Domenica, 9 gennaio 2011
1 . Gennaio, forse
Neve e sale sono sentimenti dilatati pensieri pensati per pensare con prudenza a gesti intimi e alieni di un diagramma che la vita offre appena sconsacrato in giochi 0 enigmi in segni rosicchiati nella zona sensibile della cute rugosa del corpo congelato nell'apposito ghiaccio parlo del suo corpo sbagliato e provocante neve e sale sono un convincimento insultante autolesionista insanguinato irritante ma la pigmentazione è leggera e posata strofinata con dita fredde e unghie corte sbadatamente colpevoli di un po’ di morte non per questo insincere o incapaci anzi tenaci anche se troppo meccaniche troppo umide bagnate oppure rugiadose nel bianco della neve e del sale accecante che il tempo nel frattempo può accumulare intenerito per le vere verità che verranno in gennaio che è il primo mese dell’anno
2. Febbraio, forse
Gli alberi sono stati concepiti nella seta della memoria satura di un odio sufliciente alla sonnolenza della nitida segregazione qualcosa di poco tagliente e di abbandonato a immagini sbiadite di foto sovresposte parlo delle sue foto ottuse ed eloquenti bandiere consumate di antiche riluttanze per vanità capricci oscenità di buon gusto tra gli alberi sospesi in rami articolati ormai spenti in un incendio soffocato lattiginoso nella corruzione trasparente parlo dell’ultima foto queila più decente quasi demenzione molto più che innocente scentrata rispetto al suo nucleo visibile inesplorato ingrato felice inesorabile intenerito per le vere verita che verranno in febbraio il secondo mese dell'anno
3. Marzo, forse
Acqua e pioggia sono avvenimenti meschini avvelenamenti sgraziati da tardo pomeriggio cadono si muovono gemono irrazionalmente con spiegazioni inspiegabili e falsi scopi qualcosa di erotico ma tiepido e strangolato parlo di questo tepore maligno e sfebbrato in un cinema deserto con poche coppie isolate nell‘acqua e nella pioggia carnose e profumate da un coperto sentore di erbe e di placenta la tentazione più vaga sarebbe annusarle costringerle in rima magari accumularle per la fame insaziabile che corrode le foglie il vasto ticchettio che prepara le doglie del datario di gomma timido e incestuoso parlo delle date perdute non di quelle mancate sporgenti dai chiodi flssi del calendario e la sua dimensione giuridica da bassorilievo pronta all’accusa ma con un certo sollievo parlo del sollievo inquietante del rospo della veemenza aritmetica dei suoi versi brevi nel prato in parte sommerso dall’acqua perchè sapevamo che era un giorno di pioggia intenerito per le vere verità che verranno in marzo che è il terzo mese dell’anno
4. Aprile, forse
Il sole è fatto di molti misteriosi concetti avvenimenti pusillanimi con fiacca rotazione dicono non dicono però pretendono attenzione qualcosa di marcio di un po’ slabbrato o di rosa un tenue colore applicato alla nostra grettezza con pennellate leggere stremate dal caldo parlo del caldo che si corrompe e entusiasma di questo calore magico e nero che non si salva innocuamente servile ai fini dell'organismo intenerito per le vere verità che verranno in aprile che è il quarto mese dell'anno
5, Maggio, forse
Andante moderato con un anello di strazio o di respiro ansante registrato sul nastro che gira nella macchina posata su un letto qualcosa di grigio e sconvolto mai pronunciato nell’urto dei denti con la lingua impastata parlo del suo linguaggio modesto e indisponente pesante come un sasso tra il cuscino e la mente per congiunzione sinapsi 0 fato travolgente con sincronica incuria forse troppo leggera adesso per fortuna molto meglio interpretata parlo della sua lingua cosl docile e tarata dalle neutre querimonie cui ci siamo abituati noi seduti in ginocchio per voglia di possesso abbagliati e schiacciati in finzione servile e un esperto conferma non è poi cosi vile non è liturgico o sacro non c’è niente di male e un semplice riflesso intagliato nel vetro intenerito per le vere verità che verranno in maggio che è il quinto mese dell’anno
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L'immagine è tratta da anteremedizioni.it Altre cose di Adriano Spatola qui e qui
Giovedì, 20 dicembre 2007
Torno su Adriano Spatola, nel tentativo di dare un'idea un pò più ampia delle sue attività poetiche, pubblicando qui (file pdf) quattro "zeroglifici" non presenti tra quelli reperibili in rete perchè digitalizzati direttamente dalla rivista Tam Tam, che Spatola fondò con Giulia Niccolai nel 1972. Qui la parola (che c'è ancora, da qualche parte, forse in qualche improbabile recesso della mente del "lettore") viene "affettata" ma non per domandarne la ricomposizione al fruitore, che sarebbe un'irrisione, bensì per innescare una "disseminazione del senso" quasi di stampo decostruzionista. Dice S. Guglielmin: "Zeroglyphics di A. Spatola uscì nel 1966, per la The Red Hill Press di Los Angeles. I caratteri sacri degli antichi, la loro capacità di decifrare i segni del divino nel presente, viene meno. Nella civiltà della comunicazione di massa, il segno ha infatti un valore metafisico uguale a zero, essendo soltanto superficie, residuo di una forma ch'era stata sostanza, da cui ricavare altri, infiniti, residui. Residui di residui, scarti degli scarti: zeroglifici, appunto. (da Blanc de ta nuque). E dice Spatola, in una dichiarazione di poetica comparsa nel libro Zeroglifico (Sampietro, Bologna 1966): "L’obbiettivo della poesia concreta è la ristrutturazione sistematica dei metodi di creazione poetica, mediante la ricerca sperimentale di nuove forme di disponibilità eteronoma del fare poetico e la costruzione di modelli di comportamento inediti all’interno dell’attività creativa. Le esperienze svolte nell’ambito della poesia concreta sono caratterizzate dalla provocazione controllata di aperture semantiche a largo raggio, i cui risultati si presentano come dati preliminari di operazioni successive intese all’analisi delle possibilità “attive” della parola, sulla base del postulato che la parola non è l’oggetto amorfo ma il centro vitale di forze in continua trasformazione. La poesia concreta (effetto ottico + valore semantico) muovendosi nel più vasto contesto della poesia sperimentale analizza le tecniche di interazione tra i vari livelli di significato, agendo per mezzo di metamorfosi morfologiche, fonologiche o sintattiche, e di declinazioni o sostituzioni sillabiche. Arte essenzialmente tecnica, la poesia concreta è poesia razionale, fondata non più soltanto sulle leggi estetiche ma anche su quelle statistiche, e rappresenta un passo decisivo verso il rinnovamento radicale dell’immaginazione." (da Tellusfolio).
Consiglio anche di dare un'occhiata a "Il mondo è stato riconsiderato", sito antologia a cura di studenti e docenti di italiano delle Università ungheresi, in cui è possibile reperire parecchie cose interessanti sulla poesia d'avanguardia, concreta, sonora, lineare e visiva.
Giovedì, 6 dicembre 2007
Scelta, ammetto, parziale e che non può rendere conto della vasta gamma espressiva, di modi e di mezzi, di Adriano Spatola. Parziale e in parte acritica, se volete, proprio perchè dettata da quella "preferenza" che è diritto del semplice lettore, come in questo caso. Alfiere della poesia "totale" intesa in tutte le sue forme e oltre, della poesia in altre parole semplicemente totalmente "vissuta" come arte e mestiere in senso quasi rinascimentale, Spatola ha percorso tutti o quasi i media che avesse all'epoca a portata di mano, scrittura, poesia visiva, sonora, performance, contaminazioni e incroci con la musica, collages di parole, voce recitante, e affascina l'idea, come mi diceva pochi giorni fa un amico, di quello che avrebbe potuto fare con mezzi come il web, il virtuale e la multimedialità che tutti hanno oggi a disposizione senza magari sapere che farne. Certo molti lavori, analogamente a molte espressioni dell'arte moderna d'avanguardia e sperimentale, sono difficili da proteggere e salvare, proprio per la loro intrinseca "volatilità", ma anche perchè, come notava qualcuno, non si è mai formato un lettore "nuovo" quanto la nuova poesia. Ma forse sono proprio questi lavori che più dimostrano, a mio avviso, la convinzione di Spatola di una poesia capace di trascendere sè stessa, di liberarsi di certi codici linguistici e comunicativi. Eppure anche nella poesia scritta, come questi testi tratti da "Diversi accorgimenti" (che tuttavia andrebbero almeno letti a voce alta, recitati, urlati), ce n'è abbastanza di Spatola del suo pensare e ripensare, anche ritornando sui suoi passi, la poesia. Dice Luciano Anceschi di essi: "Tutte le esperienze fatte, dalle prime e giovanili post-ermetiche, al parasurrealismo, alla nuova avanguardia, alla visual poetry...sono come sedimentate, e messe tra parentesi, se non proprio rimosse. E una poesia fatta per esorcizzare la disperazione della poesia sta prendendo figura e corpo in un tentativo non involutivo di ricostruzione, di ritrovamento, di rinnovazione delle strutture. (...) Adriano ha avuto la forza di ricominciare nel deserto, di ritrovare gli elementi costitutivi o semplici di un discorso attivo, e ha ridato fiato a strumenti delicati che sembravano costretti per sempre al museo. (...) Rinasce liberamente la sintassi, si rinnovano alle radici i processi d'associazione: la realtà si è fatta diversa, con un nuovo, laico, aperto, non concluso mistero; e così la poesia ritrova, alla fine, sè stessa in un senso non consueto, e con fertilissima estraniazione rinasce come dalle ceneri, e scopre una segreta, indiretta, non pacifica, e non usata possibilità di messaggio". Anceschi coglie perfettamente il senso di questi testi. In altre parole coglie la capacità del vero poeta di riconsiderare senza sosta il proprio lavoro, di creare una sua propria tradizione e di ri-creare da essa in maniera innovativa, investigando un "senso non consueto" della realtà (g.c.).
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