Gabriele Galloni - Creatura breve - Edizioni Ensemble, 2018
Sarò breve. Galloni è già stato ampiamente recensito, forse il più
recensito degli ultimi tempi, senza contare la sua presenza in rete e sui
social, che ha assicurato una generosa offerta di estratti e riproposte dei
suoi scritti. Perciò quello che mi interessa in questo momento è limitarmi
a registrare qui alcuni appunti di lettura di questo suo Creatura breve. La brevità di questa creatura, intesa come opera,
è la brevità della maggior parte dei suoi testi, alcuni dei quali sono al
limite dell'aforisma pro-verbiale (v. più avanti) o del frammento in sé
consistente, "chiuso", che cioè non mi pare una tessera di qualcosa d'altro
se non di una visione appunto frazionaria e forse impressionista di quello
che è a portata di mano (o del mondo, se vogliamo), di una realtà come
stimolo (non proprio come ispirazione) di sintetiche
considerazioni esistenziali (*). La sintesi è tuttavia uno dei pregi della
scrittura di Galloni, poiché non è soltanto semplificazione del dettato ma
anche condensazione di pensiero, o di un grumo di riflessione sull'
"incidente" (con quanto di "occasionale" questo comporta). Una buona
scrittura, in breve, nutrita di parecchie letture soprattutto del Novecento
italiano, ben filtrate, sia detto a suo merito. Come a suo merito va
ascritta la scelta stilistica, complessiva e senza patemi d'animo, della
modernizzazione di accenti lirici e/o elegiaci (come ho notato anche
nell'altro suo libro In che luce cadranno, che da quel poco che ho
letto mi pare senza alcun dubbio migliore di questo), giocata molto sulla
sottrazione del superfluo verbale, tanto per fare un esempio. Con poeti
come Galloni è inutile e peregrina, se non truista, qualsiasi iscrizione
d'ufficio al "tradizionale". Semplicemente così è. Galloni appartiene a
quel gruppo di giovani autori (ce ne sono altri e molto diversi da lui) in
cerca di focalizzazione (ma lui è già parecchio maturo) di una realtà che è
vasta ma che appare comunque governabile, se la si prende in dosi
omeopatiche: se la si guarda in superficie, come un lago relativamente
calmo; se la si analizza con mezzi rinnovati ma collaudati; se la si vive
con un po' di ironia e di sensualità, o con il paradosso (nel senso di
contraddizione del comune) e con quella distanza, anche anagrafica, dal
"naufragio" di cui parla Hans Blumenberg citando Lucrezio. Inutile cercarvi
un senso del tragico, non può esserci, almeno in questo tipo di poesia.
Sarebbe semplice, per i testi più brevi, parlare anche nel caso di Galloni
di piccole epifanie (v. ad es. QUI o QUI o QUI). In realtà mi
pare che qui non ci sia proprio "rivelazione" e decifrazione poetica di
essa, c'è piuttosto il poeta che sembra defilato come "io" (c'è spesso una
terza persona singolare, e al passato) ma che ci fa sapere tra le righe che
è lui ad illuminare e in qualche modo nobilitare quella parcella di realtà
con i suoi versi. Nei quali non posso fare a meno di rinvenire, per quanto
molto volatile, un elemento narcisistico, una specie di ammicco, a sé e a
chi legge, un "gesto" poetico ben scritto, non c'è dubbio, ma che secondo
me ha ancora bisogno di un supplemento di indagine (soprattutto da parte
dell'autore stesso sul suo materiale poetico).La sintesi del reale per
frammentazione, se così si può dire per ossimoro, è poi un tratto di molta
poesia attuale, in sé naturalmente rapsodica, con cui bisogna fare i conti,
accettandolo o rigettandolo con qualche motivazione.
La creatura breve invece intesa come simbolo è l'uomo medesimo. Come si
legge in Pro Verbis #4 "E saremo l’Immagine dell’uomo. / Non la
creatura breve, ma la traccia" (questo l'intero testo). Inversione dei
ruoli, non si può essere a immagine e somiglianza di nessun dio ma solo di
sé stessi, in sé o come traccia memoriale di uomini. E' uno dei temi di
Galloni, trattato in maniera del tutto agnostica, anzi se c'è una presenza
"mistica" è un angelo irrumante nella bocca di qualcuno, e va bene così
perché anche in questo consiste l'uomo ad immagine d'uomo, e non credo che
ci sia nessun borghese che si lasci épater per questo. Un altro
tema, importante e correlato, è quello della morte e dei morti - intesi
come categoria quasi filosofica ipostatizzante, o come simbolo dialogico in
conversari o sibilline parabole tra l'onirico e il fantastico - presente
soprattutto e con maggiore coerenza, mi pare, in In che luce cadranno. La morte è un topos in poesia e da quel che
ricordo Gabriele ne ha qualche esperienza diretta, per via delle sue
interviste a malati terminali pubblicate su Pangea. Un materiale
importante, quindi, e doloroso, che Galloni sceglie di "distanziare" con
l'ironia, di declassare, almeno in questo libro, a un territorio parallelo
popolato di deuteragonisti colloquiali per la sua particolare visione del
mondo. Il che ha sicuramente un certo interesse, soprattutto per l'abile
manipolazione, la resa scrittoria di queste "fabule", forse la parte più
sostanziosa di questo piccolo libro.
Insomma, se la domanda è: è bravo Galloni? la risposta è sì, con riserva.
Per quanto mi riguarda un lavoro che avrebbe potuto apparire più organico,
più conclusivo, perfino più azzardato. Ma anch'io, come mi pare tutti,
credo che Galloni abbia la stoffa, e anche il carattere, per farsi valere. (g. cerrai)
(*) dopo aver scritto queste parole ho trovato questa interessante - ma per
un certo verso ovvia - risposta, tratta da un'intervista di Michele
Paoletti al poeta (v.
QUI
):
Come nascono le tue poesie?
Di solito parto da un’immagine, un fotogramma di vicenda, una situazione –
la narrativa non mi abbandona mai. Cerco di misurare e limare quello che
voglio dire; lo costringo nella melodia della metrica, che mi permette di
consumare il consumabile nel modo migliore possibile – cioè puntando
all’essenziale e senza sprechi linguistici. Altre volte invece mi visita
improvviso un verso, undici sillabe perfette, e da lì continuo sviluppando
o riducendo, mutilando. Sono molto puntiglioso in questo.