«Raccolta di trascrizioni» e aggregazione in forma di pastiche in
molti casi, «centone di composizioni precedenti di uno o più
autori» (dal Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti UTET),
così ci informa l'autore nella Nota a fine testo, citando un passo di
Jolanda Insana sul «bisogno di fare e disfare», e mettendo a commento
Raboni della “poesia che si fa”, Gli esercizi platonici di
Pagliarani, i Palimpsestes di Genette, Zanzotto...
E in effetti questa raccolta, che si colloca dentro una tradizione
antichissima, mette a punto alcune considerazioni specifiche sulle modalità
del “fare poesia”:
- i rapporti di senso cambiano, ma reggono in altri modelli inediti e a
volte imprevisti, scombinando e ricombinando il materiale verbale («si
creano sbilanciamenti» osserva Insana a proposito di proprie esperienze
simili);
- è un modo per «giocare con ciò che si trova in giro» (ancora Insana),
quindi si pone attenzione alla disposizione a usare parole, oggetti, già in
circolazione, comuni;
- più che esercizi di scrittura sono anche e forse soprattutto «esercizi di
lettura», nel senso di lego (“leggere” e anche “scegliere”,
“raccogliere”);
- questo disfare e fare ci riporta alla poesia come a «un piccolo o grande
opificio» (Zanzotto).
La ricombinazione di significati ha tradizioni lunghe nel tempo e
consolidate nel Novecento, soprattutto in ambito francese, svizzero,
tedesco (Oulipo, dadaismo, parte delle Avanguardie) e angloamericano.
Nella raccolta di Rodolfo Zucco diventa materiale di creazione e di studio,
esercizi di scrittura in cui si sperimentano multiformi possibilità di
costruzioni linguistiche per indagare fin dove può arrivare la forza di
aggregazione del linguaggio, la sua disponibilità plastica. E parimenti
quali immersioni nei significati sono possibili, quali suggestioni si
agganciano a una forma di scrittura non empatica, distaccata, tenuta
insieme dalla misura delle parole, anche quando si tratti di linguaggio
arcaico, specialistico, gergale, colloquiale, plurilinguistico. Le
“restituzioni” ci offrono un testo sorvegliato, misurato, mai dirompente o
eccessivo. Come se l'intento primo dell'autore fosse stato quello di
mantenere un equilibrio interno, una proporzione nel dicibile, lavorando di
scelta ponderata, di presa di misura negli accostamenti. Questo
procedimento non diminuisce la creatività, ma libera la disposizione
autonoma alla ricerca, senza eccessi o sovraccarichi derivanti da un
surplus empatico.
Non sono giochetti fini a se stessi o al più legati a una sovraesposizione
di narcisismo (anche involontario), o di ironia, di quella arrischiata
sorpresa accattivante atta ad attrarre il lettore, una manipolazione
piuttosto superficiale che riveli bizzarrie, metta in luce la facilità del processo di invenzione, di imitazione, come in tanti
esercizi di scrittura contemporanei.
In questa raccolta l'esplorazione del linguaggio consente due direttrici di
percorso: una verticale, che entra nei gangli del processo creativo, si
cala nelle profondità del soggetto perché muove qualche lontana somiglianza
o reminiscenza o faglia sospesa che tende a risuonare nuovamente; un'altra
orizzontale, aperta e dinamica, che esplora le disposizioni della
lingua, le sue innumerevoli possibilità di combinazione da cui scaturiscono
nuovi o rinnovati sensi, tutti indagabili in altre esplorazioni.
E non perché il materiale usato appartenga spesso alla lingua antica o a
registri specialistici o comuni, a forme desuete o burocratiche, alla
letteratura, a dizionari, a copioni teatrali, a codici di legislazioni, a
resoconti di viaggi, alla produzione saggistica, a didascalie; e si
rincorrano, tra gli altri, i nomi di Dino Buzzati, Bruno Schulz, Stefano
Malatesta, Konrad Lorenz, Carlo Goldoni, si affacci forse Elena Ferrante.
Neppure perché si mantenga graficamente una separazione (tondo e italico)
nella scrittura a indicare intenzioni diverse e qualche volta si rimandi a
un gioco alterno, uno spostamento inaspettato nella “posizione” e
nell'ottica scrittoria. E neppure perché da spunti appena accennati nascano
per interna germinazione delle osservazioni, riflessioni, suggerimenti che
trascinano il senso a interrogarsi sul comune destino, sulla disponibilità
umana alla esistenza consumata nelle sue innumerevoli forme: come, in quali
modi storici e contemporanei, è data, si è manifestata.
E' una osservazione continua di frammenti, di particelle di realtà
accostati per moltiplicarne il senso, per dare significazione di una
complessità di sguardi, di scelte, di posizioni, di proprietà, di
accidenti, tutti oggetto di trasformazioni, mutazioni.
E lo sguardo combinatorio dell'autore sorveglia e scava la materia vitale
con la cura tenace dello studioso, con l'accudimento dell'amante. (gabriella musetti)
Analogie
… o la passione
per la caccia alla volpe.
(Alcune analogie.
L’identificazione
con la volpe. Lasciare i segugi
disorientati…)
Ma
perché?
(«Sul resto: naturalmente hai ragione:
paura di morire, desiderio
di essere un altro. Dovrei spiegarLe
le circostanze, ma forse
guasterebbe l’effetto, non Le pare?»)
Del predare
Gli animali
che per natura sono soprattutto
prede fanno dei sogni brevi – più
che sogni veri e propri sono
apparizioni.
I predatori fanno
invece sogni complicati e lunghi.
«In ogni caso
da qualche giorno mi alzo
alle sei, per reagire
all’insonnia. In realtà
mi svegliano le tortore di casa.
Per rappresaglia gli ho predato il nido.»
Una cosa
«Sai
una cosa? Vorrei
essere lì con te.
Lì dove? Non importa.»
(Poi le vacanze giunsero
alla fine. L'autunno
arrivò - il paesaggio terso. rosso
e giallo, nitido
come fosse guardato
attraverso una forte
lente.»
Busto
Privo di corpo, di ambiente, di legami
con un tempo e uno spazio definiti
il volto diventa una maschera
atemporale – e
la modella ridente
del busto originario
è ormai solo il ricordo
in cui si solidifica una forma.
Rodolfo Zucco, Bubuluz, edizioni del verri, Milano 2017.