Domenica, 12 febbraio 2017
Alcune poesie di Juan Larrea (1895-1980), tratte dal libro "Versione
celeste", pubblicato in Italia da Einaudi nel 1969, con la traduzione e
cura di Vittorio Bodini (1914-1970), forse il massimo interprete della
letteratura spagnola, soprattutto barocca e surrealista. Serve
sottolineare innanzitutto che questa edizione costituisce la prima
mondiale della pubblicazione dell'opera poetica di Larrea. Il poeta è
stato uno dei nomi più nascosti (tanto che per un po' è stato creduto un
eteronimo dell'amico poeta Gerardo Diego) della poesia del Novecento,
non solo iberica, che Bodini aveva già preso in esame nel suo importante
testo "I poeti surrealisti spagnoli", pubblicato nel 1957 sempre per
Einaudi, definendolo "il padre misconosciuto del surrealismo
spagnolo". In realtà Larrea è un surrealista sui generis, perché pur appartenendo alla cosiddetta generazione del '27.
di cui l'avanguardia è componente rilevante, se ne è tenuto appartato,
ed è semmai con la sua permanenza a Parigi (dove insieme all'amico César
Vallejo conosce e frequenta Eluard, Tzara, Aragon, Desnos ed altri)
che entra in contatto con il surrealismo militante. E tuttavia, come
scrive lui stesso, "del movimento ho utilizzato solo quelle tendenze che
mi erano affini, ma non mi compromisi mai con esso. Anelavo anch'io a
trasferirmi in un'altra realtà, ma in maniera differente". In realtà,
mentre altri lo annettono ai cosiddetti "creazionisti" o agli
"ultraisti", è proprio Bodini a volerlo includere nella categoria del
surrealismo, pur ammettendo implicitamente che quello di Larrea è un
linguaggio tipico e personale, tanto che "il suo generico debito verso
Tzara non è maggiore di quello di ogni altro surrealista francese e
europeo". L'acquisto principale di Larrea in Francia è invece la lingua
in cui sono scritte molte delle poesie originali del libro, il francese
"che è la lingua franca della rivolta, il segno linguistico della
categoria del surreale che si fa linguaggio internazionale della
comunità dei poeti, data la sottonazionalità dell'inconscio collettivo.
Ciò che egli cerca è l'estensione dell'io sino ad includere i più remoti
angoli dell'universo, l'annessione dell'altra faccia della vita, sogno e
inconscio, la dislocazione di sé, la moltiplicazione del reale in
ipotesi" (Bodini). Ed è lo stesso Larrea ad affermare: "Non invano avevo
iniziato a svincolarmi dalla Spagna degli anni '20, fino ad arrivare a
comporre i miei testi poetici in francese. Mi ero estraniato dalla
poetica peninsulare, come fecero ugualmente nel loro campo i pittori".
Come scrive ancora Bodini, "Larrea attinge dal subliminale materiali
psichici junghiani carichi di retroscena, di vicende stregate e amabili,
che ci seducono senza conoscerle, ma fra cui nondimeno s'affaccia con
una qualche costanza una serie di cieli capovolti, di un cosmo
ribaltato, ma senza degradazione, con pazienza, nel fondo
dell'individuo, intrecciato ai suoi fili, alle sue relazioni più
personali". Da questi materiali Larrea trae una scrittura che affascina e
stimola, nella quale "i sostantivi nascono simultaneamente coi loro
sorprendenti predicati, e questo è già il segno d'un poeta di razza. Ma i
predicati sono azioni o relazioni fra le cose: la fittissima rete che
vengono a istituire fra di esse fa sì che l'universo di Larrea, unitario
e sensibile, si risponda da una parte all'altra, pronto a registrare
fino alle più insospettate lontananze il più piccolo evento o la più
piccola coincidenza che si verifichi in qualsiasi punto di esso", dice
inoltre Bodini. Che aggiunge: "ribadiamo la convinzione che ciò che
conta nella sua fabbrica poetica non siano gli oggetti ma le relazioni
che si vengono a creare fra di essi e fra essi e il poeta, la
equidistanza che egli riesce a mantenere, il suo andare e venire fra il
cuore e il cosmo nella loro più rigorosa oggettivazione". Se il testo
può apparire difficile (ma mai artefatto o "falso") quindi è perché, mi
sento di aggiungere, il poeta osa operare "tale prodigiosa dislocazione"
di sé, delle relazioni, del linguaggio. Basterebbe questo per
restituirgli il posto che merita nella poesia del Novecento, non solo
spagnola. (g.c)
Motivo
Sequenza di nomi eloquenti tendenti a splendore, poesia è questo questo e questo E ciò che giunge a me in qualità di innocenza oggi che esiste perché esisto e perché il mondo esiste e perché tutti e tre possiamo correttamente cessar di esistere.
Nella nebbia
Nella nebbia razza della nostra razza domicilio della mancanza di convinzione dei nostri fantasmi dai gendarmi fino alle ipotesi più azzardate fino ai mandorli costretti a presagire il futuro della nostra Europa la nostra Europa e quella dei diplomatici che subordinano i fiori alle segrete inclinazioni della nostra pelle serbando un equilibrio esente da oziosità occidente bell'occidente prima che il sole trovi la maschera che cerca fra i rami e che già si china a raccogliere
L'uomo è la più bella conquista dell'aria
Sotto le allusioni
Si prenderebbe la luce per una animosità applicata a un altro oggetto più duro d'una colomba l'ala vi innalza gli sguardi per timore dei nostri occhi ogni occhio dispone la luce nel suo desiderio di piacere
A giudicare dal numero delle foglie l'albero è assai confuso l'ombra sulla sua fragilità il verde nell'aria quando noi ci squadriamo ci sorveglia severo non pretendiamo da esso ciò che non si può più capire
Un debole per la luce
La notte cade in abbondanza
Riflettiamo dunque come uccelli di lentezza pian piano come piumini sui mobili del silenzio
Com'è bella la tua maniera di seguire l'esempio dei fiumi fra le perdite del cielo e l'egoismo delle isole
La tua palpebra non è ancora all'altezza dello snodarsi delle acque ma non fa nulla
Supponiamo una chiesa circondata da turisti ora che il tuo occhio si rattrista e che un brivido inabissa l'angelo disciolto nell'acqua benedetta per meglio dire al Signore Signore assoldaci come manichini delle tue lacrime noi i tuoi piccoli funzionari adoriamo i cioccolatini e la marmellata d'incanti noi saremo i tuoi pennuti da cortile tutti i giorni a quest'ora perché i tuoi angeli son morti morti morti come soffitte senza ragni né gridi
Benché nel timore
In fondo queste donne necessarie del freddo queste donne senza ricordi al di là delle betulle impallidiscono senza sapere perché
Invece il cielo è malato d'ardesia e i suoi capelli cadono come pozzi di miniera
Il cielo il cielo ingegnere amico mio tu costruirai un veliero col soffio che mi anima perché l'orologio fa il dragaggio delle nostre noie e il suo cerchio diventa la nostra corona spesso di spine
Sull'orizzonte di cieco che l'ora bagnata tasta i piccioni si comportano come riserve mentali che impiegano fino alla fine la mano d'opera dell'autunno
Benché la sera faccia delle vittime se tu non hai paura dell'usura dei mari vieni con le tue palpebre gonfie di un'aria familiare vieni a aprirti come gli autori di lettere anonime
Sole sole delle cime
Sedia Felicità
La caduta dei vostri capelli è l'angelo che mi fa eterno signora ma ogni giorno ci serve un'ala di orizzonte possibile sul vasellame che rompe il vostro riso sopra il fondo instancabile del vostro carattere
Il ventaglio installato nella vostra aria di famiglia trattiene il fiato e il vostro viso si mostra fuori fa freddo tutte le pietre sono orfane tutti i pugni ben chiusi tutte le ceneri in guardia ogni goccia di sole testimonia una volontà contraria a onorare i vostri debiti
Parzialmente seduto su un filone d'anima non oso muovermi per paura che cielo e terra facciano stridere i cardini della nostra vita privata se vi guardo la notte deposita un salice sulla pianura dei sospiri se m'addormento il vento apre l'armadio della mia spalla e lascia fuggire le ali della verdura
Riva su cui cominciano le congetture
Serbo il silenzio come una carta d'Oceania Le tue lettere di calore mi giungono senza far rumore Ho tanto viaggiato che i miei occhi hanno la pesantezza dei frutti
L'orizzonte apre la mano e qualche bellezza s'invola moneta moneta in sandali di palpebra frivola che brilla e si logora un po' dappertutto
Signore di quarant'anni che cosa vede?
Io son l'esploratore che un vento d'autunno mette in gabbia Vi interpreto brani di vento e di nuvole impolverati come bottiglie di carattere sognatore
Io vezzeggio la pioggia che attacca tante ali al tuo passaggio e il giorno che ti segue più fedele d'un tatuaggio
Nell'interno degli esseri ci sono molti viali che conducono alla stessa stella di mare fluttuante dove l'esperienza svende i suoi tesori a prezzo d'acquisto
Le vele dell'amarezza si gonfiano ma ci resta ancora una sferza di vento per farne una scultura ben orientata
La luna or ora amata in silenzio in silenzio di garofani
Bel marmo oppresso d'un tempo
La terra immerge gli occhi sino all'origine degli alberi ma io ti scordo nella direzione del vento
In abito da foglie morte
Sognami sognami in fretta stella di terra coltivata dalle mie palpebre afferrami per le mie anse d'ombra stregami d'ali di marmo in fiamme stella stella nelle mie ceneri
Potere poter trovare infine nella mia vertigine la statua di un eroe di sole i piedi a fior d'acqua gli occhi a fiore d'inverno
Addio mondo tra i miei sogni d'addio uomini addio uomini e piccoli villaggi delle loro mani
Vi son dunque spade che mi tagliano a pezzi oh cateratte di spade
Cateratte di spade è l'ordine in marcia sono io che cammino su delle caverne scricchiolanti come crani
Nessuno s'era ancora annegato
Nessuno era un tempo nell'ombra
Oggi sono io ma io non m'ap- partengo più di quanto gli uc- celli che dormono nei miei occhi non appartengano loro
Ciò che manca a una chitarra per imputridire a suo agio
L'aria di saper chiudere gli occhi senza sciupare ciò che ci si attende dall'aria come la tua voce come la mia voce
Le tigri della nostra pelle son striate d'acqua di vetro esse saltano senza disfare le curve dei nostri fianchi esse aggrediscono i lampi della nostra anatomia
I lingotti concernenti l'illusione son là trovano lunghi i ruscelli dove l'oro dell'alba è piuttosto raro
Son le otto di sera fa freddo di ferite chiuse in fretta fa nero il cuore non è ammesso a assaggiare le lampade bollite nell'acqua della nostra vita
Son le otto di sera i castagni s'addormentano su una gamba sola come i tulipani nelle bandiere della semicroma il cielo non sa altra musica che quella che si scrive in lacrime si ricamano delle rondini sulle nostre pupille l'ombra ha preso il posto delle nostre dita poiché non chiede altro che d'esser sincera confida i suoi segreti alla calma delle nostre voci
Ma la chitarra infelice se ne sta sempre là rigida nel suo astuccio tutta muta
Un colore lo chiamava Juan Alla memoria di Juan Gris
Benediciamo il confort delle formiche regolari e la notte più triste della carta assorbente dopo la morte delle parole ora che il silenzio si fa dolcemente festino d'uccello nel grano capriccio d'un carcere in fiore
Noi ruscelli interiori siam tutti accorsi a placare questo mulino d'individuo unico convitato che ci resti di colui che è partito verso l'inverno senza una scusa Su un dolore di prateria antica le formiche trascinano le nostre lacrime da est a ovest
Se ne andò per trasparenza come le vaghe promesse di un fiume un po' banale Faceva un caldo da eroe e il tempo era pallido
Con un minimo di delicatezza e l'insonnia delle piogge che fa di seta il riflesso delle cattedrali buchiamo la spugna delle nostre preghiere per cancellare il giuramento di luna intessuto di larve dove i suoi occhi ammobiliarono la speranza di correnti d'aria
Perché egli ci lasciò la sua tristezza seduta sull'orlo del cielo come un angelo obeso
Natura morta
Il prezzo del tuo silenzio e l'aureola dei lastrici il giorno ridotto alla tua mano la mano ridotta al suo incalzante inverno
l'uscita lascia morire i suoi merli essi lasciano cadere una carne bluastra come gli occhi che seguono lentamente fuori del dominio dell'oro le tue gambe che risplendono
tutto l'imprevisto nel lampo d'un coltello tutto l'orizzonte nell'attesa d'un soprassalto tutti i segreti tutti i rimpianti in una stella
Bocconi
I giganti della neve i pesanti lingotti saturi d'abissi i torsi delle campane sotto il peso di un antico messaggio colui che semina la discordia colei che aguzza gli occhi sulla scorza della mia vita a turno strisciano strisciano prendendo a prestito la mimica dell'amore
Tuttavia una preghiera a mani giunte come il diritto e il rovescio di un adorabile insetto si offre alle labbra di questa luce che confessa lo spazio di questa luce così frugale che rispetta le proprietà delle pietre e passa sui baci di ogni fragile recinto
Cosí i giusti voltano le spalle alle rive dell'amore lasciando alla loro natura ciò che lascia la sera ai suoi addii un sangue pronto a zampillare incontro alle montagne perché non concepiscono che dei versanti all'origine delle ali perché dalle loro palpebre rivangano la loro povera solitudine
Veglia in cui tutto è permesso eccetto una mancanza di pudore la linea dell'orizzonte intorno ai reni
Verità capitale
Per ala una concessione all'ombra un gusto contrassegnato coi rischi al sole una vita corta una riserva prudente
Alla scuola dei vinti la fuliggine imbandiera le sue finestre il rosaio che ti ignora ha qui poco posto le contingenze si accalcano alla porta come mendicanti l'errore si regola sul loro volume
L'uragano s'indebolisce nell'attesa La mia
Schegge di ghiaccio
Il tesoro d'essere due la memoria intrinseca dei costumi d'un tempo oscillanti sulla tua superficie eccettuato il diamante è solo ai tuoi occhi che si ritrova l'epoca in cui il cielo non era affatto la più piccola delle mie prove
Angelica splendente le tempie sotto sigillo le forme dell'avvenire vi coronano i loro tranelli oh gli idoli disfatti dal prisma tanto amato oh le nuvole sospese del tale o del tal altro scambio di bocca
Sera d'autunno che convoglia tetti riflessi d'ospite e mani di calore giustamente senza domani quando io voglio amarti non riesco che a sognare che sono morto roso da lacrime splendide
Al bel relitto
Sotto un bosco di lauri tutto un mare di orecchi ringuaina l'illecito ardore dei giuramenti estivi le lacrime s'arrampicano impazzite ai cordami e tutta una notte d'uomo si accalca e ci osserva senza che ai nostri piedi d'amore l'erba spunti illeggibile
Finestre disseccate lasciando parlare la ruggine al di là di gioielli di una spenta compiacenza si conta su una caduta di lucchetti come se un coltello anonimo tagliasse in due la ragione di vivere al di fuori della nebbia
Profondità del disordine la luce incatrama il cuore che vettovaglia i suoi rischi più urgenti illeggibile come la tua gloria dietro una smorfia d'ebano la mia gloria perde nei loro occhi la parte più chiara del suo tempo
Punto di riferimento
No alla sabbia e alla sua cedevolezza no ai piedi troppo pronti a inseguire no a un tetto più caldo di un altro no alla notte forata dietro l'orecchio no ai sassi eroici agli strati di polvere no ai richiami dell'oro snaturato dei dubbi no agli addii alle menzogne ai perdoni a tutto ciò che non serve per garantirmi che tu ed io non siamo mai esistiti
Pluralità di madri
Esco dai tuoi occhi levigato come un soldato fantasma in rondini appoggiate contro muri riottosi sta ora a te gridare spetta alle tue ossa di eclissarsi alla tua voce di chiedere sono io che cammino o è l'abitudine che rientra nel mio modo di veder spegnersi le stelle
La tua pioggia che avrebbe cambiato il tuo angelo guardiano in un buon reggiseno si attacca alla tua radice - spunta un garofano - l'alba disarciona i tuoi occhi - il garofano che spunta s'inerpica e s'installa nel cuore di un combattimento - la sera trova le tue meraviglie dove l'uomo le ha messe si dice ecco ecco dove l'hanno portata le sue lacrime
Figlia-faro perduta nell 'ondeggiare delle razze d'ignoranza e di morte gli stessi che ha salvato la tua disfatta ti tastano dormendo tutti i cantieri ne son pieni pluralità di madri mia figlia di sempre mia figlia
Fecondazione immortale
Noi andremmo con tutte le articolazioni illuminate come i vetri d'una città con dei dolcissimi piedi di ostia noi andremmo senza esser chiamati a generare il disordine coi tuoi vuoti coi tuoi fuochi con le tue serrature d'ombra con le schiarite tosate a chiuderci tutte le porte i tuoi atouts puri piedi noi andremmo fermandoci a ogni gradino dei tuoi occhi
le mani nelle tasche segrete della cenere razzi nel cielo decaduto le vostre rovine sempre infilate alle dita finché almeno una pietra non abbia ritrovato i suoi limiti e l'assenza rigonfi la scintilla del tuo corpo
Nuda le pianure ti svestono ancora nuda tu mostri il cammino senza vendetta
***
Razón
Sucesión de sonidos elocuentes movidos a resplandor, poema es esto y esto y esto Y esto que llega a mí en calidad de inocencia hoy, que existe porque existo y porque el mundo existe y porque los tres podemos dejar correctamente de existir.
En la niebla
En la niebla raza de nuestra raza domicilio de las faltas de convicción de nuestros fantasmas desde los gendarmes hasta las hipótesis más atrevidas hasta los almendros obligados a presagiar el porvenir de nuestra Europa la nuestra la de los diplomáticos que subordinan las flores a las secretas inclinaciones de nuestra piel guardando un equilibrio exento de ociosidad occidente bello occidente antes que el sol encuentre la máscara que busca entre las ramas y que ya se inclina a recoger
El hombre es la más bella conquista del aire
Sous les allusions
On prendrait la lumière pour une animosité appliquée à un autre objet plus dur qu'une colombe l'aile y élève les regards dans la crainte de nos yeux chaque oeil range la lumière dans son désir de plaire
Si l'on juge par le nombre des feuilles l'arbre est fort confus l'ombre sur sa faiblesse le vert dans l'air quand nous nous dévisageons sévère il nous surveille n'exigeons pas de lui ce qu'on ne peut plus comprendre
Un faible pour la lumière
La nuit tombe en abondance
Réflechissons donc en oiseaux de lenteur doucement comme des plumeaux sur les meubles du silence
Tu as la plus belle façon de suivre l'exemple des fleuves entre les pertes du ciel et l'égoïsme des îles
Ta paupière n'est pas encore à la hauteur du dénouement des eaux mais ça ne fait rien
Suposons une église entourée de touristes maintenant que ton oeil s'attriste et qu'un frison abîme l'ange dissous dans l'eau bénie pour mieux dire au Seigneur Seigneur embauche nous comme mannequins de tes larmes nous tes petits fonctionnaires nous aimons les bonbons et la compote de charmes nous serons ta volaille tous les jours a cette heure puisque tes anges sont morts morts morts comme des mansardes sans araignées et sans cris
Quoique dans la crainte
Au fond ces femmes nécessaires du froid ces femmes sans souvenirs au delà des bouleaux pâlissent sans savoir pourquoi
Le ciel par contre est malade d'ardoises et ses cheveux tombent comme des puits de mine
Le ciel le ciel ingénieur mon ami tu construiras un voilier du souffle qui m'anime puisque l'horloge fait le dragage de nos ennuis et que son cercle devient notre couronne souvent d'épines
Sur l'horizon d'aveugle que l'heure mouillée tâtonne les pigeons se conduisent comme des arrière-pensées employant jusqu'au bout la main d'oeuvre de l'automne
Bien que le soir fasse des victimes si tu ne crains l'usure des mers viens tes paupières gonflées d'un air familier viens t'épanouir comme les auteurs de lettres anonymes
Soleil soleil des cimes
Chaise Bonheur
La chute de vos cheveux est l'ange qui m'éternise madame mais chaque jour nous sert une aile d'horizon possible dans la vaisselle que casse votre rire sur l'inlassable fond de votre caractère
L'éventail installé dans votre air de famille retient son souffle et votre figure s'étale dehors il fait froid toutes les pierres sont orphelines tous les poings très fermés toutes les cendres aux écoutes chaque goutte de soleil témoigne d'une volonté contraire à honorer vos dettes
Partiellement assis sur un filon d'âme je n'ose bouger de peur que ciel et terre ne grincent les gonds de notre vie privée si je vous regarde la nuit dépose un saule dans la plaine des soupirs si je m'endors le vent ouvre le placard de mon dos et laisse fuir les ailes de la verdure
Rivage où commencent les conjectures
J'entretiens le silence comme une carte d'Océanie Tes lettres de chaleur m'arrivent sans faire de bruit J'ai tant voyagé que mes yeux ont la pesanteur des fruits
L'horizon ouvre sa main et quelque beauté s'envole monnaie monnaie en sandales de paupière frivole qui luit et s'use un peu partout
Monsieur de quarante ans que voyez vous ?
Je suis l'explorateur qu'un vent d'automne met en cage j'y interprète des morceaux de ciel et de nuages poussiéreux comme des bouteilles d'un caractère rêveur
Je dorlote la pluie qui attache tant d'aile à ton passage et le jour qui te suit plus fidèle qu'un tatouage
A l'intérieur des êtres il y a nombre d'avenues aboutissant à la même étoile de mer battue par où l'expérience écoule ses trésors prix coûtant
Les voiles de l'amertume se gonflent mais il nous reste encore un fouet de vent pour en faire une sculpture bien orientée
La lune vient d'être aimée en silence en silence d'oeuillets
Beau marbre opprimé d'antan
La terre plonge ses yeux dans l'origine des arbres et je t'oublie suivant la direction du vent
En costume de feuilles mortes
Rêve-moi rêve-moi en hâte étoile de terre cultivée par mes paupières prends-moi par mes anses d'ombre affole-moi d'ailes de marbre en feu étoile étoile parmi mes cendres
Pouvoir pouvoir enfin trouver dans mon vertige la statue d'un héros de soleil les pieds à fleur d'eau les yeux à fleur d'hiver
Adieu le monde entre mes rêves d'adieu les hommes adieu les hommes et les petits villages de leurs mains
Il y a partout des épées qui me coupent en morceaux oh cataractes d'épées
Cataractes d'épées c'est l'ordre en marche c'est moi qui marche sur des cavernes craquantes comme des crânes
Personne ne s'était encore noyé
Personne n'était jadis dans l'ombre
Aujourd'hui c'est moi mais moi ne m'ap- partiens pas plus que les oi- seaux qui dorment dans mes yeux ne leur appartiennent
Ce qui manque à une guitare pour pourrir à l'aise
L'air de savoir fermer les yeux sans abîmer ce qu'on attend de l'air comme ta voix comme ma voix
Les tigres de nos peaux sont rayés d'eau de vitre ils bondissent sans défaire les courbes de nos hanches ils s'attachent aux éclairs de notre anatomie
Les lingots inhérents à l'illusion sont là trouvant longs les ruisseaux où l'or de l'aube est plutôt rare
Huit heures du soir il fait froid de blessures fermées en hâte il fait noir le coeur n'est pas admis à déguster les lampes bouillies dans l'eau de notre vie
Huit heures du soir les marroniers s'endorment sur une seule jambe comme les tulipes dans les drapeaux des double croches le ciel ne sait d'autre musique que celle qui se note en larmes on brode des hirondelles sur nos paupières l'ombre a pris la place de nos doigts comme elle ne demande qu'à être sincère elle confie ses secrets à l'assurance de nos voix
Mais la guitare malheureuse se tient toujours là raide dans sa boite toute coite
Une couleur l'appelait Juan À la mémoire de Juan Gris
Bénissons le confort des fourmis regulières et la nuit encore plus triste que le papier buvard après la mort des mots maintenant que le silence devient doucement festin d'oiseau entre les blés caprice d'une prison fleurie
Les ruisseaux intérieurs tous nous sommes accourus soulager ce moulin à individu seul convive qui nous reste de celui qui est parti vers l'hiver sans prétexte Sur une douleur d'ancienne prairie les fourmis traînent nos larmes de l'est à l'ouest
Il s'en alla par transparence comme les vagues promesses d'une rivière plutôt banale Il faisait chaud de héros mais le temps était pâle
Avec un brin de délicatesse et l'insomnie des pluies qui tourne à soie le reflet des cathédrales trouons l'éponge de nos prières pour effacer le serment de lune tissé de vers où ses yeux meublèrent l'espoir de courants d'air
Puisqu'il nous laissa sa tristesse assise au bord du ciel comme un ange obèse
Nature morte
Le prix de ton silence et l'auréole des dalles le jour réduit à ta main la main réduite à son préssant hiver
l'issue laisse mourir ses merles ils lâchent une chair bleuâtre comme les yeux qui suivent lentement hors le domaine de l'or tes jambes qui rayonnent
tout l'imprévu dans l'éclair d'un couteau tout l'horizon dans l'attente d'un sursaut tous les secrets tous les regrets dans une étoile
À plat ventre
Les géants de la neige les lourds lingots repus d'abîmes les torses des cloches sous le fardeau d'un vieux message celui qui sème la discorde celle qui aiguise ses yeux dans l'écorce de ma vie rampent à tour de rôle empruntant la mimique de l'amour ils rampent
Cependant une prière avec ses mains jointes comme l'avers et le revers d'un adorable insecte s'offre aux lèvres de cette lumière qui avoue l'espace de cette lumière si frugale qui respecte les propriétés des pierres et passe sur les baisers de chaque fragile enceinte
Ainsi les justes tournent le dos au rivages de l'amour livrant à leur nature ce que le soir à ses adieux un sang prêt à sortir à la rencontre des montagnes car ils ne conçoivent que des versants à l'origine des ailes car de leurs paupières ils piochent leur pauvre solitude
Veille où tout est permis sauf un manque de pudeur la ligne de l'horizon autour des reins
Vérité capitale
Pour aile une concession à l'ombre un goût marqué por les risques au soleil une vie courte une réserve prudente
A l'école des vaincus la suie pavoise ses fenêtres le rosier qui t'ignore tient ici peu de place les contingeances se pressent à la porte comme des mendiants l'erreur se guide par leur volume
L'orage faiblit dans l'attente La mienne
Éclats de glace
Le trésor d'être deux la mémoire intrinsèque des costumes d'autrefois flottant à ta surface en dehors du diamant ce n'est qu'à tes yeux qu'on trouve l'époque où le ciel n'était pas la moindre de mes preuves
Angélique éclatante les tempes sous scellés les formes de l'avenir y couronnent ses embûches ô les idoles défaits par le prisme tant aimé ô les nuages pendus de tel et tel échange de bouche
Soirs d'automne charriant des toits des reflets d'hôte et des mains de chaleur sans lendemain à juste titre lorsque je veux t'aimer je n'arrive qu'à rêver que je suis mort rongé par des larmes splendides
À la belle épave
Sous un bois de lauriers toute une mer d'oreilles rengaine l'illicite ardeur de nos serments d'été les larmes grimpent affolées aux cordages et toute une nuit d'homme se presse et nous regarde sans qu'à nos pieds d'amour l'herbe pousse illisible
Fenêtres desséchées en laissant parler la rouille aux delà des bijoux d'une complaisance éteinte on s'attend à une chute de velours comme si une lame anonyme coupait en deux la raison de vivre au dehors des brumes
Profondeur du désordre la lumière goudronne le coeur qui ravitaille ses dangers plus urgents illisible comme ta gloire derrière une grimace d'ébène ma gloire perd dans leurs yeux le plus clair de son temps
Point de repère
Non au sable et à sa souplesse non aux pieds tout prêts pour la poursuite non à un toit plus chaud qu'un autre non à la nuit trouée derrière l'oreille non aux cailloux héroiques aux couches de poussière non aux appels de l'or dénaturé des doutes non aux adieux aux mensonges aux pardons à tout ce que ne soit pas m'assurer que toi ni moi n'avons jamais existé
Pluralité de mères
Je sors de tes yeux poli comme un soldat fantôme en hirondelles appuyées contre des murs rétifs c'est ton tour de crier c'est à tes os de s'effacer c'est à ta voix de demander est-ce bien moi qui marche ou c'est l'habitude qui rentre dans ma façon de voir s'éteindre les étoiles
Ta pluie qui aurait changé ton ange gardien pour un bon soutient-gorge s'attaque à ta racine - un oeillet pousse - l'aube désarçonne tes yeux — l'oeillet qui pousse grimpe et s'installe dans le coeur d'un combat — le soir trouve tes merveilles où l'homme les a placées on dit voilà voilà où ses larmes l'on conduite
Fille-phare éperdue au moutonnement des races d'ignorance et de mort ceux-là mêmes qu'à sauvés ta défaite te tâtonnent en dormant tous tes chantiers en sont pleins pluralité de mères ma fille de toujours ma fille
Fécondation immortelle
Nous irions toutes articulations allumées comme les vitres d'une ville avec des pieds tout doux d'hostie nous irions sans appel engendrer le désordre avec tes voeux avec tes feux avec tes serrures d'ombre avec les éclaircies tondues en nous fermant toutes les portes tes atouts pur pieds nous irions nous arrêtant dans chaque marche de tes yeux
les mains dans les poches secrètes de la cendre fusées à ciel déchu vos ruines toujours aux doigts jusqu'à ce qu'une pierre au moins aie retrouvé ses bornes et que l'absence gonfle l'étincelle de ton corps
Nue les plaines te déshabillent encore nue tu montres le chemin sans vengeance
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