Giovedì, 11 febbraio 2010
Dalle
mie parti (Toscana, Valle dell'Arno, piana di Pisa) si chiamava
"posato" il pane di un giorno o due prima, quando stando lì nella
credenza (la madia) perdeva un pò dell'umidità eccessiva di cui lo caricano i
fornai per fare peso. A me piace il pane posato, i lieviti e le farine con cui
è impastato acquistano aromi più maturi, e anche il pane industriale - quando è
posato - assomiglia un pò a quello dei contadini che durava quindici giorni.
A
volte mi succede anche con i libri che mi mandano gli amici, che il tempo o le
faccende quotidiane mi hanno costretto a mettere momentaneamente da parte. nel
mucchio delle cose da fare. Come questo di Tonino Vaan (Antonio Vasselli),
"Cosmesi", uscito oltre un anno fa per i tipi de L'Arcolaio, con
prefazione di Stefano Guglielmin.
Riprendere un libro in mano è un pò un'avventura. Si comincia dal titolo,
dall'intendere che cosa significhi il titolo che l'autore ha scelto. Cosmesi in
questo libro, si può supporre, ha una valenza tristemente ironica e in qualche
modo rassegnata. Abbellire il mondo, o semplicemente la realtà circostante,
l'esperienza quotidiana delle relazioni e degli eventi, non è facile, non è
risolutivo, è un tentativo destinato ad abortire. Anzi là dove si presenta, o
dove la realtà si maschera, la bellezza è vanitas, travisamento, illusione.
Inoltre, abbellire una realtà non soddisfacente non può essere la missione
della poesia, come Tonino sa bene. Semmai quello del poeta è un lavoro di disvelamento,
per quanto bello e artistico. Tuttavia, il poeta non rinuncia al tentativo di
dare un ordine al suo vissuto, proprio quell'ordine (cosmos) di cui cosmesi è
parente stretta, sapendo che "un trucco leggero proietta avanti / certi
nostri piccoli dettagli".
Da questo dissidio di fondo Vasselli non si lascia distrarre. Deve percorrere
quel labirinto esperienziale a cui accenna Guglielmin in prefazione, e lo fa al
meglio, pur nella consapevolezza che anche il labirinto è ordinato, ma non se
ne esce. La scrittura di questo percorso è interessante. Spesso preceduta o
seguita da exerga eterogenei, (anche autoprodotti, anche di estrazione
giornalistica, anche affastellati) come trampolini di lancio, non solo viatici
o conferme di un'idea, ma anche idee fertilizzabili e/o sviluppabili, essa si
svolge per ritmi e metri non condizionati se non dalla necessità di dire, e
quindi liberi, con rari enjambements e con catene sintattiche che occupano
l'intero verso, riempiendo i vuoti (o il vuoto, microscopico o siderale
che sia). La poesia di oggi, quella di Tonino compresa, è infatti poesia degli
interstizi o di posizionamento tra essi, non affronta i grandi temi se non
fluendo liquidamente tra essi come acqua, occupando gli spazi lasciati
disponibili da una cultura postmoderna in crisi. Questa scrittura è di per sé
asciutta, antilirica, perchè modernamente consapevole della necessaria economia
del discorso, di una sorta di dimagrimento della parola, o forse perchè non
sarebbe possibile altrimenti. Perciò anche il livello retorico è essenziale,
scarso l'appoggiarsi a metafore o simboli, o altri particolari aggeggi,
ricorrente l'uso di un dire quotidiano e popolare, che peraltro ha non pochi
precedenti nella poesia del Novecento, ma qui con molta meno ironia rispetto
ai nomi che ci potrebbero venire in mente. Niente voli pindarici o sbalzi di
tensione, insomma, in questa scrittura che tuttavia è di trama
fitta e intreccia una interessante conversazione con il lettore, che si svolge
per incontri, in testi che salvo qualche eccezione si aprono e si chiudono, ma
con una specie di appuntamento all'incontro successivo, a un prosieguo di un
discorso condivisibile. Da qui quel fiilo di Arianna, quel che di rizomatoso a
cui accenna sempre Guglielmin, sostenuto anche da una titolazione di brano in
brano che assomiglia ai sassolini di Pollicino (es.: "...i nostri
pomeriggi lunghi un crepuscolo...";"...quando giunge da una lettura
una memoria...";"...un senso di asfissia e
resistere...";"...resistere...";"...esistere.") e che
può anche essere letta orizzontalmente come degli ulteriori testi. Le
eccezioni a cui alludevo riguardano tre serie (vasche semiolimpiche, terra dei
segni e torre maremma) che oltre ad essere tre corpi organicamente costruiti
segnano a mio avviso anche una variazione rispetto allo stile consueto di Vaan,
qui ancora più asciutto, smagrito di molti connettivi, più "cercato"
o se volete compatto, e sotto vari aspetti più interessante in prospettiva. E'
forse per questa ragione, o magari anche per la mia passione per i poemetti
(cosa a cui in effetti assomigliano) che sono i testi che pubblico in questa
occasione.
Sul piano della narrazione, che somiglia in qualche modalità espressiva
al conterraneo Ceccarini (vedi), il libro procede per agnizioni o epifanie laiche,
piccole meditazioni, anche pop, e rinvenimenti di fatti e dolori
generalizzabili, in un procedere in cui c'è poco posto per l'io, molto
per un noi però personale di chi si sente parte di un genere umano acciaccato
con cui ci tocca essere solidali, perchè da soli non ce la facciamo a
sopportare questo disagio di vivere, un noi anche quando Tonino parla, in una
bella poesia senza fronzoli, della sorella morta. E allora ecco che appaiono
luoghi, paesaggi, incontri, frammenti, percorsi, bicchieri di vino o di
campari, stanze, donne, tagli di luce, visioni, chilometri di strade, facce del
sistema. Ma tutto è osservato come lateralmente, come quando si guarda una cosa
ed essa ci suggerisce qualcosa di collaterale e inquietante, che trascende la
cosa stessa, diventa "l'ossigeno di una visione", "ci
riappropria ad un senso l'osservare / che prevale e resiste / come una storia
d'amore", consapevoli però che "da una vista come scavo / il primo
degli allargamenti è un varco di solitudine". Fortunatamente in questa
visione e solitudine (del labirinto, del tentativo reiterato di trovare
l'uscita) il poeta non indulge a minimalismi né ad aforismi apodittici, non si
ammanta, dice solo la sua, con molta franchezza, e con quella onestà
intellettuale che qualcuno ha rilevato e che oggi è un vero valore aggiunto.
... sembra che un decimo verbo sia lavorare una simbiosi imperfetta tra esistere e resistere...
.vasche semiolìmpiche.
a caccia di frammenti, il ripetersi di schizzi istantanee di bestemmie, sotto brevi bacì di nuvole. nessun souvenir dal rettangolo d'acqua nel passaggio che conduce al prato con passo consumato, osservando un gatto ce ne uscimmo per la terrazza delle stelle sulla cupola schermo del nostro planetario
*
noi solari altrementi alsudoku radio flash e una tempesta ormonale da sedare in venti metri d'apnea. tempo delfino che il sole sfuma dietro le fronde all'ora delle cornacchie spazzino un lungo, in solitaria vigore, quasi speranza .mentre tutto intorno ristagna e invano si invoca
*
perso nei buèndia e coglionato sulla sdraio sottosopra tutti in accorcio esaurito il ricamo su una più pura forma di verità. nella vasca noi, in meno di una settimana vestiti i panni, sulla svolta dei giorni al meglio fari in altromare consacrati allo studio profondo del poggio marino fra i vigneti in libertà magari chissà
*
dimmi collega del magnifico magnini che io ti parlo di forre e valli dove ho visto aquile in alto ai nostri alisei. tu hai pensieri per i tuoi lidi come io ai miei ogni tanto assassini .ma ai convegni urgenti fino a prima della sera siamo già partiti al fuoco a marialerba sopra la piana che sdomina alle pontine guglie sul mare
*
quasi luzziano con due zeta e non mi dite di pizze il sabato sera .su per sfasciumi leggo senza parole, se dal ventre sacro scendo per una linea alba al nòcciolo della questione. è un vizio umano lo sguardo vuoi .voi ordinatemi due margherite se mi vedete distratto a un prato quando odio i prefestivi e perdo facile la testa
*
qualche emozione in linea proprio nell'acqua al soffocante velo che pure la piramide s'azzera sul picco di un fenomeno più ampio c'è scontro frontale sui monopoli d'erba al terzo mondo il profondo diventa verticale .non ho indulgenze scoppia pure che la mia idea si fa forza poi riappare
*
niente dal prato come rotola stravolta pure la geografia del miele. trapela in alcuni una compostezza necessaria un rigoroso schema .medicamenti sul palmo della mano in rifrazione aliti lontani, gonfiano i tentativi ancora alla barriera in frazioni di minuto in ragione e sostanza .solo rimane ogni ragguardevole dettaglio che non complichi le cose da un'ora certa spiana, si fa strada a punto sparso da qui mai plana il frutto che evapora e sfila .ecco vedi poi sembra, come mancasse sempre qualcosa
*
da una vista come scavo Il primo degli allargamenti è un varco di solitudine .un mondo instabile e sismico ombra cinese da sovraesposizioni nel cielo. e i movimenti dei corpi nell'acqua, code di orche che pure le statue cambiano di posto a cavallo di un secondo sul rift, tutti i luoghi e la loro energia segreta che il filtro dei ray-ban ne esalta i contorni per il bene del marocco dei suoi nomi e soprannomi .guarda un po' cos'è successo se alla fine del giorno si può dire la stabilità di un ritorno
.luglio 2007 .castelmadama .piscina comunale
... e la terra sta sempre lì ... sempre lì ...
.terra dei segni.
terra dei segni ai tuoi fianchi ci siamo resi irriconoscibili dove ancora dimentichiamo e ci sfugge l'imperfetto. per i tuoi assoli silenti piena di stagli in canto al cirro ghiaccio defilando stranamente deforme per nodi e nodi virando, impero di mostre calve e picchi grande, da non crederci che ci perderemmo tenendoti fino alla fine, il vortice corda degli attimi sospesi sopra il labirinto
*
trovare la maschera di pietra, sulla costa calcifuga .una segreta ammissione di mutamenti da indossare a contrasto delle frasi ripetute a memoria, in reprimente assecondare e miscelare poi altr'aria da non sentire o pensare un insieme di poche cose la vita. adesso si può urlare, nuclei di nuvole al seguito un boato che nel silenzio fa il vento
*
lampi, incandescenze lungo e proprio sopra la cresca luce e linea defluendo negli astrali spazi il piano .a quale mistero ci apprestiamo se tu ed io per le sue glutee curve ci piantiamo sul foglio lacero un sole traverso a cogliere .non che ne abbiamo il tempo di salire sul vento se lo troviamo è che la luce cresta ci ritorna per il suo riassunto dove fermammo la mano ieri l'altro .da non servire più appunti per seguire nella notte la terra
*
corpo delle visioni a qualcosa ti appigli che pure sfiorando il vuoto di lucida immersione continuiamo a dirci. negli attimi brevi transfughi in percezione sulle onde mute sempre al limite cifrata luce tonda che ritorna resa ad alta voce del cuore .che a memoria non ricordiamo di vuoti mai stati così pieni
... assieme ad altro ...
.torre maremma.
ore dodici, materna descrittiva animazione teatro dei free riders noel e la rara sensibilità per le cose del mondo finita in vocazione solitaria. tutta la differenza sulla spiaggia libera dieci secondi sono, una manciata di cicche galleggianti. alle ventiquattro buio scatenato, discoteca la croce sulla pelle, nulla cambia e le nostre mani che si aprono allo spazio solo superato il tunnel della pazienza
*
c'è un mare segnato se a torre maremma non si riesce ad entrare in acqua. il sale non secca la ferita brucia, la coreana al sole l'aquilone, lo da a noi che ci permettiamo al massimo una lander brau 0.3 ricoperti per intero e sempre sale un rumba distratta da tutto un pensiero critico ma privo di parole d'ordine
*
divino pompelmo rosa come i finti fiori d'albizia labirinti teorici in pace agreste. uno di quei giorni contagocce di ansie intollerabili nel vederci, cotti al forno a fuoco lento pochi euro e questo triste rospo in compagnia nostro macondo, dove le mete future, sull'estremità della linea ci lasciano ospiti su una terra orfana
*
spuma d'acqua in controluce umido traverso sul bagnasciuga libere molecole al sole onde che sciacquano i pensieri di un rientro. ferme, dove la mente fa numero bolle di sapone che un bimbo spara da un fucile .magnifici proiettili che illuminano il cuore
"noi potremmo considerare questa sera e la chimica del ballo il nostro oltraggio alla morte" .Simone lago
.. .ed altro nella stanza...
era una manciata di secondi prima poi avrebbe voltato il suo sguardo abbandonando quell'incipit per le sue labbra. lei sicuramente le stava fissando il lobo dell'orecchio se lui intuiva il disegno dei suoi piccoli seni dalla tenue prospettiva che lasciavano sul muro
*
il perimetro a terra e una figura diversa nell'aria un'ossessione artistica che accoglie all'interno chi guarda dice come una sensazione d'impercettibile fluidità .opera formalmente innovativa che cambia percezione in forme mai viste prima .noi al culmine di un percorso subito sotto il cielo soffitto a calamita
*
se potessimo fissare saldamente uno spago all'attimo più intenso, vissuto in questa casa e poi lo legassimo a tutti gli altri parimenti simili al primo .noi vedremmo la luce del sole ovattata sopra la testa, come in un'eclissi.
pensa che calore la nostra tana a due tetti
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quello che ci sfiora non è diverso che in certi momenti il mio vibrare è ugualmente pieno. noi, si intravede il quadro riflesso nello specchio l'idea sospesa e perfetta che l'occhio ci cade dentro mai stanco d'inseguire la ruota impazzita attorno al frutto
*
ripeto tra me e te una ad uno le mani tra i capelli tengo l'occhio ai suoni come l'orecchio in ascolto per la scala dei colori .rimani pure sui tuoi passi questa notte se nulla rende falso il segno che ci aggiunge .dalle voci l'idea dei volti non si neghi scivolando nella pallida apparenza del tatto e delle ombre
*
.. .ed altrove ancora...
tutte e due lì, stanno dove l'albero non arriva a toccare il vuoto .eccoli, misurare ad occhio nel particolare se l'ispirazione ancora anticipa e segue. e la fanno grande, profonda la prendono tanto che la punta tutta verde, poi si mette ad oscillare
*
ci sta anche che all'improvviso uno si accorge di non essersi mai soffermato sul tronco di una palma a guardare le cuspidi una ad una con i colori delle bucce di banana. oppure nello stare imagìsta dall'alto del lettino sotto al naso osservare guglie bianche, il ghiaietto la cordigliera delle ande piena di capelli lunghi e neri e fili di cortecce sfibrate .le valli sono lingue esili di sabbia sgommate di ciabatte fanno ghiacciai perenni e tu che mi chiami dalla tua fase rem cominci a ridere sotto a crepapelle contagiando poi a flusso te ne esci con il sogno di mia madre e mio fratello che ti dice che lei muore, mentre le scoppia il culo
Aggiungo in coda a questi tre "poemetti" anche tre delle poesie che preferisco, sotto diversi aspetti esemplari di uno stile che Tonino forse sta cercando di superare.
... i grandi grigi...
[talvolta, d'un uomo basta l'ombra, come il ricordo d'un tuono remoto, l'ombra che fu ora la porti tu, sì disegna appena, però è tutto l'universo, tutto ciò che è stato]
.da irreperibile fonte
.a laura, mia sorella .andata prematuramente
non c'era luogo per starle vicino che lontano sapevamo sarebbe svanito il suo percorso. lei così proprio quando l'aria dell'estate stava per ricadere sulla terra ci lasciò abbandonando i nostri occhi a dire come
saperlo bastasse per stare dove insiste il vuoto adesso che il lutto passa le mani fra i capelli e l'ora di lei riaffiora come soffio vivo di memoria
...i suoni...
non finisce il solitario tra la verdura in padella e il cielo. piccole orme s'affacciano sulle terre dì talpe e crochi di sassi dai raggi nei colori vìvi, sui suoni d'acqua, dei disgeli sciolti poi in laghi di fusione. dentro l'istante di un contorno che brucia ferma ed impassibile ai piedi del non troppo lontano orizzonte tutta una memoria si amplifica e pulsa nei ritorni che calpestando sorvola
di sorsi al primitivo salento la luna osserviamo d'aloni e la pioggia a venire fra giorni nel sibilo d'un vento più lontano. squasserà gli alberi l'ostro non questo osservare che possa mutare la rosa dei venti. nocciolo è arrivare dove si fugge al cuore scissi volendo dalla vana opinione dei molti e per altri versi immersi nelle stesse strade ai tornanti a gomito a salire .ma al lato un sorso accompagnasse questo bar dove sulla spiaggia deserta del mare è tutto un mosaico un vociferare di rifugi
in foto: "Creatura", un'opera di Orodé Deoro
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