"Parole per il nuovo anno": "Tradizione e talento individuale” di T. S. Eliot
di Geoffrey G. O'Brien (*)
La memoria rigetta e dissecca
Un ammasso di cose distorte;
Un ramo curvo sopra la spiaggia
Tutto consunto e polito
Come se il mondo portasse in superficie
Il segreto del suo scheletro,
Rigido e bianco.
“Rapsodia su una notte ventosa”
...c’è solo un momento
Trascurato, il momento dentro e fuori del tempo,
L’attimo di distrazione, perso in un raggio di sole,
Il timo selvatico non visto, o il lampeggiare dell’inverno
O la cascata, o musica così profondamente ascoltata
Che non è udita affatto, ma tu sei la musica
Finché la musica perdura.
“The Dry Salvages”
“Tradizione e talento individuale” di T.S. Eliot fu pubblicato per la prima volta nella rivista “The Egoist” del Settembre-Dicembre 1919. Il suo immediato contesto culturale includeva parecchie altre significative preoccupazioni per il passato: F.T. Marinetti e il suo “Manifesto del futurismo” (1909), la pubblicazione seriale de “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust (1913-1927), e il “Manifesto Dada” di Tristan Tzara (1918). Apparendo in un momento di comunità di avanguardia, di manifesti che annunciavano rotture decisive con il passato, il saggio di Eliot dichiarava lo scrittore contemporaneo come membro del collettivo più grande di tutti, quello dei morti. Ora privi di corpo, i morti sono presenti come passato vivente della letteratura (e dell’espressione in generale). Come Tzara, e diversamente da Marinetti, Eliot non vedeva progressi in questa storia della letteratura; essa non migliora, il suo corpo disincarnato cresce e cambia soltanto: Comunque, le variazioni che ne conseguono, che Tzara banalizza come “questioni di moda prive di interesse”, sono per Eliot la vera condizione del “talento” letterario. L’ “insieme della letteratura europea da Omero” è un archivio multilingue istitutivo del presente momento e dei suoi autori. Il “talento” nel titolo del saggio è la abilità di ricombinare gli elementi di questo archivio così da produrre una nuova relazione con esso, una che complichi tutte le altre esistenti combinazioni.
In questo senso, la letteratura è molto simile all’alfabeto da cui dipende - un assortimento di elementi il cui arbitrario, storico ordine può essere segmentato, riordinato, e ripetuto per produrre parole e un testo da queste parole. Il nuovo lavoro è espresso attraverso di esse ed esse attraverso di lui; essi sono il medium l’uno delle altre. “Tradizione” e “talento individuale” sono sinonimi per Eliot, i momenti di una reciproca costituzione, due aspetti della stessa sostanza. La parola chiave “mezzo” è essa stessa un esempio di questa fungibilità, dispiegata diverse volte nel saggio in entrambi i sensi: essa indica l’artista, il cui “senso storico” gli permette di funzionare come una conduttura per il passato, e il passato stesso, il mezzo o terreno in cui sia il poeta che il suo testo sono collocati. Il mezzo è indistinguibile dalla mente dell’artista ma in nessun modo è identico alla personalità dell’artista. Eliot rappresenta quella mente come un archivio poetico, un “ricettacolo” per immagazzinare “sentimenti, frasi, immagini” che “rimangono là” fino a quando vengono combinati per formare un nuovo composto. L’esperienza del linguaggio produce più linguaggio.
Questo accreditamento dello scrittore-come-mezzo ovvia all’idea del testo come trascrizione di sentimenti personali (da qui la descrizione eliotiana dell’arte come una “fuga dalla personalità”). I sentimenti sono traslati con lunghe storie, convenzioni condivise piuttosto che dati soggettivi, e, considerati come forme più che come contenuti, sono solo una formale caratterizzazione tra tante (prosodia, lessico, genere, ecc.). Invece della personalità dell’artista, una “emozione artistica” presenta sé stessa come e attraverso la piena relazione sonora e semantica del testo con tutti gli altri testi. L’artista è il mezzo per questo messaggio bidirezionale e il messaggio è il mezzo stesso, l’espressione dei materiali letterari e delle condizioni della sua produzione.
Il “di” nella frase eliotiana “una coscienza del passato” funziona per il saggio abbastanza quanto questo “mezzo” – è un genitivo pieno (raro), che esprime entrambi i sensi oggettivo e soggettivo del genitivo: è la coscienza del passato o la presente coscienza del passato del poeta? La costruzione piena è la risposta; c’è per Eliot, pochissima differenza tra queste forme di appartenenza – passato e presente, sé e parola, letteratura contemporanea e ciò che la precede sono “di” l’un l’altro. Molto presto nel saggio Eliot collega la critica con l’autonomo, se non involontario, atto di respirare, dichiarandola “come inevitabile”. E’ importante che egli la colleghi con il circolare, o bidirezionale, processo della respirazione piuttosto che l’espressione transitiva della voce; per Eliot, un coinvolgimento con la letteratura è un processo di circolazione (il respiro) piuttosto che di produzione originale (il parlare). Come il respiro, questo scontro avviene sotto la soglia di una azione cosciente e quindi è inevitabile, ancora, quando questo coinvolgimento accade come poesia (un’altra forma di critica) esso può anche essere descritto come una “fuga dalla personalità”. Scrivere in presenza del passato è, allora, una fuga dentro l’inevitabile, entro il costante processo di portare dentro e poi rimettere in circolazione la tradizione, inspirare ed espirare.
Come possono la fuga e la sua impossibilità essere simultanei? La risposta si trova in un altro dei famosi termini del saggio, “il senso storico”. Potremmo ridescrivere questo senso come una autoconsapevolezza circa una involontaria relazione con il passato di espressioni culturali. Il “gran lavoro” di acquisire questo senso storico, che Eliot lascia nel vago, sarebbe il giungere a una sempre più grande, più specifica, e più elaborata coscienza della inevitabile ritrasmissione dell’archivio, e della consimilare impotenza dell’archivio di non cambiare allorquando esso assorbe in sé nuovi contributi, nuove sistemazioni delle sue precedenti convenzioni. Detto in altro modo, questo senso storico è equivalente a rilevare e poi prendere controllo della respirazione, rendendo l’involontario volontario. E’ per questa ragione che il “senso storico” rimarca di nuovo l’oscillazione del pieno genitivo – è questo il senso della storia o il senso storicizzato? Tradizione e talento individuale sono sinonimi perché essi sono entrambi termini dell’agire del lavoro letterario.
Per dare allo stesso senso storico qualche background, dietro sia Eliot che Proust rimane la teoria de “la durée” del fenomenologo Henri Bergson (Eliot era andato ad una serie di sue letture nel 1911). La descrizione di Bergson del tempo come durata, una singola indivisibile sostanza, interamente e continuamente presente, piuttosto che una serie di momenti discreti, rafforza dal basso l’idea proustiana di “tempo riconquistato” e la strategica indifferenziazione di Eliot tra artista e archivio - il passato e il presente sono caratteristiche contigue dell’Ego quando esso “si lascia vivere, quando si frena dal separare il suo presente stato dai suoi stati precedenti” (1). “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust potrebbe essere riassunto come l’epica volontaria di memoria involontaria, un tentativo di investigare e governare i dettagli di una spontanea esperienza psichica, di una non programmata irruzione del passato nel presente. Per Eliot, il cui campo nel suo saggio non è la mente ma la letteratura, ogni testo è una madeleine.
La “Terra desolata” si pone come la ars poetica di questo stile impersonale: “sensazioni” personali sono schierate in un inesorabile ambiente citazionale tale che esse assumono la stessa qualità di citazioni, nel mentre le citazioni si spostano verso la condizione di parola originale. Naturalmente entrambe le tendenze sono evidenti da ogni scrittura, anche la scrittura confessionale, è una questione di ricombinare storie di parole, mentre le citazioni vengono rinnovate, o rese diverse, con l’ingresso in nuovi contesti. Ogni discorso è citazione, anche se la fonte è plurale e di paternità anonima; la letteratura è la continua confessione di sé dell’archivio. La “Terra desolata” è una confessione di quella confessione, una selettiva genealogia del Canone occidentale il cui passato e presente sono collaboratori l’un l’altro necessitati - l’Amleto di Shakespeare è basato su un lavoro disperso di Thomas Kyd e su La Tragedia Spagnola, Daniel Arnaut parla Provenzale nella Divina Commedia di Dante (entrambi poi sono citati contemporaneamente alla fine del poema eliotiano, essi sono l’un l’altro respiro testuale e ciò che il poema respira - citare "Poi s'ascose nel foco che gli affina" è citare insieme Arnaut, Dante e Eliot).
Questa collaborazione impersonale può perfino estendersi fino al presente “di” la “Terra desolata”, il cui assortimento di allusioni fu reso ancor più selettivo dalle significative redazioni di Ezra Pound. Diversamente dal leggere e scrivere letteratura, certi registri dell’esperienza nel poema, quelli in cui il senso storico può non essere sviluppato (il sesso, la guerra, la guerra dei sessi) conducono invece al silenzio e alla inerte ripetizione (“Parlami. Perché non parli mai. Parlami”) o a una ripetizione incomprensibile (“Tereu”). Queste modalità hanno per lo meno una storia lunga quanto la letteratura e operano altresì per mezzo di un apparato di convenzioni, ma per Eliot l’elemento di incarnazione sia dell’oggetto che del soggetto del desiderio e della violenza sembra meno suscettibile di auto consapevolezza, per una volontaria esperienza dell’involontario, del flessibile, riconfigurabile corpo della letteratura, che è sempre fertile e molto più duro da uccidere. Come corpo, uno è forzato ad interagire solo con il resto dei recalcitranti corpi che gli sono intorno nel presente; come poeta, i morti, sebbene indisponibili ai sensi, sono il presente veicolo di senso.
Il saggio di Eliot e l’esempio de “La terra desolata” pongono questo suo precoce pensiero in prossimità con le recenti poetiche e i loro praticanti, da John Ashbery a quella non ben definita consociazione di poeti compresa sotto la rubrica della Language Poetry. L’enfasi posta da Eliot sulla differenza tra i sentimenti, le sensazioni e la “emozione dell’arte” e sul passato della letteratura come suo presente materiale sono entrambi essenzialmente principi costruttivisti. L’inventario di Ashbery del presente e del recente passato dell’uso del linguaggio, una “terra desolata” di slang e cultura pop, e i suoi rapidi spostamenti tra centri soggettivi cospira nello sconfiggere la possibilità di localizzare una personalità unitaria; la sua abilità, o quella del poema, di dimenticare il suo soggetto da un verso all’altro è, paradossalmente, il suo metodo di ricordare così tante caratteristiche dell’idioma americano, di produrre nuove interazioni tra esse, di schierare un senso della storia che facilmente mette insieme Andrew Marvell e Raymond Roussel. Allo stesso modo, la cosiddetta “Nuova Proposizione” della Language Poetry, specialmente quando usata per rinvigorire l’autobiografia, come in “My Life” di Lyn Hejinian o “Albany” di Ron Silliman, procede citando e ricorrendo a molte fonti, pubbliche e private, la relazione sillogistica tra i quali è stata depotenziata; le proposizioni sono correlate in virtù dell’apparire insieme e sullo stesso terreno, un terreno significativo che può essere raffigurato come una vita (“My life”) o un luogo (“Albany”). Essi sono archivi di proposizioni, frasi. In entrambi i casi il poema si installa non come una fuga dalla personalità e dalla psicologia, ma come una inevitabile registrazione di una esperienza di linguaggio e forza, della testualizzazione in corso del soggetto e della sua dispersione nel tempo e nelle categorie. Quando Hejinian discute di Gertrude Stein suona straordinariamente come Eliot: “la scoperta che il linguaggio è uno stato della realtà esso stesso e non un mezzo mediatore – che è possibile e anche auspicabile che uno possa avere un confronto con una frase che è altrettanto significante di un confronto con un albero, una sedia, una pigna, un cane, un vescovo, un piano, una vigna, una porta, o un penny.”(2). Naturalmente il nostro confronto qui è con “albero”, “sedia”, “pigna”; l’ordine della realtà di Hejinian è uno solo perché l’archivio non è un mezzo mediatore ma la costruzione materiale dell’esperienza. Come una antica incarnazione di Eliot (George) lo colloca in “Middlemarch”: “I nostri atti viaggiano con noi fin da lontano / e cosa siamo stati ci fa che cosa siamo.” La rima tra tradizione e talento non è sempre così udibile. Più spesso, come T.S. Eliot presenta sé stesso in “The The Dry Salvages”: “non è udita affatto, ma tu sei la musica / Finché la musica perdura.”
(1)Bergson, Henri. Time and Free Will. (Massachusetts: F. L. Pogson, 1910), p. 100.
(2)Hejinian, Lyn. "Two Stein Talks" in The Language of Inquiry. (Berkeley: University of California Press, 2000) p.90.
N.d.T.: La traduzione è mia, con l’eccezione del brano tratto da “Rapsodia su una notte ventosa” che è di Roberto Sanesi. I termini “coscienza” e “consapevolezza” sono a mio avviso in alcuni passi interscambiabili, tenendo tuttavia sempre presente l’accezione bergsoniana del termine. “The Dry Salvages” è il terzo dei “Quattro quartetti”, il cui titolo generalmente non viene tradotto dai curatori, trattandosi di un toponimo di probabile derivazione francese (les trois sauvages, tre scogli al largo del Massachusetts). Le note non sono state tradotte per l’impossibilità di dare riferimenti precisi su eventuali traduzioni italiane, ma comunque l’opera di Bergson citata è il notissimo “Saggio sui dati immediati della coscienza” del 1889. L’ultimo paragrafo dell’articolo contiene riferimenti ad autori e a realtà poetiche americane poco noti in Italia, ma è comunque interessante sotto molti aspetti. Il saggio di Eliot oggetto del presente articolo è reperibile in Il bosco sacro. Saggi sulla poesia e la critica, Bompiani, 2003 (Giacomo Cerrai)
(*) Geoffrey G. O'Brien è un poeta e scrittore Americano, inedito in Italia. Tra i suoi libri, per i quali ha ricevuto numerosi riconoscimenti, The Guns and Flags Project (University of California Press, 2002), Green and Gray (UC Press, 2007). Ha studiato nelle Università di Harvard e dello Iowa. Attualmente insegna alla Università della California a Berkeley
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