Dal mio punto di osservazione Chiara De Luca si conferma, oltre che attivissima traduttrice e operatrice culturale, anche un utile medium per dare uno sguardo al di là dei confine dell'Italietta poetica, cosa che cerco di fare anche sul versante francofono. Dopo Thomas Kinsella (v. qui) e Werner Lambersy (v. qui), tutti editi da Kolibris, ripropongo John Barnie, poeta gallese che scrive (anche) in inglese, nato nel 1941 a Abergavenny nell'area rurale del sud est del Galles, poeta che "esplora il confine tra la cultura dell'uomo e il mondo della natura", oltre, a quanto si legge qui sotto, ad altri confini. Dice infatti egli stesso in una intervista su questo libro 'Trouble in Heaven": "le poesie di questo libro coprono parecchi temi che mi hanno interessato se non ossessionato per molto tempo: la bellezza e l'orrore del mondo naturale (mi sembra che l'una non possa essere separata dall'altro), e collegato a questo, la natura dell'uomo e cosa noi stiamo facendo al mondo nella nostra spensierata e a volte feroce maniera. Inoltre, la questione della religione. Io sono stato allevato, ma in maniera riluttante, come cristiano, e parecchio di quello che scrivo può essere visto come un dialogo con la cristianità, ma con l'idea di un Dio in cui trovo sia impossibile credere". (g.c.)
Come tutti i libri potenti e necessari, questa raccolta di John Barnie non porta scompiglio soltanto in cielo, bensì anche nelle nostre coscienze, spesso assopite per difesa, o per eccesso di stimoli. Ci troviamo qui di fronte a un mix esplosivo di grande sapienza ritmica e maestria formale, profonda conoscenza delle Sacre Scritture, delle teorie darwiniane e delle tappe geologiche segnate dal nostro pianeta nella sua evoluzione. Il tutto rafforzato da un amore sconfinato per il mondo naturale in ogni suo minimo dettaglio, osservato, colto e restituito al lettore. E agli occhi del lettore che, come chi scrive, sia abituato a scenari urbani – dove la potenza creatrice della natura è domata, tenuta a freno, recintata, dove gli unici uccelli superstiti sono passeri e colombi – la moltitudine e varietà di farfalle, volatili, insetti (attuali e preistorici) descritta, ascoltata, compresa dal poeta, schiude, o meglio, riapre un intero universo soltanto intuito. Ma Tumulto in cielo è anche altissimo e coraggioso grido di protesta contro le guerre, gli orrori, le ingiustizie dell’Umano, contro le dinamiche perverse del potere e le spaventose atrocità che costellano la nostra Storia e le nostre storie, adombrate, alluse o messe esplicitamente a nudo. Ed è un dubbio che s’insinua, rimestando le carte, ridistribuendole, scardinando con ironia intelligente o acuto scetticismo i principi fondanti del cristianesimo. Il “Vecchio Furbone” di Barnie è un Dio fragile, che ricorda le divinità pagane così simili a noi, per difetti, debolezze, fragilità e invidie, così fallibili e vulnerabili. È un Dio assente, per nulla onnipotente, che sbaglia a priori, nel disegnare l’abbozzo della prima cellula. È un Dio che alza le mani, mentre il Figlio invoca un’aspirina e lo Spirito Santo singhiozza. Un Dio che non può salvarci dal Male, perché non è in grado neppure di salvare se stesso. E anche i suoi angeli sono creature fragili, dalle ali sporche e spezzate, minacciati, offesi, caduti, non per colpa né disobbedienza, bensì perché terreni, come agnelli sulla paglia di un fienile. Ma quel che emerge dal tumulto è la fede del poeta in una, seppur remota e nascosta, possibilità che il “partito della bellezza” vinca alle elezioni della nostra anima. La poesia diviene qui la principale artefice della “campagna elettorale”, con una voce priva di promesse e mistificazioni, di retorica e commiserazioni, bensì votata – in ogni sua vibrazione, in ogni suo sussulto, slancio o cedimento – alla ricerca della verità che possiamo carpire, alla celebrazione della realtà che ci è concesso afferrare. Nella mistica del possibile e dell’Umano.
Dopo Thomas Kinsella (v. qui), continua la perlustrazione di Chiara De Luca nella poesia europea. E' la volta di Werner Lambersy, belga di nascita e parigino di adozione, uno dei principali poeti belgi di lingua francese, autore di una quarantina di opere poetiche in cui ha sviluppato una personale riflessione sul sè attraverso la scrittura e l'amore fisico e spirituale. Ringrazio Chiara per l'anteprima.
"La bellezza è l´ultimo ostacolo / da opporre alle dittature", scrive Werner Lambersy nella poesia di apertura del Diario, che funge da la iniziale e da dichiarazione di poetica al contempo. Perché la ricerca della bellezza è fine primario della poesia di Lambersy. E con bellezza s´intende qui l´intensità del sentire, sinonimo della verità della parola, con tutte le sue "esorbitanti promesse". Sia che essa descriva il dolore - "di cui so che ha / a che fare con la bellezza" -, la solitudine, l´assenza, la tristezza, sia che essa descriva la gioia, la pienezza per un istante raggiunta, la presenza.
"La libertà è lo spazio che lei [la bellezza] / esige per la sua ambasciata". Libertà dalla pericolosa leggerezza e ipocrisia di una società consacrata all´effimero, in cui si "uccidono vìolano / assassinano continenti"; in cui "un proiettile in testa / è l´argomento dei credenti"; in cui "La fame è l´arma anonima / delle multinazionali". Mentre la poesia "fugge su una navicella spaziale e / guarda il vuoto". Ma il vuoto qui non è sterile, è il luogo in cui ha origine la creazione, è entropia "che ci riporta a quel tutto / in se stesso risolto".
Così mentre "un miliardo di sordi / parlano al computer / a cinque miliardi di muti", mentre "surfiamo, scivoliamo" alla ricerca del momentaneo brivido che chiamiamo "emozione", sentendoci in tal modo dispensati dal pensare, il poeta tenta di restituire alla parola la pericolosa pienezza della sua valenza comunicativa, il potenziale incontrollato che la oppone al silenzio, dove confluisce un inesausto turbinare di voci senza suono.
Il Diario si presenta come una sola grande poesia straordinariamente coesa, i cui singoli componimenti possiedono una propria pregnanza che li rende a se stanti e indipendenti dal tutto, eppure sono al contempo collegati gli uni agli altri in un procedimento dialogico, spesso paradossale, che si nutre del silenzio per dargli voce, che "provvisoriamente" nega dio per collocarlo nel futuro, quale possibilità nascente dall´assenza di dogmi e dalla forza di fedi e ragioni. Dal rifiuto di accettare il Male come necessario.
Allo stesso modo il poeta, nell´intensa Lettera, si rivolge a un padre da sempre assente e distante, cui deve "di essere nato / dal nulla / insolvente per la vita". E lo fa senza cercare "di riconciliare / gli opposti inconciliabili", bensì forte della consapevolezza "che scrivendo a qualcuno / spesso si scrive a se stessi". Ed in questo risiedono la bellezza e lo spavento della poesia. (Chiara De Luca)
Una selezione di testi del poeta irlandese Thomas Kinsella, nella traduzione di Chiara De Luca, in uscita per la Casa Editrice Kolibris. Ringrazio Chiara De Luca per la gentile anticipazione.
"Un serpente uscito dal vuoto mi si muove in bocca, succhia
triplicate oscurità. Pochi volti antichi
si distaccano e prendono a girare. Più profondamente ancora,
fragile tessuto differente comincia a formarsi"
esita, cessa di esistere, scintilla nuovamente,
entra ed esci tentennando da un liquido materno
sul punto di cambiare, affiorando da Dio sa che fossa.
Mio Dio, se avessi saputo fino a che punto e a fondo,
quanto a lungo e crudelmente, penso che il mio essere
sarebbe sbiancato, atterrito.
Quant’ero ingenuo,
privo d’amore allora! Oh, mio Dio, mio Dio
che momenti vivevo nel mio caos – stipato
delle cianfrusaglie dei secoli! L’eccitazione,
che sottolineava e sottolineava in quella stanza stretta!
– polvere (tutto ciò che restava di qualcosa) sistemando
nell’aria i miei piaceri.
Più volte
mi sono alzato dai libri rosicchiati
e ho vagato, avvolto in una lunga veste grigia,
e mi sono sfregato la fronte; e ho teso le mani ai miei strumenti
– barattolo di latta e bollitore, il cucchiaio dal manico lungo,
recipienti di metallo e lega; ho regolato la fiamma,
blu e giallo; e, con una fame astratta,
e davanti il libro, ho mangiato forchettate
di uova strapazzate e pane fresco imburrato
e preso tè caldo finché il sudore si formava
alla radice dei capelli!
Poi, ritrovandomi tranquillamente pronto
a scivolarmi in tutta calma fuori dalla mente,
mi sono steso sul sudicio divano
attento come quando parti per un viaggio
e volto a cose né giuste né ragionevoli.
In un simile momento non avrei ringraziato
il diavolo in persona di bussare alla mia porta.
Pubblico qui una piccola selezione da "Quaderni dell'impostura" di Alessandro Assiri (Lietocolle 2008), accompagnata dall'introduzione di Chiara De Luca
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Oggi ho aria a sufficienza per dubitare di tutto, per desiderare l'inutile e rifiutare un regalo, per stare chiuso tra le mani di mio padre e sorridere dalla sponda di una foto.
Scatto da una sedia vuota detestando gli oggetti per la loro nudità, la controversia solita per parole troppo scarne,alla fine è un presente da confidare e un passato che rimorde.
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Nessun incanto potrà mai essere sincronia, non c'è meraviglia se non nel distacco.
..e quel piccolo disagio che ogni volta m'inquieta se solo ti allontani, confonde le sirene con soavi armonie.
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..estrometto parole, mentre dovrei invece espellere pensieri.
Quel pizzico di estate che si affaccia e poi veloce schiaccia un sorriso con tutto il suo peso
e sono lì ad aspettare il volto di questa vita cannibale, che anche il vento si stanca di portare, come sempre vorrei proteggerti dalla polvere,
ma in mezzo a noi carezze timide restano appese alle mani e ogni devastante diventa permanente, sbriciolando la paura di quel cielo sbagliato.
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Sospeso in una bolla che confondo spesso con un senso di protezione, traffico con alcune malinconie. Mi nutro di storie, di pagine interrotte, parole smozzicate dal significato ambiguo. Ogni scrittore teme l'esplicito come ogni pittore teme il vero, al confine di ogni disperazione dove si alza il velo sul risibile e tutto ritorna buffa farsa e noi saltimbanchi a giocare ai birilli.
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..questa ostinata ricerca dell'approdo , questo contorno di terra che emerge dall'ansia.
Quale arte esiste senza migrazione, se l'immaginario è saturo come distinguere un turista da un profugo? L'essenza del viaggio è lo smarrimento, il procedere sbandando senza portare a casa il ricordo, concedere all'oblio la capacità di liberare spazio. Sono troppo ostile all'arte che trattiene, evidenzia troppa differenza tra l'esperienza e la distanza.
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Da ciò che temo mi distacco per rifugiarmi nei luoghi del consono
gli spazi abitati di cose, di distanze conosciute
e un balcone dove godere il plenilunio
se è vigliaccheria magari me ne frego
di ogni esperienza dove non grava un capriccio, ma solo mare in odor di burrasca.
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credevo nel comprendere nell'abbracciare tutto, lo sbocciare di un fiore , la tristezza di un lutto
..ma capire è un impotenza di fronte alla debolezza dell'agire, un esercizio di stile , un inutile frivolezza..
negli anni veloci manca il tempo per fare, per dedicare il tempo a elogiare l'errore, per svegliarsi al mattino con un cattivo sapore.
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Al di fuori non c'è vita, solo cancelli e finestre sbarrate, solo i segnali dell'incertezza del tuo passaggio, e quell'infamia che ci scuote le spalle, per le notti ubriacate dal pretesto della nostalgia..e quanta viltà trabocca dalle mani, quanta immodestia per razzolare male. Ti nascondi dietro un velo e allora ti sorrido, nel colore diluito un’altra volta ti ritraggo.
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Ogni tentativo di allargare un orizzonte, di dilatare uno spazio è un alibi per rimanere. Io ho un universo circoscritto da passioni brevi, il corto raggio dell'ultimo autobus, che penetra le mura sgretolate di questa città piovosa.
.. e tutte le volte che ho gridato: vado, per non sapere dire andiamo, avrei solo voluto sentirmi dire: resta.
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Ho le mani vuote , ieri ho letto poco, così non ho niente da spiegarti e così si rischia di perdersi, perché vivi nel tempo che contraggo, nel dolore delle sillabe e in quello che non riesco a spandere. Poco più di niente e hai ragione, basterebbe carta e penna e tutte quelle verità, piccole, che raccontavo ad Anna. Non c'è niente di fertile in quelle stelle opache, solo gli istanti che passano come se tu fossi, tu che non sei perduta , ma soltanto imprevista...