e piatto nel caos,
Salvo gli aghi della sofferenza.
In principio,
Il mondo era sovraccarico di rovi.
Mai l'orizzonte si apriva,
La metempsicosi andava dallo stesso allo stesso.
In principio,
Tutto era ridicolo,
Odiosamente arduo, imperfetto,
Odiosamente fiero della propria imperfezione,
Il comunismo delle cose s’imponeva alla rinfusa.
In principio, era l'infanzia, i suoi odi,
Il suo ostinato ottenebrarsi.
Niente testimoniava da nessuna parte
L’oltrepassare dello zero.
In principio,
L'impurità regnava sovrana.
Nessuno osava contraddire l’infelicità
Che stringeva il cuore in una morsa.
Continua a leggere "Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy" Lunedì, 9 febbraio 2009Rita R. Florit, da "Piante occulte"
Sei poesie di Rita Regina Florit, in parte inedite. Una presenza costante della natura che mi ricorda il Pier Luigi Bacchini delle “Contemplazioni meccaniche e pneumatiche”( v. qui ), un vecchio poeta che i cosiddetti “giovani”, che tendono a leggersi tra loro, ignorano. Ma la natura, in queste poesie di Rita, nasconde sempre un’ulcerazione che affiora nella scelta di parole “dure”, di vario peso semantico (drago, irrequieto, ustorio, appassendole, artigliate, spietato ecc.) che stemperano il lirico e che ci dicono attenzione, persino gli iris nascondono qualcosa, anche la viola porta con sé un dolore. Insomma, un correlativo oggettivo che ha ancora una funzione memoriale, di rielaborazione del dubbio, ma con una punta di moderna, sana “cattiveria”
Aesculum hippocastanum Strapiomboautunno nel parco degli anni ignari dove alti gli ippocastani sfogliano ruggini. È una ctonia alterità nebbiosa, riconsegna incorporea di me a me. Inevitabili passaggi, soglie interdette, fili che si dipanano da me a me. Nelle cortecce muschiose, nella ghiaia, sulle panchine deserte infine appare la coda del drago. La sento muoversi alle mie spalle, la sto cercando da mille anni.
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