Venerdì, 8 luglio 2016Maalox 9 - Scrivere, leggere...e fare i conti con.![]() Con la mano plasticamente posata sull'asta del microfono Buffoni interpreta bene sé stesso, il poeta che realizza un'epifania elargendo agli astanti con voce pacata ma decisa un florilegio delle sue poesie, da "Jucci" per esempio, e altro, e poi "O Germania" che ha sempre un suo valore "politico" che in questi tempi europei piuttosto astiosi si fa apprezzare. E comunque sia, lo stile, che piaccia o no, si mostra e si dimostra, come pure la capacità di articolarlo su vari registri e tonalità, con l'io e senza l'io e via discorrendo, e con la voce ben modulata in alti e bassi e accenti
Fin qui tutto bene. Il tutto scorre. Ti arriva dalla poesia quel che - date le circostanze - dalla poesia letta in pubblico ti aspetti, ovvero un affrancamento dall'occhio, dalla pagina, dalla prosodia "stampata", a favore della liberazione di una mente percettiva e liberamente critica, sull'onda di un ritmo, pause, silenzi, accelerazioni che altri sceglie per te. Ma...c'è sempre un ma:
Le poesie di Maria Borio lette da lei medesima sono una delle cose più monotone che mi sia mai capitato di ascoltare, qualcosa che ti sprofonda nel nero surriscaldato del Lux, e questo mi pone un problema: non sono monotone ma lei le legge in maniera monotona? e se è così perché lo fa? è una scelta, una posa? oppure sono monotone perché "nascono" monotone, sono ontologicamente monotone e non possono esser che tali, perché nel loro dna hanno la monotonia e non c'è niente da fare, soprattutto se le leggi con una voce monotona?
"Monotono" in fondo non è che un termine tecnico, qualcosa che è opposto alla modulazione tra toni, in musica almeno, al salto di quinta, agli intervalli. Un po' di quella "musicalità" a cui allude Buffoni in una delle sue risposte.
Non lo so, difficile darsi delle risposte. Forse per prima cosa bisognerebbe mettere da parte la convinzione (che tutti hanno e nessuno ammette) che l'autore legga le sue poesie come le ha pensate, e quindi in maniera "veritiera", quella che in termini contrattuali si chiama "interpretazione autentica". In realtà non è così, almeno per me, perché la poesia ha un alone (o un'aura, come diceva Benjamin), una pluralità di significati su cui l'autore non ha un controllo totale, o lo perde nel momento stesso in cui decide l'imprimatur. Che forse nella lettura l'autore tenta di riprendere, magari con quel consapevole pizzico di retorica oratoria (o attoriale, se preferite) che spunta stasera nella voce di Buffoni. Ma è per così dire un recupero della scrittura, del testo. All'estremo opposto, noto incidentalmente, c'è la slam poetry, in cui quel che conta è la performance, lo spettacolo, e dove infatti non di rado il valore testuale è risibile. Leggere, anzi leggersi, è in definitiva fare i conti con la propria scrittura.
Se così è, allora che conti fa Maria Borio quando legge i suoi testi? Che forse corrisponda a un tema, all'idea che la vita, magari anche quella amorosa, sia monotonale esattamente come - nella concezione corrente - monodirezionale è il tempo? Non lo so, personalmente (forse complice l'afa) non riesco a respingere la sensazione di un ron ron metafisico, di un cicaleccio estivo, di un rumore di fondo.
Ma forse dipende dal fatto che non ho mai letto nulla della Borio. Così tornato a casa do un'occhiata in giro (è un po' poco, lo so), cerco qualche poesia per leggermela da solo, leggo qualche commento, come ad esempio QUI, uno dei siti più seri. A non pochi piace, ad altri le poesie "non piacciono granché", qualcuno vi rintraccia "un passato temporale che ha nulla a che fare con l’esistenza e non può fare a meno di essere “presente" " (e il presente, per lo più eterno, è ricorrenza assidua nella poesia per intenderci "giovane"); altri (e incidentalmente si tratta di un critico che stimo) parla di "quieta riflessione, attenzione alle “cose” - ma non è che le “cose” sono innalzate, sono oggi quello che una volta era la Musa? - , passo narrativo e intimo, lirismo non invasivo, ma anche una certa – voluta – piattezza di tono e nessun tremore sintattico, nessuna spezzatura, come se spezzare il discorso, sporcarlo a tratti, fosse peccato" (ah, certo, le cose, come dimenticarle - v. QUI), e di poesia scritte molto bene ma che "osano poco"; altri ancora richiamano Sereni, cosa in sé giusta ma forse un poco fuori luogo, o Montale, ma ne siamo lontani, forse per fortuna, anche da un punto di vista formale, e certamente come totale assenza di uno sguardo criticamente ironico. Vabbè, non mi resta che leggerne un paio.
Il giornale piegato dove segni e cancelli affonda il passato.
È fosforescente, è l’ispettore di metalli
all’aeroporto, il radio
che ti può attraversare.
L’esperienza è quella data:
stai qui, aspetti, ti vendi?
Le nuvole si sono buttate fuori dal mondo,
le finestre correvano dietro
e questa tua voce trattenuta.
Una parte di te va con loro
lontano, veloce –
e ci fanno credere che i bisogni
sono veloci come te
che per un momento hai corso
laggiù.
Ma oggi questa vita come il radio
ci ha fatto trasparenti, essenziali.
I ragazzi del secolo esposto conoscono ragioni
più forti, verità più evidenti.
***
Quale dizione trattengono
le cose, quale semplice
pretesa? Il bisogno
di uscita, l’intercapedine
che non ci isola.
La mia protezione è lontana
e solo umana, come il corpo
di una mente o una voce.
E lo spazio dove tutti valgono
il peso del giorno e nemmeno
si inanella di occhi. Di scatto
alcuni riconoscono che
è possibile anche il vuoto,
altri si riprendono
dopo averlo colmato.
Ma il tuo nome è arrivato
sopra a un nulla, ha lasciato
con la luce la via.
Poi lo spazio si è preso
tutte le cose come mie e tue,
come le stringevi, allora,
in un balzo, nell’aria.
Forse è poco per esprimere un giudizio, lo ammetto, ma...No. Credo proprio che sia "monotonal inside", ineludibilmente generazionale, l'orizzonte di un universo ristretto, come ho avuto occasione di scrivere altre volte. E il mono-tono nella lettura è un calco del testo, è il rumore di fondo di questo universo limitato. (g. cerrai) Sabato, 29 novembre 2014No commentVabbe', diciamolo, alla fine non è che i commenti mi angustino più di tanto. Hanno smesso da tempo di essere una forma di comunicazione. Chi vuole ringraziarmi o mandarmi affanculo per qualcosa che ho scritto (nessuna delle due cose è obbligatoria) lo fa privatamente, chi vuole farmi sapere qualcosa di serio il modo lo trova. P.S. Riflettevo anche su un'altra cosa, anch'essa non proprio una novità ma tant'è, mi piace arrivare ultimo. Sul fatto che gran parte della poesia è autoprodotta (usiamo un eufemismo) passando attraverso piccoli editori. I quali, insieme ai loro responsabili di collana (anche nomi di un certo rilievo) dovrebbero avere la responsabilità, lo scrupolo, di fare con qualche criterio una selezione di ciò che pubblicano. Cioè di fare il loro lavoro. Una cosa rara quanto i commenti. Ed il perché è ovvio. E' una delle poche attività commerciali che sorride al "produttore" girando il culo al consumatore. Ne deriva che gran parte della roba che circola è illeggibile (ma volevo usare un'altra scatologica parola che col culo è correlata) compreso un po' di quella che ho in questo momento sulla scrivania. E questa è una delle ragioni per cui invece di fare la solita recensione ho messo un po' di parole in fila. Buona domenica. (g.c.) Martedì, 8 aprile 2014Maalox 8 - Chi vince vince (Opera prima 2014)
(*) http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/significato-origine-perplimere Sabato, 7 dicembre 2013Maalox 7 - Pseudorilke
Pisa, 17 settembre 2013 Egregio amico, i tuoi testi mi sono arrivati qualche giorno fa, per posta
elettronica. Ti ringrazio per la fiducia, ma è tutto quel che posso
darti in cambio. Non posso addentrarmi nella natura dei tuoi versi,
poiché, come ebbi a dire spesso, di ciò di cui è sostanzialmente inutile
parlare è meglio tacere. Senza contare che le critiche sono a senso
unico come la strada davanti a casa mia, nel senso che tutto quello che
se ne ricava in cambio è un grazie o un imbronciato mugugno. Quel che
consola è che vivaddio non ci si incontrerà mai di persona nella vita, e
quindi, del silenzio che segue quasi sempre una recensione, si potrà
dare tranquillamente la colpa a Telecom. Ciò premesso, consentimi solo di dirti che i tuoi versi hanno per lo
meno il pregio di non avere una natura loro propria, né una loro
autonoma fisionomia. Il che è un bel vantaggio, rendendoli adattissimi
sia a comparire in qualche antologia di giovani (cosa autorizzata quasi
esclusivamente dalla tua età anagrafica), sia a conseguire un numero
cospicuo di targhe nei più disparati premi letterari. Lascerei perdere
tuttavia le poesie del tipo la tua “a Silvio”, che seppur sotto l’egida
di quel grande solitario del Leopardi non può andare bene (i premi, come forse
sai, sono quasi tutti in mano ai comunisti della Pro Loco). Mi domandi se trovo buoni i tuoi versi. E lo domandi a me?!? Prima
lo hai domandato ad altri. Li invii alle riviste. Li confronti con altre
poesie, e ti metti in agitazione e rompi le scatole se certe redazioni
rifiutano le tue prove. Riempi le bacheche di Facebook e ci metti pure
il copyright in fondo! E che palle! E datti una calmata! Non puoi mica
scassare l'anima a tutto il mondo con la scusa che la posta elettronica
non costa nulla! Comunque, poiché mi hai chiesto un consiglio, io ti
dico, in tutta sincerità: ma perché non fai un favore al mondo e la
pianti? Ma cos’è questa prescia di scrivere, te l’ha ordinato il
dottore? Non potresti scrivere qualche poesia d’amore e amen, quel tanto
che serve per farsi la romanticona di turno? Ma se proprio devi
scrivere, se non ce la fai a lasciare in pace la tastiera, allora fruga
dentro di te alla ricerca di una profonda risposta, fatti almeno un paio
di domande. Primo: se non scrivo crepo? Secondo: se vado a fare una
passeggiata nel parco mi viene una lirica oppure sto attento a non
pestare qualche merda di cane? Perché se la risposta alla prima domanda
è sì, se guardi le foglie d’autunno invece di vedere dove metti i
piedi, se mi vieni fuori con la famosa “urgenza” di scrivere che a me
ricorda tanto una sirena d’ambulanza, allora c’è poco da fare,
bisognerà farsene una ragione. Che dirti?, avvicinati alla natura,
cerca, come un novello Adamo, di dire ciò che vedi e vivi e ami e perdi,
descrivi tutto, soprattutto le "cose" (eh, senza le "cose" non si cosa,
non si fa poesia), se la natura ti fa schifo rivolgiti alla crisi
(altro bell'argomento), se no c'è il disagio urbano, le minoranze, la
polluzione notturna e quella atmosferica, il disordine alimentare, ah,
dimenticavo, il corpo, il corpo va fortissimo, specie dopo che l'anima
si è dimostrata poco competitiva. Insomma, se proprio devi, cercati un
target, anche di nicchia, inventati uno stile, fai qualcosa. Con due
raccomandazioni: a meno che non
sia in ballo la romanticona di cui sopra niente poesie d'amore, ci ho ripensato, perché quasi tutte le parole
buone sono già state prese, peggio dello Scarabeo; e niente sonetti, che
sono difficili e poi ci ha già pensato Massimo Sannelli. Che altro dirti? Mi pare di essere stato chiaro, ma in fondo volevo
solo consigliarti di seguire in silenzio la tua insana inclinazione
(ricorda che il silenzio è d'oro, specie per i tuoi afflitti lettori)
senza aspettare risposte da tutti. Che poi nella migliore delle
ipotesi ti mentono, anche quando ti cliccano "mi piace" su Facebook. Ti
mentono esattamente come tu fai con te stesso (dai, lo sai che è così)
quando ti dai del poeta. Non ti restituisco i tuoi versi che gentilmente mi hai voluto
confidare. Tanto sono sicuro che ne hai un bel po’ di copie, e poi è
inutile intasare la rete, in Italia non c’è banda abbastanza larga per
tutto ciò, manco la fibra ottica. Ma ti ringrazio ancora per la fiducia,
a cui ho cercato di dare una risposta sincera e in buona fede, non
tanto per rendermi degno di detta fiducia, quanto per dimostrarti che la
medesima, tutto sommato, non era ben riposta. Tuo caramente Giacomo Cerrai Sabato, 23 novembre 2013Maalox 6 - La poetica del semiasseQualche considerazione sparsa partendo da uno spunto. Ho scritto qualche tempo ![]() Continua a leggere "Maalox 6 - La poetica del semiasse" Martedì, 7 febbraio 2012Maalox 5 - Basta con la poesia bambocciona!![]() Basta con questi poeti fannulloni che una volta trovato un verso, una "stanza" o una quartina anche part- time ci si adagiano sopra per tutta la vita! Essi sono incuranti di quel male oscuro che il critico Monti lucidamente diagnostica nella poesia fissa, e cioè la monotonia che, per quanto ci faccia rima, con la poesia non può andare d'accordo! Non solo: non è azzardato ipotizzare, in parziale discordanza con il critico Brunetta, che la monotonia della poesia fissa sia una delle cause del noto e diffuso "assenteismo poetico". Per quanto deprecabile, come non capire chi si dà malato per starsene a letto a leggere l'ultimo Fabio Volo o abbandona per una mezz'ora la poesia fissa pe annà a comprà un par de cicorie? Insomma i tempi cambiano, come ricorda la critica Fornero, non possiamo "prométtere" ai nostri giovani una poesia fissa, figuriamoci poi gli ormai obsoleti ammortizzatori poetici, come certi concorsi o quell'inutile Canto 18 che parla di ruffiani e adulatori, ormai del tutto scomparsi dal settore poetico. Insomma, è la crisi in cui versa il nostro PD (Poetic Debt, debito poetico) ad obbligarci ad affrontare la sfida della flessibilità. Chi ha studiato da poeta lirico non è detto che possa esercitarsi con nuvole e mal d'amore e foglie morte fino alla pensione, sai che palle! E del pari chi fa il poeta di ricerca non potrà continuare a fare il ricercatore a vita, per quanto precario. Dovrà cambiare, delocalizzarsi, ristrutturarsi, magari decostruirsi. In altre parole dovrà diventare competitivo, puntare sulla qualità. E' la globalizzazione, ragazzi, vi attende la sfida con i paesi in via di sviluppo poetico. Mercoledì, 9 novembre 2011Maalox 4 - A me mi frega l'educazione![]() Continua a leggere "Maalox 4 - A me mi frega l'educazione" Martedì, 25 ottobre 2011Shoot the poet / Tirez au poète Tempo fa ho scritto su Facebook, per scherzo ma non tanto: "Ma lo posso dire che a me Alda Merini non è mai piaciuta?". Si è scatenata una piccola standing ovation virtuale, che mi ha inevitabilmente riportato alla mente quest'altra memorabile scena (novantadue minuti di applausi!!): Ora, non voglio dire che Alda Merini sia la corazzata Potemkin della situazione (e nemmeno io il Rag. Fantozzi), ma è certo che per molti poeti e poetastri essa rappresenta non tanto un'eredità quanto un "troppo", un episodio da archiviare, con tutto il rispetto per la vicenda umana. Archiviare il merinismo dovrebbe essere in teoria operazione più agevole e meno dannosa del supposto superamento, mai realmente realizzato, del montalismo (figuriamoci poi il Petrarca). Ma temo che ci saranno fiere resistenze, soprattutto da parte dell'ala emozional-sentimentale della poesia femminile contemporanea, oltre ovviamente dalla industria editoriale che ci specula da anni sopra. Neanche a farlo apposta sabato scorso su La Repubblica c'era un'intervista di Nello Ajello a Giorgio Bàrberi Squarotti, in occasione dell'uscita presso Manni Editore del suo ultimo libro di critica, "Le donne al potere". Tra le altre cose queste due battute: Oltre che critico di poesia, tu sei poeta in proprio. Ricordo il titolo d' un tuo saggio, a suo modo polemico, Addio alla poesia del cuore. Che cos' è questa "poesia del cuore"? E che cosa significa dirle addio?
«Quel mio lavoro riguardava la letteratura del Sette-Ottocento e mostrava i limiti di una poesia di marca patetica, che è di moda ancora oggi». Insomma, esprimevi antipatia o dileggio per chi scriveva versi con il cuore in mano. «Appunto. È sempre qualcosa di inferiore dal punto di vista espressivo. Non a caso Leopardi, che è il contrario di tutto questo- fa cioè una poesia filosofica, di contenuto, non sentimentale o emotiva- diceva: cuore mio taci, non parlare più». Vuoi citarmi un esempio di "poesia del cuore", in Italia, negli ultimi decenni? «Alda Merini. Il suo mi sembra il caso più tipico». Ecco qua, bello diretto. Va da sé che nessuno è del tutto esente da un certo patetismo, men che mai Bàrberi Squarotti, anche se a volte dà l'impressione di farlo apposta per prenderti astutamente per il naso ("Le tamerici fragili davanti / al mare di Pescara sotto il vento / strisciante, esili ancora le fogliette /rosate..."). Ma tant'è, il gioco è divertente, se proprio non vogliamo farne un esercizio critico. Care le mie merdacce, quale dei poeti vivi o morti vi ispira un moto fantozziano? Ditemelo. Dichiaro ufficialmente aperto il nostro solito dibattito, come direbbe il Professor Guidobaldo Maria Riccardelli. Shoot the poet! Sabato, 6 agosto 2011maalox 3- vomitatoio facebook Del resto Facebook è una rappresentazione reticolare della poesia così come la intendono troppe persone. E cioè un qualcosa che viene dal profondo, sale sale sale spinto da una certa "urgenza" (quante volte l'avete sentita questa parola?) finchè finalmente esce alla luce, viene partorito (se lo si guarda benevolmente) o viene vomitato (se lo si guarda, nella gran parte dei casi, realisticamente). Estroflettendo il "prodotto" si spera sempre che a contatto con l'aria subisca un processo chimico che lo migliora, come avviene con il vino. Ognuno ha diritto di sperare quel che vuole, certo. Inoltre Facebook non solo è democratico, è anche gratis, non tanto perchè non costa niente in soldi ma perchè non costa niente in fatica, al contrario ad esempio di un blog. Non costa niente iscriversi ad un gruppo e scaricare in bacheca il proprio parto acriticamente, senza ripensamenti perchè Facebook è veloce e non c'è tempo di farsi venire qualche dubbio autocritico. Si sposta la responsabilità sugli "amici", ma gli amici come abbiamo visto non hanno tempo nemmeno per essere sinceri perchè bisognerebbe superare il doppio scoglio del pensiero e dell'onestà intellettuale, e quindi non c'è riscontro vero, non c'è discernimento. E siamo da capo.
Intendiamoci, non ho niente di personale contro questa poesia
"liquida", che deborda e come l'acqua occupa tutti gli interstizi e gli
spazi che trova, tutti gli anfratti che non siano minimamente moderati.
Se non fosse che Facebook ha fatto da accelerante di una entropia che
era già presente in internet, aumentando in maniera esponenziale la
velocità degli "interventi" e diminuendo in modo direttamente
proporzionale il tempo di permanenza sulla "notizia". Siamo tutti
diventati campioni della lettura veloce, quando va bene. Ci siamo sempre
lamentati che ci sono troppi scrittori e quasi nessun lettore, di
poesia in particolare. Ma se c'è qualcosa che farà fuori definitivamente
la lettura infilandola giù per il nostro bel vomitatoio, state sicuri
che quello è Facebook (e il suo fratellino, ancora più subatomico,
Twitter). Non si tratta nemmeno più di quel sovraccarico informativo,
quel "information overload" di cui ho parlato in altre occasioni.
Quello, se lo conosci lo eviti. Qui si tratta di assuefazione (quasi in
senso farmacologico) e temo che sia assuefazione al fast food poetico,
al frammento che specie nei gruppi aperti altre decine di frammenti
spingono inesorabilmente fuori scena nel giro (provare per credere) di
qualche minuto. Almeno in un blog se non leggi un post oggi te lo puoi
leggere domani. Te lo puoi addirittura rileggere!!. Siamo alla junk poetry. Siamo - temo - all'assuefazione al brutto. Va bene, basta non diventarne dipendenti. Lunedì, 16 maggio 2011Maalox 2: in margine a una lettura a Pisa![]() Lunedì, 8 novembre 2010Maalox 1
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