Martedì, 26 aprile 2016Roberto Galaverni - Per un uso non ordinario della vita e della poesia. Su Wislawa SzymborskaCome avevo anticipato (vedi) pubblico qui di seguito il saggio di Roberto Galaverni su W. Szymborska contenuto, insieme ad altri di grande interesse, nel volume "Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti e critici", che viene in questi giorni presentato al pubblico in una serie di incontri. - Per gentile concessione della Pisa University Press e dell'autore, che ringrazio. Tutti i diritti riservati.
Il primo libro che ho letto di Wisława Szymborska è stato Gente sul ponte, una ventina d’anni fa ormai. Non ricordo se l’accostamento tra la sua poesia o, più precisamente, tra il suo modo di fare poesia e quello del tardo Montale sia scattato già allora, ma certo da parecchio tempo fa parte dei miei pensieri. Proverò a spiegarmi, anche perché il parallelo tra il poeta del male di vivere (o di quel tanto di diluito, se non di fatto poltiglia, che ne è rimasto nella sua più tarda stagione) e la poetessa del sorriso e della gioia di vivere, o per lo meno di scrivere, sarà forse apparso subito alquanto discutibile. C’è però un’altra ragione. Svolgendo questo ragionamento penso infatti di poter chiarire qualcosa anche riguardo alla mia idea della poesia della Szymborska. Solo due avvertenze. Quello che un po’ sommariamente intendo come il tardo, l’ultimo, il vecchio Montale, è in realtà al suo interno piuttosto diversificato, come diversi tra loro sono i suoi ultimi tre libri: Satura, il Diario del ’71 e del ’72 e il Quaderno di quattro anni. Ma è vero che si tratta di una definizione alquanto pratica e in ogni caso legittima, dal momento che gli elementi di continuità, tanto più nella comune discontinuità con la poesia precedente, sono innegabili e di gran lunga prevalenti. La seconda avvertenza riguarda il mio rapporto con la poesia della Szymborska, che – data la mia completa ignoranza del polacco – passa per intero attraverso la traduzione. Le mie considerazioni sono dunque relative a testi poetici tradotti, nel caso specifico, lo sappiamo, quasi per intero da Pietro Marchesani, il cui lavoro devo in ogni senso prendere per buono. Proprio per questo non vedo di buon occhio i casi in cui, com’è accaduto proprio per la Szymborska, l’opera di un autore importante risulta vincolata da una specie di esclusiva di traduzione. Anche al di là della bontà dei risultati e del talento del traduttore, come pure della benemerenza della sua iniziativa e del suo impegno, viene infatti a mancare la possibilità di raffrontare traduzioni diverse e, di conseguenza, di farsi un’idea insieme più complessa e più precisa della poesia originale. La Szymborska che quasi tutti leggiamo, insomma, è una Szymborska-Marchesani. Se penso, per fare solo un esempio, ai tanti e vari modi di tradurre Seamus Heaney, tutti molto riconoscibili e idiosincratici, da parte dei suoi principali traduttori italiani (Buffoni, Mussapi, Fusini, Guerneri, Sacerdoti, Sonzogni), con l’arricchimento reciproco che ne è via via derivato, le cose sembrano stare in modo molto diverso. In ogni caso, le mie impressioni maturate lungo questi anni (e che la traduzione ad opera di Silvano De Fanti delle tredici poesie della raccolta Basta così, postuma sia alla poetessa sia al suo fedele traduttore italiano, non ha modificato) sono quelle di una sostanziale invariabilità della poesia della Szymborska, una volta che questa abbia raggiunto la sua maturità d’espressione (diciamo con Appello allo Yeti del 1957) e, soprattutto, della sua traducibilità, cosa che, visto che si tratta di poesia, di per sé dice già molto. Come accade per tutti i migliori traduttori, anche Marchesani avrà raggiunto risultati ora più ora meno convincenti, ma certo la traduzione funambolica di testi funambolici, per la frequenza delle rime, dei giochi di parole, dei parallelismi e dei rimandi interni (penso ad esempio a Compleanno o a Stupore, entrambi compresi in Ogni caso [OC 309 e 307]), dice comunque di una sensibilità verso lo spessore espressivo e la componente autoreferenziale del linguaggio poetico. Così, al di là di qualche caso sporadico, direi che con la poesia della Szymborska il rischio di un’emorragia di significato dovuta alla traduzione sembra essere ridotto rispetto ad altre poesie e altri poeti. Qualche perplessità nasce anzi e contrario, perché si finisce per chiedersi – questa ovviamente la mia esperienza di lettura – se anche nell’originale sia tutto così limpido e piano, così a posto, così direttamente referenziale. In ogni caso, quanto alla Szymborska, anche dalle poesie postume ciò che ne esce confermato è il prevalere nella sua poesia delle componenti orizzontali, vale a dire colloquiali, discorsive e argomentative, rispetto a quelle verticali. La lingua non ritorna o rifluisce su se stessa – non con decisione, almeno – quanto appare tutta protesa all’esito della dimostrazione come alla propria foce. La funzionalità, la strumentalità del linguaggio poetico prevale di gran lunga sulla sua autonomia; la sua transitività rispetto al contenuto tende a togliere di mezzo, cioè a livellarla come fosse un ostacolo o una diga allo scorrere del senso, ogni possibile intransitività. Discorso, argomentazione, transitività, traducibilità... Proprio come nel tardo Montale. Continua a leggere "Roberto Galaverni - Per un uso non ordinario della vita e della poesia. Su Wislawa Szymborska" Mercoledì, 13 aprile 2016Szymborska, la gioia di leggere - PresentazioniIl convegno su Wislawa Szymborska dal titolo "Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti e critici" che si è tenuto a Pisa il 12 e 13 Febbraio 2014, con la partecipazione di importanti critici e scrittori (ne ho dato notizia QUI) ha prodotto un volume dello stesso titolo (Pisa University Press, pagg. 160, euro 15,00), a cura di Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, che raccoglie gli interventi di quei giorni, un testo inedito di Pietro Marchesani, storico traduttore della poetessa, testimonianze di amici e collaboratori, diverse illustrazioni e una lunga poesia anch'essa inedita in Italia della Szymborska (v. l'indice riportato in calce). Il libro (a tutti gli effetti la prima raccolta italiana di saggi sulla poetessa polacca Premio Nobel 1996) sarà illustrato al pubblico in una serie di presentazioni:
Continua a leggere "Szymborska, la gioia di leggere - Presentazioni" Mercoledì, 5 agosto 2015Czeslaw Milosz - Non l'avevo forse detto?, a proposito di SzymborskaUn breve saggio di Czeslaw Milosz a proposito di Wislawa Szymborska, da titolo "Non l'avevo forse detto?", inedito in Italia, tradotto dal polacco da Giovanna Tomassucci, che ringrazio. Uno scritto che vuole iscriversi in uno sperabile più ampio dibattito sulla poetessa, uno sforzo di più profonda comprensione sui contenuti, le forme, la poetica, e non tanto sulla Szymborska come "fenomeno" o come moda innescata da un "effetto auditel", come è avvenuto qui in Italia nel febbraio del 2012, né tanto meno come inconsueta "base culturale" di manuali del cosiddetto "humanistic management". N.B. Ho aggiunto in calce all'articolo, ad usum lectorum, i testi integrali delle poesie citate da Milosz. Continua a leggere "Czeslaw Milosz - Non l'avevo forse detto?, a proposito di Szymborska" Sabato, 31 maggio 2014Una poesia inedita in Italia di Tadeusz Rózewicz, scomparso il 24 aprile scorso all'età di 92 anni, dedicata alla memoria di Czeslaw Milosz, nella traduzione dal polacco di Giovanna Tomassucci, che voglio qui ringraziare. Rózewicz era uno dei massimi esponenti della letteratura polacca del Novecento, autore di almeno due dozzine di raccolte di poesie, oltre ad opere di saggistica e di drammaturgia, e secondo le parole di Seamus Heaney "uno dei più grandi poeti europei del ventesimo secolo", tradotto in quasi cinquanta lingue diverse. Appartenente alla generazione poetica post-bellica, quella che ha dovuto affrontare la sfida di ritrovare le parole dopo l'immane tragedia che ha visto l'uccisione di sei milioni di polacchi (circa la metà dell'intera popolazione), Rózewicz forse più di altri ha contribuito a smentire la nota affermazione di Theodor Adorno secondo la quale "scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie" ("a casa un compito / mi attende: / creare poesia dopo Auschwitz", ribatte Rózewicz in alcuni suoi versi), attraverso un linguaggio rinnovato, diretto, condensato, poco metaforico che ha avuto una enorme influenza su tutta la produzione poetica polacca, Milosz compreso. Come ebbe a dire Wislawa Szymborska nel 1996, "non riesco neppure a immaginare che aspetto avrebbe avuto la poesia polacca postbellica senza i versi di Tadeusz Rózewicz. Tutti gli siamo debitori di qualcosa, anche se non tutti sono capaci di ammetterlo". Una classica elegia, questa in memoria di Milosz, a cui l'autore si rivolge direttamente, come ad un antico compagno e collega con cui scambiava "dispute amiche" che ora la morte ha interrotto, una elegia sul ricordo e il rimpianto, ma anche su un ideale e non lontano ricongiungimento, con l'amico, alla terra e nella terra, non come un Orfeo denudato e ancora una volta sopravvissuto a cui il canto ("che né più rammento cosa sia") non può offrire ritorno, ma come una pala che scava quella stessa terra, al culmine di una vita che "come una talpa ora io meno".
traduzione dal polacco di Giovanna Tomassucci Bibliografia italiana (poesia): Colloquio con il principe, antologia a cura di Carlo Verdiani, Mondadori 1964 Il guanto rosso e altre poesie a cura di Pietro Marchesani, Scheiwiller 2003 Bassorilievo, a cura di Barbara Adamska Verdiani e con una premessa di Edoardo Sanguineti, Scheiwiller 2004 Le parole sgomente. Poesie 1947-2004, a cura di S. De Fanti, postfazione di M. Kneip, Metauro Edizioni 2007 Martedì, 28 gennaio 2014Wislawa Szymborska, un convegno a PisaPisa sta diventando una citta sempre
più poetica, sotto forme e modalità anche molto distanti tra loro, dal
pop all'accademia. Dopo il primo Poetry Slam che si terrà l'8 Febbraio
prossimo (v la notizia QUI), ecco in programma per il 12 e 13 Febbraio un importante convegno dedicato a Wislawa Szymborska,
in onore del suo storico traduttore e studioso Pietro Marchesani, dal
titolo "Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti e critici".
L'evento è organizzato dal Dipartimento di Filologia, Letteratura e
Linguistica dell'Università di Pisa e dalla Fondazione Kristina
Bronislava Przyiemska Sbranti, per la cura di Giovanna Tomassucci, e si
articolerà in conferenze, dibattiti, panel, letture e la proiezione del
film-documentario di Katarzyna Kolenda-Zaleska "La vita a volte è
sopportabile. Ritratto ironico di Wislawa Szymborska". Numerosi e
significativi gli interventi di poeti, critici, studiosi (v. il
programma completo QUI): Galaverni, Berardinelli, Lipska, Tomassucci, Mikolaiewski, Bremer, Carpi, Febbraro, Ulbar e altri. Perchè questo incontro? Ecco quanto affermano gli organizzatori: "Nel nostro paese la Szymborska ha rappresentato (e rappresenta) un vero e proprio fenomeno culturale, testimoniato dalle decine di ristampe e altissime vendite delle sue raccolte (pubblicate da Scheiwiller e Adelphi), dalle dichiarazioni entusiastiche di molte personalità della cultura e infine dall'affluenza agli incontri poetici con lei di centinaia e centinaia di persone (nel maggio 2007 è stata ospite dell'Università di Pisa e ha tenuto un intervento in una Sala degli Stemmi gremita fino all'inverosimile; due anni più tardi, quando la scrittrice è stata invitata dal Collegio Superiore dell'Università di Bologna, l'Aula Magna di Santa Lucia della capienza di 1500 persone non è riuscita ad accogliere tutti i convenuti). Questo successo, notevole e senza precedenti
(per trovare qualcosa del genere bisogna risalire al fenomeno, del resto
assai diverso, dei Festival di poesia degli anni Settanta e Ottanta),
non è stato accompagnato in Italia da un'equivalente fortuna critica.
Non solo non sono state pubblicate monografie e saggi (a fronte di una
ricca messe di testi pubblicati in Polonia), ma la bella biografia di
Szczęsna e Bikont, Cianfrusaglie del passato. Biografia di Wisława
Szymborska, apparsa subito dopo il conferimento del Nobel e ormai giunta
alla VI edizione, verrà pubblicata in Italia, nella traduzione di
Andrea Ceccherelli, solo nei prossimi mesi. A cercare di sfruttare la
celebrità della scrittrice è stato sorprendentemente un altro settore
editoriale, quello dei manuali italiani di management e sociologia, che
si sono serviti (in genere in modo inadeguato) delle poesie della
Szymborska come di una sorta di "istruzioni per l'uso". Con il convegno pisano vorremmo cercare di rispondere ad alcune domande:
Giovedì, 13 dicembre 2012Wojciech Bonowicz - Mare aperto
Uscita nel 2006, Mare aperto è la quarta raccolta poetica di Wojciech Bonowicz (1967). [...]. Mare aperto è a oggi la silloge di Bonowicz che ha avuto in Polonia maggiori riconoscimenti, fra i quali il Premio Gdynia, e lo stesso autore la considera un punto di svolta della sua carriera. Dopo di essa si è cominciato a parlare di Bonowicz come di un nuovo esponente della poesia religiosa. Pur non negando il proprio interesse per la teologia (del resto nel 2001 pubblicò una fortunata monografia su Józef Tischner, brillante prete filosofo morto l'anno precedente) l'autore prendeva però al contempo le distanze da una poesia il cui fine fosse quello di inserirsi in una tradizione, quella della poesia religiosa, pur molto fortunata in Polonia. La ricerca del poeta è rivolta piuttosto verso una lingua adeguata a parlare delle faccende che gli stanno a cuore. C'è la religione, certo, ma prima di essa, in questo libro magistralmente costruito, viene il tema della scrittura, con una serie di componimenti autotematici. Se in queste poesie cerchiamo risposte, troveremo soltanto ulteriori domande: Bonowicz crea continuamente situazioni ambivalenti, le sue storie sono piuttosto delle epifanie. Esemplare è il testo che dà il titolo alla raccolta: abbiamo da un lato una situazione molto chiara, presa dal quotidiano, e però d'altra parte restano tanti elementi inspiegati. Tutto questo avviene in soli tre versi, più un titolo che aggiunge mistero al mistero. Abbiamo un quadro, ma non sappiamo cosa avviene fuori dalla cornice. E poesie come Cronaca o Canti storici parlano forse di attualità? O di altri tempi e di altri luoghi? Tutte le risposte sono plausibili, perché lo spazio e il tempo in cui si muovono questi testi sono quelli dell'archetipo. Si noti, infine, che Wojciech Bonowicz è nato a Oswiécim, la cittadina presso il campo di sterminio nazista che ai più è noto col nome tedesco di Auschwitz. In un'intervista il poeta ha detto: "Solo dopo l'uscita di Mare aperto ho cominciato a parlare di Auschwitz, che è un tema col quale mi misuro da sempre. Sono cresciuto all'ombra del campo di sterminio. La consapevolezza che questo è accaduto così vicino ti segna per tutta la vita. [...] Prima avevo paura a parlarne, non volevo che le mie poesie fossero lette solo in quest'ottica: ecco un altro poeta del dopo-Auschwitz! Ora non ho più paura". (dalla postfazione di Leonardo Masi) Continua a leggere "Wojciech Bonowicz - Mare aperto" Lunedì, 26 novembre 2012Berardinelli, Tomassucci e Rossella sul "Trattato poetico" di Czeslaw MiloszA corollario della presentazione a Firenze il 16 ottobre scorso di "Trattato poetico" di Czesław Miłosz (Ed. Adelphi), di cui ho dato notizia QUI,
segnalo la pubblicazione su "L'ospite ingrato", rivista on line del
Centro Studi Franco Fortini, del resoconto, corredato da alcuni testi
del poeta, degli interessanti interventi dei relatori Alfonso
Berardinelli, Giovanna Tomassucci e Valeria Rossella, traduttrice
dell'opera. Ringrazio Giovanna Tomassucci della segnalazione.
Alfonso Berardinelli: "È certo (e non sono io a decretarlo) che il Trattato poetico
di Miłosz è uno dei poemi più potenti e labirintici del Novecento,
un’opera audace e insolita che non sa ancora dire se ha segnato un’epoca
della poesia europea o ne ha aperta una nuova. Probabilmente tutte e
due le cose: il bilancio del Novecento che viene compiuto nelle sue
pagine, una tappa dopo l’altra, una dimensione contro un’altra, ha
spinto l’autore alla costruzione di un modello formale che poteva avere,
e forse non ha ancora avuto, un’influenza sulla poesia successiva, non
solo polacca. Per fare un solo esempio, citerei, restando nel cuore
dell’Europa, almeno i due ‘poemi saggistici’ di Hans Magnus
Enzensberger, più giovane di Miłosz di quasi vent’anni e che esordì
esattamente nel 1957, l’anno di pubblicazione del Trattato poetico. Sia con Mausoleum che con La fine del Titanic,
entrambi degli anni Settanta, Enzensberger uscì dai limiti della
composizione breve e sperimentò il poema storico, fra narrazione e
interpretazione. Contro una poetica che era sembrata dominante, ma che
non esauriva certo le potenzialità dello stile moderno, Miłosz abolisce i
confini tematici e linguistici della poesia; (...)"
Giovanna Tomassucci: "Czesław Miłosz ha scritto il suo Trattato poetico
dall’esilio, tra il dicembre ’55 e la primavera ’56. Nella difficile
condizione di poeta senza pubblico, transfuga in una Francia ostile,
negli anni precedenti si era soprattutto dedicato alla prosa con il
saggio La mente prigioniera (1953), ritratto di vecchi amici convertiti allo Stalinismo, e il romanzo autobiografico La valle dell’Issa (1955). In quello stesso periodo si accingeva a scrivere uno dei suoi più bei libri, Europa familiare (1959, tradotto in italiano da Adelphi con il titolo La mia Europa),
atto di amore verso la sua terra natale, la Lituania, crogiuolo di
lingue e culture, che per l’Occidente continuava (ma oggi è forse
diverso?) a essere una ‘regione nebulosa’ su cui si ‘danno poche notizie
e se mai errate’.
Dopo la sua richiesta di asilo politico del 1951, molti compagni di un
tempo lo avevano duramente bollato di tradimento. In patria il suo nome
sarebbe rimasto all’indice quasi fino al conferimento del Nobel (1980).
Per raggiungere i propri connazionali, a parte certe equilibristiche
apparizioni (La valle dell’Issa verrà immediatamente confiscata
dalle autorità ancor prima di uscire in libreria), potrà solo contare
sulle edizioni dell’emigrazione di Parigi e Londra e più tardi sulle
quelle samizdat’. (...)"
Valeria Rossella: "Quando noi leggiamo, dico nella nostra stessa
lingua, compiamo sempre un’opera di traduzione, leggere non è mai un
atto puro. La traduzione da un’altra lingua non è che l’aspetto
macroscopico di questa contaminazione, pensiamo soltanto a come esista
un unico originale, e tante traduzioni, in tempi e in lingue diverse.
La traduzione, e soprattutto quella poetica, è dunque un sosia, ma non una copia: un gemello, che vive di vita propria.
Quando si affronta un testo scritto in una lingua molto lontana dalla
propria, aumenta esponenzialmente la responsabilità del traduttore che
diviene, per il lettore, l’unica voce del poeta.
In questo caso si tratta di affrontare con la splendida, ma anche
ingombrante armatura della sintassi italiana, la duttile e sgusciante
sinuosità di una lingua slava.
Miłosz qui usa l’endecasillabo, tranne che in alcuni frammenti, io ho
pensato di adottare una misura elastica, che si sviluppa modulandosi dal
doppio settenario all’endecasillabo. (...)"
Mercoledì, 10 ottobre 2012Czeslaw Milosz - Trattato poetico, presentazione Pubblico in calce un componimento scelto da Trattato poetico di Czesław Miłosz (Adelphi, 2012 - Traduzione di Valeria Rossella) in occasione della presentazione che avverrà a Firenze presso la Fondazione Il Fiore, Via di San Vito 7, Martedì 16 ottobre 2012 alle ore 17.00. Gli interventi saranno di Alfonso Berardinelli, Valeria Rossella (poetessa e traduttrice del libro), Giovanna Tomassucci (docente di Letteratura Polacca all'Università di Pisa). La locandina dell'evento, completa anche di indicazioni stradali, è reperibile QUI)
Tra l'inverno del 1955 e la primavera del 1956 Czesław Miłosz
dà corpo alla sua originale concezione della poesia in una vera e
propria sfida letteraria: un grande poema che, eludendo le cornici di
genere e arricchendosi di elementi prosaici o colloquiali, mescolando
citazioni eterogenee, imitazioni letterarie, valutazioni critiche ed
enunciati filosofici, delinea un vasto affresco storico-culturale del
Novecento polacco, tassello imprescindibile della storia europea. Un
affresco che si compone di quattro parti, evocative di altrettanti
scenari: il mondo della belle époque nella Cracovia di inizio secolo; la
vita politica e artistica di Varsavia tra le due guerre, con ampie
digressioni sui poeti del tempo; le devastazioni della seconda guerra
mondiale e gli orrori dell'occupazione nazista, con la rivendicazione
di una poesia capace di giudizio etico; la Natura e in particolare
l'ambiente degli Stati Uniti, in cui Miłosz, dopo aver contemplato
l'abisso in cui sono precipitate le culture europee, individua la
dimensione ideale per trovare serenità ed equilibrio, senza peraltro
sottrarsi al dovere di condividere con i fratelli polacchi le questioni
cruciali del XX secolo. Il Trattato poetico ha la forza
espressiva di un grande romanzo storico, l'intonazione nostalgica di
un poema sul tempo perduto, il suono straziante di un requiem in morte
di un'epoca, l'accento pacato di una meditazione sulla storia,
sull'arte, sulla coscienza individuale. E anche le Note dell'Autore
che chiudono il volume si rivelano una splendida creazione
letteraria: un mosaico di schizzi e ritratti in miniatura che, come per
magia, ricreano il mondo di una ormai lontana Europa. (dal risvolto di copertina)
(...)Dalla ‘piccola Cracovia, come un uomo dipinto’ a Varsavia, ‘città estranea su una piana sabbiosa’, i toni della poesia cambiano. Si fanno più malinconici e raccolti, ricchi di un peso che si fa man mano più grave: “eh
no, lettore, non abiti una rosa / questo paese ha suoi pianeti e fiumi /
ma è fragile come il lembo del mattino. / Lo ricreiamo noi giorno per
giorno / stimando più ciò che è reale / di ciò che è irrigidito in nome e
suono. / Al mondo lo strappiamo con la forza, / troppa facilità non lo
fa esistere. / Di’ addio a ciò che è scomparso. Ne giunge ancora l’eco. /
A noi tocca parlare in modo rozzo e aspro”. Si percepisce nei
versi il rimpianto di non poter più parlare della natura, del semplice
succedersi delle stagioni, per non tradire l’impegno politico richiesto
dalla propria terra.
Finché Miłosz non risolve il conflitto con un ultimo, nostalgico gesto. Scriverà nell’ode conclusiva: “molto,
molto ci sarà rimproverato. / Perché, pur potendo, rifiutammo la pace
del silenzio / […] Invece volevamo smuovere ogni giorno / la polvere dei
nomi e degli eventi / con le parole, poco badando al loro / e nostro
svanire, scintillando”. Non può far riposare lo sguardo sul paesaggio americano che lo circonda, anche se la tentazione di “costruirsi per sempre una casa nella Natura”
è forte; c’è un luogo a cui tornare sempre, e nel momento in cui gli
uomini reinventano continuamente i confini geografici, è la mappatura
emotiva a ridefinire l’idea e l’anima stessa di una patria. (da una nota di Chiara Condò - Fonte: Cabaretbisanzio.com)
Continua a leggere "Czeslaw Milosz - Trattato poetico, presentazione" Lunedì, 23 luglio 2012Wislawa Szymborska - Fango e riabilitazioneRicevo da Giovanna Tomassucci (*) e pubblico volentieri Szymborska e il comunismo: conti fatti con il passato Nelle ultime settimane sulla stampa italiana sembra essersi inaspettatamente aperto un nuovo "caso Szymborska". Non si tratta di uno strascico delle
riflessioni sullo straordinario record di vendita registrato dalla poetessa polacca in Italia (anche grazie alla lettura dei suoi testi da parte di Roberto
Saviano a "Che tempo che fa" dopo la sua morte, nel febbraio scorso), ma di un discorso sul trasformismo degli intellettuali. Prendendo spunto da note
apparse recentemente su "Panorama" e "Il Giornale", Pierluigi Battista sul "Corriere della sera" l’ha chiamata in causa centrando su di lei un ampio
articolo, dal titolo molto simile a quello di un suo libro del 2007: Cancellare le proprie tracce. In versi. La poetessa polacca sarebbe rea di
aver nascosto le proprie poesie dedicate a Lenin alla morte di Stalin.
È inoltre ampiamente noto che la poetessa non ha occultato né la passata appartenenza al partito (fino al 1966) né tanto meno "sepolto" (come si è scritto) le raccolte poetiche del periodo stalinista, tuttora conservate in molte biblioteche polacche. «Appartenevo alla generazione che credeva. Io credevo. Quando ho smesso di credere ho smesso di scrivere quelle poesie», aveva dichiarato nel ’91. Esse sono citate dalle sue biografie (tra cui quella di Joanna Szczesna e Anna Bikont Cianfrusaglie di memorie. Amici e Sogni, che varrebbe la pena di tradurre!), dalle introduzioni del suo traduttore Pietro Marchesani, dal Web, in primis Wikipedia. Fin dal conferimento del Nobel, proprio a causa di quel suo passato, Szymborska è stata attaccata da molti in Polonia: quindi non ha senso parlare di rivelazioni che provocano "imbarazzo". L’Europa non è più divisa in due e non si può far finta di ignorare ciò che è già accaduto nei Paesi dell’ex blocco sovietico, tirando fuori dal cappello vecchie informazioni e contrabbandandole per nuove.
Articolo già apparso su L’Avvenire del 21 luglio 2012
(*) L'autrice della lettera è, tra l'altro, traduttrice e polonista all'Università di Pisa Continua a leggere "Wislawa Szymborska - Fango e riabilitazione" Sabato, 6 ottobre 2007Poeti dell'Est 4 - Adam Zagajewski
Nota su Adam Zagajewski a cura di Lorenzo Pompeo
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(Pagina 1 di 1, in totale 10 notizie)
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