Venerdì, 4 marzo 2011Alain Jouffroy - Eros sradicato
ALAIN JOUFFROY
EROS SRADICATO
“Considero il mondo esterno come la chance di ogni individuo. Gli occorre però abolire prima la propria censura per inseguirla. Che cosa significa? Censurarsi, questo è impedirsi di vedere, impedirsi di aspettare, come dice Schlegel, che qualcosa di straordinario accada nell’istante successivo.” (A. J.)
Ogni poema di Alain Jouffroy è un viaggio, nel mondo o all’interno di sé. È un’avventura rischiosa, sradicamento nell’eros. “ Amare è liberare la voce… Voce che va fino in fondo”. Il poema di Jouffroy va veloce, le frasi sembrano lampi nella notte, scintille di corpi sfregati l’uno contro l’altro. Qualcosa precede la forma, è il punto in cui, nell’anamorfosi, la visione si accende “E ho riaperto gli occhi | Su una possibilità che non acceca”
“ Rythmes et cadences génèrent parfois des collisions. De ces étincelles de masses lancées a vive allure naissent des images. Leurs liaisons fluides et perpétuellement en devenir produisent des anamorphoses baroques ». (Michel Onfray).
Poemi come quadri sospesi nel vuoto.
a.r.
Da « Alain Jouffroy, C'est aujourd'hui toujours (1947-1988) » (traduzione e note di Alfredo Riponi)
Notizia bio-bibliografica
Alain Jouffroy è nato l’11 settembre 1928 a Parigi. Membro del gruppo surrealista dal 1947 al 1948. Decisivo l’incontro con Breton, che pubblica le sue
prime poesie in varie riviste. È del 1952 il viaggio in Italia per studiare la pittura italiana; nel 1954 incontra Manina (Marianne Tischler) a Venezia
e comincia a scrivere sulla pittura. La sua prima raccolta poetica « A toi », pubblicata nel 1958, è dedicata a Manina. Da allora ha pubblicato un
centinaio di libri tra poesia saggio e romanzo. Nel 1965 si riconcilia con Breton, ma afferma, oltre il surrealismo: “La poesia è una categoria da
distruggere”. L’attività letteraria è anche, per Jouffroy, una battaglia per i diritti rivoluzionari dell’individuo. Nel 1968 pubblica il saggio
“L’abolizione dell’arte”; nel 1975 il libro di saggi “De l’individualisme révolutionnaire”. Tra i libri di più recente pubblicazione: le antologie
poetiche “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” e “C’est, partout, ici (1995-2001)” “Manifeste de la poésie vécue”, 1995; “Conspiration”, 2000.
Sabato, 19 settembre 2009Alain Jouffoy - Per chi scrivo, una poesia
Alain Jouffroy Pour qui j’écris Un poema da : Éternelle extravagance, in C’est aujourd’hui toujours, Poésie / Gallimard, 1999 Non scrivo per voi che vi prendete per giudici appena vi si pone delle domande inattese. Voi i rassegnati del pessimismo dell’ultima ora voi che non amate niente come l’isolazionismo voi che confondete la scrittura, la pittura e l’assolo, quando la rete mondiale occupa già tutta la superficie del vostro piccolo cervello. Né per voi, ultimi nostalgici del gregge, col vostro risentimento incessante, voi i nemici di tutto ciò che è straniero, voi che non detestate niente come le facies, i magrebini e i nostri padri d’Africa che non avete vergogna d’ignorare Cravan, Vossnessenski, Ginsberg et Degenhardt, perché hanno spezzato il loro cerchio, no, non è per voi che scrivo. Non scrivo per voi adepti di tutte le pubblicità con la vostra incultura da compact disc Voi che trattate le donne da sciocche e piagnucolate come bambini quando vi mollano. Voi e il vostro disprezzo di tutte le rivoluzioni che non avete fatto, come se la perdita di ogni libertà fosse il vostro solo viatico. E nemmeno per voi che rispondete con gli insulti a coloro che disturbano i vostri commerci. Voi gli avidi mercanti dal Tempio, che non amate niente come il portafoglio e i telegiornali, i cliché di tutti i supermercati, il vostro disgusto di voi stessi e i vostri espedienti per sopravvivere senza utopia, la vostra società senza società e i vostri tappeti antiscivolo. No, non è per voi che scrivo. Scrivo per voi che aprite la strada dalla Grecia alla Cina e fate guerra alla stupidità nazionale fin nel vostro rifugio. Diventerete gli architetti del looping sotto i fili d’acciaio di tutte le istituzioni. Per voi che ingranate la marcia del pensiero nella vostra auto in piena notte. Per voi che defenestrate i vostri fantasmi, che suicidate ogni disperazione attraverso il lucernario della memoria e sognate ogni giorno di incontri, di viaggi trasversali e di altri modi di farsi vedere. Sì. Per voi che lanciate aghi di bussola tra le vostre finestre e la porta d’ingresso degli altri, tra l’Egitto dei Fatimidi, Granada, tutti gli esili e le isole, Per voi che disertate il Tempio dove il giovane Gesù non riapparirà, finché l’Occidente si drappeggerà nel suo razzismo di vecchio stampo, finché Isabella e Ferdinando saranno i cromosomi dell’egoismo. Per voi che tracciate linee intermedie, a metà strada tra movimento del punto e effetto di piano; Per voi il cui solo documento d’identità è la carta del cielo. È per voi che deploro tutto ciò che non riesco a scrivere. maggio 1998
Continua a leggere "Alain Jouffoy - Per chi scrivo, una poesia" Venerdì, 24 aprile 2009Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy
Un poema di Alain Jouffroy da “Moments extrêmes” (Éditions de La Différence, 1992) e “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” (Gallimard, 1999) Alain Jouffroy Hypnologue
Ipnologo* significa qui, forse, la presa di coscienza dell’ipnosi, dello stato di sonno che ci provoca la storia, le forme allucinanti della Storia; dice altrove Jouffroy che non esistono leggi della Storia
Qui il Vangelo di Giovanni è a pretesto per una storia dell’uomo e del mondo che sfocia in una riflessione sull’individuo rivoluzionario. Gli inizi di un mondo che non finiscono mai, sprovvisti di pensiero, di verbo. All’inizio non era il verbo...
Tutto riporta all'incoscienza dell'infanzia (del creato).
È un nuovo principio che s’enuncia: l’affermarsi di un pensiero individuale, indipendente, rivoluzionario. Non (ci) accade più nulla, vediamo ogni cosa sotto un nuovo aspetto.
Scrive Jouffroy nel suo saggio “Dell’individualismo rivoluzionario” citando Aragon : “Vi farà ridere e troverete derisorio, diceva Aragon…, che persone che non dispongono di alcun potere, che non sono nulla, senza denaro, senza ipocrisia, parlino improvvisamente di rivoluzione…. È tuttavia questo fatto senza precedenti nella storia umana che unisce quelli che credono in questo solo legame, la poesia, e un certo gusto dell'insensato."
“Missione di una poesia sovversiva” rivendicata da Jouffroy, “per evitare che ci spossessino dei nostri diritti” acquisiti con la rivoluzione francese.
“Non c'è miracolo-scientifico della scrittura e della pittura. La storia emette dei segni attraverso la svolta di individui che scrivono, che dipingono.”. Alcuni di questi segni, continua Jouffroy, sono stati cancellati con i tentativi di censura di scrittori e artisti. Lasciar parlare di nuovo questi segni censurati, vederli, è rifare e dunque fare la storia.
Annientando il proprio potere,
Si allarga la vista.
Ma il vedere è un altro potere
Di cui nessuno si è impadronito.
On ne voit plus rien venir / … / Nous voyons tout partir. Ci sarebbe l’uso arcaicizzante di ‘partir’, partager, diviser en parties, il “dividersi”, l’andare ogni cosa per conto suo, è da considerare. Potremmo tradurre ‘avvenire’ che richiama per antinomia ‘partire’. Altro problema, di conseguenza: se ‘partir’ significa andarsene, scomparire, allora non può essere il ‘principio’? Io credo che qui ci sia un’antinomia “falsa”, che rafforza un concetto negativo: niente arriva, tutto parte. Al centro (anche della strofa, quindi graficamente) non rimane altro che un vuoto, o un nulla che noi umani siamo costretti a speculare, a “pensare” (nota: cinque versi, cinque volte il verbo vedere!). Riepilogando ‘non si vede avvenire più niente / […] / noi vediamo partire ogni cosa’.
Ma a conti fatti, “partir” significa anche “nascere, avere origine, partire, iniziare, cominciare” quindi la ripresa del primo verso alla fine. Quindi, “vedere il principio di tutto”, un nuovo inizio. Pensando a quella falsa antinomia che rafforza un concetto negativo : questo vuoto che rimane, questo nulla che noi umani siamo costretti a speculare. Effettivamente il nulla è al centro della speculazione filosofica dagli inizi della metafisica. “Noi pensiamo il nulla” diceva Heidegger.
“Per la prima volta, noi pensiamo” Il vedere dell’ultima strofa diventa pensiero, per la prima volta “Perché il mondo non comincia all'esterno del nostro occhio. Comincia con il fruscio del sangue dei nostri due emisferi cerebrali, con l’energia che innesta ad ogni secondo il corpo su se stesso, nel temporale ultra-segreto del pensiero a contatto con il tutto.” (Jouffroy, Le gué). Qualcosa verrà, ma qualcosa di cui non si attende più la venuta, come scrive Ingeborg Bachmann “E sono ancora nel deserto che viene prima del domani”.
* psicoterapeuta che aiuta a far emergere dal profondo, mediante tecniche appropriate, elementi psicologici nascosti o rimossi.
Traduzione Alfredo Riponi, con la collaborazione di Giacomo Cerrai e Rita R. Florit
Nota introduttiva Alfredo Riponi e Giacomo Cerrai
Ipnologo
In principio,
Non c'era alcun ordine.
Tutto era banale e piatto nel caos,
Salvo gli aghi della sofferenza.
In principio,
Il mondo era sovraccarico di rovi.
Mai l'orizzonte si apriva,
La metempsicosi andava dallo stesso allo stesso.
In principio,
Tutto era ridicolo,
Odiosamente arduo, imperfetto,
Odiosamente fiero della propria imperfezione,
Il comunismo delle cose s’imponeva alla rinfusa.
In principio, era l'infanzia, i suoi odi,
Il suo ostinato ottenebrarsi.
Niente testimoniava da nessuna parte
L’oltrepassare dello zero.
In principio,
L'impurità regnava sovrana.
Nessuno osava contraddire l’infelicità
Che stringeva il cuore in una morsa.
Continua a leggere "Hypnologue, un poema di Alain Jouffroy" Sabato, 4 aprile 2009ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre, cinque poesie
ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre Continua a leggere "ALAIN JOUFFROY - Eau sous terre, cinque poesie" Martedì, 14 ottobre 2008Alain Jouffroy - C'est, partout, ici
C’est, partout, ici
(trad. G.Cerrai - 2008)
Altre cose di Jouffroy qui e qui V. nei commenti la versione, con note, di Alfredo Riponi
Lunedì, 15 settembre 2008Alain Jouffroy - Il verbo straniare
Le parole, con il tempo, cambiano significato o escono dall'uso, diventando obsolete, o semplicemente vengono espulse dalla scena dall'imperialismo delle lingue di volta in volta dominanti. Oppure, e questo accade ogni giorno nei mass media e nella politica, si usurano per ripetizione, assumendo connotazioni negative, in altre parole "sporcandosi". Ma il compito dell'intellettuale e del poeta, come afferma Alain Jouffroy in questo saggio/racconto, è anche quello di ripulirle riportandole a nuova vita.
Alain Jouffroy - Il verbo “straniare” (*) Io ho senza dubbio troppi amici, è un fatto: ne ho in ogni città da cui sono passato. Non appena arrivo in un paese che non conosco, dove non ho ancora avuto l’idea di passare, io incontro sempre degli uomini, delle donne che, di lì a qualche ora, forse un po’ di più, diventano degli amici. Quando riparto da questi nuovi paesi, in cui mi sono fatto nuovi amici, io li perdo di vista, ma non dimentico mai i loro volti e i loro nomi. Essi vivono allora di un’altra vita, indipendente da essi e dalle loro esistenze, nel mio proprio corpo, come se si fossero esiliati in me. Spesso, al ricordo dei loro nomi, sono le loro voci che ritornano, le loro voci che si mettono a parlare attraverso la mia. Lunga storia, che dura, si rinnova e non cessa di sorprendermi da cinquant’anni: i nomi risvegliano sempre le voci, anche quelle dei miei amici morti. C’è una ragione a ciò: ho sempre amato i nomi propri, tutti i nomi propri: tutti i nomi di famiglia e i nomi di persona, tutti i nomi dei luoghi, delle città e dei villaggi, dei fiumi e dei laghi, delle pianure e delle montagne, i nomi delle dee e degli dei di tutte le mitologie. Mi sono, fin dalla mia infanzia, sempre serviti da guida, infallibili, nel tempo e nello spazio. Senza di essi, io non mi sarei mai così tanto attaccato alla vita e al reale. Di contro, io ho sempre sentito che, in rapporto ai nomi propri, i nomi comuni erano incerti, sospetti, e anche sporchi. Li ho scoperti uno dopo l’altro con la stessa apprensione, la stessa diffidenza, come se essi mi fossero a priori ostili, e, nel migliore dei casi, di una neutralità sgradevole. E’ dunque con circospezione che io li ho utilizzati, come se il loro uso sconsiderato potesse giocarmi dei tiri mancini, instillarmi la loro malattia, contaminarmi. Molto presto ho compreso che, per usarli senza coprirsi delle loro diverse sporcizie, bisognava dunque, prima di tutto, ripulirli. Ripulirli in maniera radicale, per estrarne i veleni segreti. Ercole è un nome innocente, luminoso. Lavoro è una parola sporca. Ulisse è un nome faro. Ritorno una parola stanca.
Continua a leggere "Alain Jouffroy - Il verbo straniare" Martedì, 11 dicembre 2007Alain Jouffroy - Una poesia
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