Gabriella Musetti - La manutenzione dei sentimenti - Samuele Editore, 2015
"Una poesia che dice di sentimenti senza mai scadere nel sentimentale",
esordisce Rossella Tempesta nella prefazione. Ed è vero, lo dico
subito, per quanto "sentimenti", "sentimentale" e via discorrendo siano
tutte parole che rischiano di essere etichette, fuorviando il ben
intenzionato lettore.
Forse per questo incomincerei proprio dalla fine, dall'ultimo testo, che ci torna utile per circoscrivere questo libro di Gabriella"> Musetti:
l’io si fa da parte, si ritrae. modo indiretto di osservare,
di lato. la traiettoria sbieca mette a fuoco immagini non
ortogonali, lascia spazio a ciò che accade
indipendentemente da noi, non si sovrappone. osserva
i cambiamenti, prende parte – quando vale.
nell’attimo sospeso, a volte, la bellezza
In esergo, un frammento di Emily Dickinson, il 624, che appare - come uno specchio - in lingua originale all'inizio, e chiude il cerchio:
Degli attimi fuggenti è fatto il sempre -
non è un tempo diverso -
se non per l’infinità -
o l’ampiezza della casa -
E' la precisa descrizione della curvatura ellittica della silloge,
della sua parabola, e della parabola della vita a cui il libro si
sovrappone. E' quello che avviene. L'io
si fa da parte - direi - invecchiando, molto semplicemente. Giunge
progressivamente alla convinzione, o alla maturazione, che il punto di
vista è quello laterale, defilato, da cui osservare con una buona dose
di disillusione e di consapevolezza "ciò che accade indipendentemente da
noi", all'interno di un tempo "infinito" (che quindi non ci appartiene
ma ci possiede) o nello spazio conchiuso della "casa", intesa sotto
molti e importanti significati di identità, di "noi", di appartenenza a
quella vita ivi vissuta (e non serve qui rammentare quanto valesse la
parola "home" per la Dickinson). E' in questo percorso che i
"sentimenti" (e bisogna intendere allora questo termine in un senso
molto ampio) progressivamente assumono consistenze, spessori, colori
diversi, come qualcosa che nel tempo sprofonda dall'epidermide a una
misteriosa e indefinita sede dell'anima. In altre parole, questo ultimo
testo è la scaletta della silloge, il suo resumé e la sua epigrafe.
Scritto in più anni, come mi dice Gabriella, il libro ripercorre in
effetti eventi che si sono succeduti nel corso del tempo, non solo come
ricordi o registrazioni emozionali, ma anche come successive
sublimazioni poetiche, una rilettura che arrotonda gli spigoli dove ce
ne sono, affina le percezioni dell'avvenuto (perchè effettivamente i
sentimenti sono questo, qualcosa di più persistente di una semplice
emozione), svolge in sostanza una funzione di pietas e di assoluzione di
sé e degli altri. Il sentimento, a differenza della passione, ha una
sua giustificazione e quelle ragioni che la ragione non
necessariamente conosce, richiamando Pascal. Ecco quindi, io credo, il
perché di questo bel titolo: la cura del sentimento, il "tenerlo in
mano", non come attimo fuggente come dice la Dickinson, ma come risorsa,
elemento vitale che necessita, anche artisticamente, di una messa a
fuoco, per non dissiparlo. Intendendo sempre "sentimento", ripeto, in
senso non meramente affettivo, ma anche ad esempio nel senso in cui lo
intendeva Ungaretti, come coscienza - in quel caso - del tempo (e del
resto non c'è sentimento senza la sua inclusione nel flusso temporale,
nella "storia" individuale).
Il libro parte dalla giovinezza e arriva ad una maturità pensosa e
dolorante, esordisce con una prima sezione del libro ("Città") nella
quale Musetti ricorda i passaggi di città in città insieme al compagno,
le basi di una vita in comune quando iniziava "una vicenda ancora
sconosciuta", passa attraverso la malattia (la morte?) nella sezione
"Passaggi ibridati", giunge nelle successive ad una meditazione
solitaria e intensa che a mio avviso costituisce la parte migliore del
libro, nella quale appunto "l'io si fa da parte, si ritrae" e forse
proprio per questo "la confessione pubblica di questioni private [che] è
parola che rasenta l’atto spudorato e chiede energia sufficiente" e il
sentire - che per sua natura è soggettivo - raggiungono una dimensione
più universale, di tutti, proprio meno "privata".
E' questa la parabola, anche creativa, a cui alludevo in precedenza,
che segna una continuità e che trasporta la raccolta dalla giovanile
superficie del corpo, di una felicità anche tattile (come ricorda
Tempesta), alla profondità riflessiva che guarda in faccia (e lo fa con
una intensa scrittura in testi molto belli) non solo la morte ("una
partenza è certa lì proprio fissata"), la solitudine ma anche un
bilancio complessivo e senza finzioni ("si è quel che si è / non c’è
remissione o scampo / saperlo non è facile...") e dove le "memorie" sono
ormai trasfigurate, ridotte ad un nucleo essenziale ed esistenziale che
parla a tutti i lettori. (g. cerrai)