Domenica, 4 luglio 2010
Questo ultimo post dedicato ai materiali prodotti dei "Mattutini" di Pistoia, in quella serie che ho titolato - prendendo a prestito da uno scritto di Olivier Bastide - "Parole in coincidenza", riporta un testo "apocalittico" di Dominique Sorrente, ideatore dello Scriptorium di Marsiglia, esponente di ciò che in Francia è noto come "movimento intuitista", tradotto da Maura Del Serra. Se c'è una considerazione da fare brevemente, in conclusione di questa serie di interventi, riguarda la straordinaria consonanza di genere, stilistica, di ispirazione tra questi due gruppi di poeti, entrambi saldamente ancorati ad una tradizione, essenzialmente lirica, spesso ermetica, che non smettono di solcare e rivoltare alla ricerca di nuovi umori o chiavi di lettura del presente, o semplicemente idee da restituire in versi. Consonanza che non si è tradotta in un mero esercizio traduttologico, ma in un lavoro gomito a gomito sul testo, "in amicizia e allegria" come scrive Angèle Paoli, e con un sentire di "ospitalità linguistica" come una auspicabile dimensione dell'etica, come afferma lo stesso Sorrente. E non è un caso quindi che egli stesso scriva:"Se la parola 'coincidenza' si trova al nocciolo del movimento animato dallo Scriptorium, da dieci anni, è perchè richiama un atteggiamento di risonanza nella propria pratica di poesia; e anche in quanto muove con forza la convergenza dei passi degli uni verso gli altri, affinchè sia possibile far nascere un'opportunità, un 'kairòs' " (tutte le citazioni sono tratte dalla rivista Semicerchio, n.40/2009, che ringrazio)
Une apocalypse, en passant
Un jour, viendra l’été de la rupture des temps. La main n’aura pas fini de détacher les pétales du trèfle, d’en faire plier la tige.
Nous nous regarderons soudain, fauves à l’arrêt. Femme fétiche, homme incendié, nous réveillant d’un sursaut à l’âge des artères d’autrefois.
C’est cette copie-là qu’il nous faudra remettre, inachevée, à l’ange préposé du jour.
Dans l’intermittente compagnie des humains, qu’ils furent sublimes, abjects ou pitoyables, nous prendrons sans objection de rigueur nos places numérotées.
Alors sous les vols des oiseaux de feu revenus de nos brefs millénaires, éclatera obscure comme au premier jour la chrysalide.
Dominique SORRENTE
*** *** ***
Un apocalisse, incidentalmente
Verrà un giorno l'estate del rompersi dei tempi. La mano non avrà finito di staccare i petali del trifoglio; di piegare lo stelo.
Ci guarderemo a un tratto, belve immobili. Donna feticcio, uomo incendiato, svegli di soprassalto all'età delle arterie antiche.
Questo compito dovremo consegnare, incompiuto, all'angelo preposto al giorno.
E nella compagnia intermittente degli umani, siano stati sublimi, abietti o pietosi, senza obiezioni d'obbligo prenderemo i posti a noi assegnati.
Allora sotto i voli degli uccelli di fuoco ritornati dai nostri millenni brevi, scoppierà, oscura come nel primo giorno la crisalide.
Trad. MAURA DEL SERRA
ringrazio in chiusura Paolo Fabrizio Iacuzzi e Valérie Brantôme per la loro gentile collaborazione.
Venerdì, 25 giugno 2010
Due testi di Maura Del Serra, in questo ottavo post dedicato alle traduzioni uscite dai "Mattutini", i laboratori ideati in occasione dello scambio di esperienze poetiche italo-francesi a Pistoia nella primavera del 2009. La traduzione è di Dominique Sorrente, già presente su Imperfetta Ellisse con un suo testo tradotto da Valérie Brantôme e me (v. qui)
Dietro il sole e la notte
Corremmo all'infinito, a perdicuore, dietro il sole e la notte; ci tuffammo dentro il profondo vino solitario d'amore; toccammo terra, ed era grigia e densa, e soffice di cenere il mattino. Sì, il giuramento fu vano – illusione, forse, di quel profondo aereo vino. Ma pensa, figlio, ma credimi, figlia: se non avessimo giurato azzurro allora, non fareste oggi, danzando dietro il sole e la notte, quello stesso cammino.
Derrière le soleil et la nuit
Nous avons couru sans cesse, à coeur perdu derrière le soleil et la nuit ; plongé dans les abîmes du vin solitaire de l'amour ; nous avons touché la terre, elle était dense et grise, et moëlleux de cendres, le matin. Oui, le serment fut vain – illusion, sans doute, de ce vin dense et subtil. Mais penses-y, mon fils, mais crois-moi, ma fille : si nous ne nous étions juré l'azur, alors vous ne seriez pas là aujourd'hui, à danser dans le sillage du soleil et de la nuit, sur ce même chemin.
L’Una
Tu dall'alto di un jet puoi contemplare tutte le strade per salire in vetta: ma i tuoi piedi non possono percorrerne che una. Dal computer, dal gossip di Babele tutte le lingue del mondo ti avvolgono: ma una e sacra è soltanto la tua lingua materna, la fedele e perfetta. L'arte può farti vivere ogni vita, scagliarti negli abissi o nella luna: ma di una sola vita tu puoi testimoniare, sentirla eterna. Nella vigna dei popoli e delle generazioni muore forse il tuo àcino in un grappolo nascosto che i vignaioli non colgono: e quella per te è la storia, e niente la cancella.
L’unique
Toi, du haut d’un avion, tu peux contempler toutes les routes pour grimper au sommet : mais tes pieds ne peuvent en parcourir qu’une seule. En provenance de l’ordinateur, des commérages de Babel, toutes les langues du monde t’enveloppent: mais seule demeure ta langue maternelle, une et sacrée, et fidèle et parfaite. L’art peut te faire vivre n’importe quelle vie, te projeter dans les abysses ou sur la lune : mais tu ne peux témoigner que d’une seule vie, et la sentir éternelle. Dans la vigne des peuples et des générations ton grain meurt peut-être dans une grappe enfouie que le vigneron ne cueillera pas : et pour toi, c’est là qu’est l’ histoire, celle que rien n’effacera.
Trad. Dominique SORRENTE
note biografiche di Maura Del Serra qui note biografiche di Dominique Sorrente qui
Mercoledì, 16 settembre 2009
Il detto della neve
Abbiamo ritrovato la neve, qui mangiava frutta secca.
Non le importava altro che lasciare che il giorno si adempisse.
I nostri passi scivolosi ricordavano altri passi.
L’inverno. Era questo, dapprima, l’inverno, puro prigionero dell’imperfetto.
Chi aspettava segni per avviarsi viveva in questa neve.
Laggiù.
* * *
Perché il mondo è così coperto dal bianco che inganna,
da quello che dà pace.
Fortunato sei tu, pieno giorno dell’uomo o del grande albero,
tu che sai non confonderli.
* * *
Ed eccolo, piena corteccia, reso muto, orfano del suo fogliame.
Entra nel suo silenzio che gli attimi delle città ignorano.
Che dire al fondista che lo sfiora, alle sue racchette che segnano la cadenza?
Lui lascia correre. Un altro tempo, che si stira o che urta,
lavora alle sue radici
* * *
Ciò che lei ama sempre disorienta le mie mani.
Il posto rimane libero per queste luci nascenti di vento, per il corso
di una gioia d’abilità superstite. Nessun testimone fuggirà
dal paese parallelo.
Un giorno si sarà chiuso secondo l’epistola dell’inverno.
* * *
Per Gilles Antonowicz, l’amico
della mia prima infanzia
La mia nascita allora è come quella di un amico della neve
che viene verso di me dai giorni servitori dell’infanzia,
la mia morte è questa lacrima d’alambicco come quella di un amico
della neve che si assenta ancora per degli anni,
quando davanti a noi camminano le lettere verso il loro raduno,
il genio di dicembre in cuore.
* * *
È bello, questo schiocco di ali intraviste nella lentezza
del bosco.
Nessuna foglia piegherà il cielo.
Nessun calcolo avrà il suo cammino di ronda in questi luoghi.
Un pò di terra ricoperta
occupa tutta la storia.
* * *
Prendo questa parola che gela sul viso.
Taglio l’angolo del tempo.
Là, porto il mio grido.
Quando la notte erede torna a passi felpati,
rimango sempre lo stesso bambino rannicchiato.
* * *
Hanno rubato l’ombra e la bianchezza dell’ombra.
Ora, sono divenuti corvi che rasentano il campo.
Ed io li vedo, sotto i loro fremiti neri, quando volteggiano
al sole, più inanellati di quanto si possa pensare.
* * *
Uomo sette volte perduto, quando ti capiterà di chiedere
la tua strada alla montagna, di fare tua la storia di una stella del Pastore
che svanisce fra le tue mani per incantarti ?
Inventa i tuoi tordi. Ormeggia i tuoi soli
La ragione sassosa del Drac
è più nuda di tutte le tue seti.
* * *
Felici i bambini di neve che si sono fatti pupazzi.
Nell’angolo morto delle luci, si fischiano l’un l’altro
per un ramo ove si disegna un braccio,
due sassi grossi per vedere coi loro soli occhi,
una corteccia che si farà cappello.
Nella schiarita di qualche parola,
li mettete allo scoperto, figlioli prodighi
che non vogliono più andarsene,
finchè il giorno non si sìa sciolto tutto sulle loro mani.
Allora, e senza aspettare, conoscendo già tutto
del tempo incolto o sconnesso,
firmano il momento stravagante
che li ha messi al mondo.
* * *
Solo,
quella potrebbe essere la pietra da condividere.
Il soffio
senza ritorno del vento,
il primo alloggio del sole
in cima,
a vestire di rosa la montagna.
Oppure solo,
la transparenza di un passo perduto e ritrovato
tutto bianco sul nero
come una vocale intermittente.
Aspetto quell’alba
aggiunta alla pietra,
estesa ad ognuno,
universale.
Aspetto quest’albero,
gemello del fuoco,
che sogna sul guanciale in prestito
dal giorno sepolto della mia nascita.
* * *
Degli uccelli svegliano I rami,
si fanno un battesimo delle loro linfe
come se, avendo smarrito il cammino del ritorno,
ci incontrassimo per la prima volta.
Sino agli estremi,
andiamo in questo stupore
* * *
Ancora, qualche altro minuto, la notte amica
mischierà la neve al nostro fiato.
Per dire che, esattamente, di ciò che non so ?
Perché sempre, mi porta nella sua bottega per mostrarmi
i suoi arnesi dimenticati : la pelle-tamburo che risuona del mondo,
le parole d’ordine nelle loro migrazioni di luce, i frantumi di specchio
che si spazientiscono di fronte al firmamento, briciole di pane
per affamare l’idea della morte, il corpo di un lume che brucia,
brucia ancora.
* * *
I quaderni tremano contro il bianco della scrittura.
Conoscono la stagione che non si annuncia.
Posti su un lembo di neve, tornano di colpo al loro
umore di bivacco.
È così che li preferisco, con la paura che si posa
più leggera sul paese muto delle cose.
I miei quaderni hanno gallerie sotterranee dal nord al sud,
dall’est all’ovest. Sotto il sole che filtra, canta il loro ritornello a spirale
che ogni volta di nuovo impariamo.
L’attimo panico si è messo in stato di allarme,
l’uomo che un minuto prima regnava sui suoi pensieri
si sgualcisce nel disordine degli abeti.
Per lui, la condizione di un insetto sconvolto.
E la poca frutta secca non potrà farci nulla.
Più tardi.
Al tavolo di pietra, un guanto posato talvolta basta
per trovare di nuovo il cielo.
* * *
E la valanga.
La valanga era il nome di una cavalla che se ne torna
a casa di galoppo.
* * *
La neve è detta.
La neve non riprenderà nulla.
Vi ha soltanto cambiato di posto.
Ove la doppia vita del mondo si trattiene infossata,
scivola ora sull’uomo,
sospesa sul tetto della sua casa.
Sarà scaltro colui che la vedrà passato l’inverno,
proseguendo in sè la sua vita,
mattino di luna piena che sta per sorgere.
Continua a leggere "Il detto della neve, poemetto di Dominique Sorrente"
|