Giovedì, 29 luglio 2010
Un'altra delle mie riletture estive, un pò a "saltafosso" per la verità. Dopo Vitiello, Cattafi e Porta ora Scalise.
l'acqua sigla quei palazzi dove si affacciano uomini fotografati in pose diverse: la lezione di quegli anni è meglio dimenticarla, ha il grigio sapore del vissuto, la polvere vola fra gli alberi di un giardino straniero: le idee le ricavi dai libri, cominciando da capo, e in una definizione senza prospettive quella fatica arde nel cielo: come un quadro la realtà si rovescia, non indica una linea precisa: l'uomo va verso una nuova miseria percorre il cammino di tutti gli errori, prima di sapersi servire di una tradizione sbagliata.
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lo spazio è ricavato dagli alberi: gli altri sono dei cerchi: guarda il vuoto: all'altezza degli occhi le immagini entrano nel gioco quotidiano; vi sono giorni contratti come numeri, il vento ricuce le acque; esser liberi senza ragionamento, esprimere desideri, alzarsi ogni giorno in quel punto esistenziale che ogni notte scende oltre il confine: al mattino scioglie parole, passeri sulle bucce d'arancia, gli alberi sono più dritti, le macchine passano fra le foglie, la casa si riflette nel vetro: lo spazio del tavolo è come un'autostrada, il seme dell'adolescenza non ripete quei gesti: se la maturità è linguaggio c'è una materia opaca che deride i visi tesi, gli entusiasmi
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Quando comincia la notte, traslocando specchiere affumicate, l'aria si alza sino a raggiungere una tecnica di eccitazione; le scarpe volano, gli animali lanciano occhiate sull'erba, e la sentenza smagliata è il fuoco di un virtuoso. Gli oggetti di questa storia inventano ostacoli, come quel misantropo che ha chiuso la porta: l'angolo infetto della pagina ha bisogno di garza, si incorpora in una lampadina smerigliata: l'altezza del fante di picche trucca le nuvole, assistito dalla rivoluzione del sole immerge fra le porte una scrittura ridotta all'insipienza: la pioggia è inizio di libertà, l'albero sopporta nella sua crescita la dolcezza che si mescola alla violenza: se ascoltiamo quell'ingiunzione, la donna appartiene al cielo e alla terra: in questo elementare conflitto vi è un indizio di doppia apparenza: il movimento si esprime con quella verticalità che distima gli opposti.
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il movimento esegue opposte prescrizioni, ma io sono nato in una città senza ferite, mi sono nascosto in una adolescenza superstiziosa, e la lucidità mi ha sempre fatto difetto: l'infinita bassezza dell'uomo è la farfalla: alcuni gelano lungo quel quartiere che progetta case con ciò che ignoriamo di noi stessi: la luce brilla sotto la porta, calca con forza il percorso, e ci rivela visi di un paese felice. Quei pochi istanti sono serviti da guida; in questa sintassi l'acqua è un sonno vegetale, la luna persiste come un privilegio e scava una strada rarefatta; nel giallo della luce la città ruota nella strada fra case che hanno fondamenta nell'aria; per odio non distinguono niente: vedono una totalità bruciata, l'uomo che raccoglie una grande famiglia di regole oblique, e misura l'inganno con l'innesto precedente al suo sogno.
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il gesto ingegnoso non ama la profondità della notte, la vita del giorno è moralistica, nasce da una spessa materia fra astuzie e rose bruciate: l'ambiguità è nella vita, ho visto profeti divenire simili al segno e ridurre la mente ad un calco del vuoto: parlare fra profili di città avanzare sullo sfondo del cielo fra grappoli di edifìci: le loro parole si perdevano casualmente. È un atto di pigrizia sublime quella follia di avanzare come alberi cavi, esempi derisi dal tempo, o la paura di vivere a confronto con la propria ignoranza, accettare che la propria emozione sia schedabile sotto la voce retorica.
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Gli uccelli si esercitano a firmare il cielo con una solida messa in scena: la reputazione è una giravolta dove con una smorfia gli occhi tirati (le labbra segnate) salgono all'altezza dell'atmosfera: ripete quello stile elementare, esempio di poco spessore non bisogna che quelle qualità, fermentate sui mattoni, conservino l'arco di una notte; ogni sera un astratto putiferio è come un numero su uno sfondo chiaro; l'inizio è sempre importante.
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pur dì non essere simile al suo oggetto l'alba strappa nuovi fogli, ma senza corpo nessuno serve a qualcosa, gli oggetti fuggono nel loro splendore e vi sono uomini che camminano in uno spazio ricurvo; la vita si diverte nella metafora di questo pianeta, e i ricordi truccati si ascoltano in una fumosa conferenza. La grandezza di questa rovina fa braccio di ferro con la materia. Ma l'alba, in una oscurità essenziale, compone la sua energia di donna, si scalda con oggetti biliosi, come le pagine di un diario i fiori sono accanto alla porta ed è appunto il lusso che li circonda. Danza la biografia in un cielo immaginario, le comete non hanno figli perché trascorrono intere settimane senza che si senta parlare di ingiustizia.
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l'autunno arriva di sorpresa, eppure andava via leggero, il suo passo non dava suono (le siepi sono legate come angeli): una comunicazione ondeggia fra le nuvole, uscendo dal gruppo materno non possiamo procedere con la mano a forbice, un forte vento ci fa gelare le dita: si vive legati al telefono e il microfono si riempie di buio: lo sguardo supera lo spessore dell'altro, ed è facile esistere senza illusione: il taglio delle case ricorda il filo della ragione.
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l'esistenza dei nomi vuole necessità per qualche azione, il verde dei boschi rinuncia ad una maturità sfuggente, i garofani ignorano ogni cosa, oltrepassano una stagione pulita, l'inizio del discorso scende in una sera di rosso acceso, stringe la figura di Keplero: quanto alle idee è meglio sopportarle: lo zoppo inventa una storia dove non si lamenta mai nessuno: da noi c'è stato il gioco delle parti, si vive senza mediazione un resistibile crepuscolo: tutti hanno un nome certo per un tocco metafisico: lo spirito è fissato sotto un ferro da stiro, e altre opere sono state ritoccate.
Gregorio Scalise, poeta italiano nato a Catanzaro nel 1939 e residente a Bologna, dove insegna all’Accademia d’Arte. Ha esordito negli anni Sessanta con un paio di plaquettes pubblicate in ambito sperimentale, nelle edizioni Geiger di Adriano Spatola: "A capo" (1968) e "L’erba al suo erbario" (1969). Una sua apparizione decisiva è del 1975, quando assume una posizione di netto rilievo nell’antologia "Il pubblico della poesia", curata da A. Berardinelli e F. Cordelli con l’inserimento del suo poemetto "I segni", uno dei suoi esiti migliori, se non il migliore in assoluto, poi ripreso nel volume "La resistenza dell’aria" (1982). Carattere essenziale ed evidente della poesia di Scalise è la nitidezza razionale del tono, il suo muoversi con argomentazioni apparentemente per sentenze memorabili e in realtà soprattutto enigmatiche e paradossali. Scalise crea quindi una testualità a due facce: da una parte l’ordine di un dire lucido ed asciutto, dall’altra il disordine di una razionalità del tutto illusoria. In questo modo, riesce a restituire in modo singolare ed efficace la condizione assurda nella quale si trova spesso a vivere l’uomo contemporaneo. Intelligenza e ironia, impostazione filosofica e forte spessore culturale sono alla base della sua scrittura poetica, nella quale procede spesso per accostamento di frammenti che creano l’uno con l’altro movimenti sorprendenti e attriti di senso. Antiretorico e asciutto nel procedere, Scalise è poeta dalla fisionomia nettamente riconoscibile e personale. Dopo "La resistenza dell’aria" si segnalano altre raccolte come "Gli artisti" (1986) e "Danny Rose" (1989). È anche autore di drammi e di opere saggistiche come "Bruciapensieri", "Ma cosa c’è da ridere" e "Talk- show". (Maurizio Cucchi, da La stampa Web)
Da qualche anno leggo le poesie di Gregorio Scalise e ogni volta mi sorprende e mi lascia ammirato la sua capacità di parlare di un mondo frammentario e sussultante, attraversato a duecento chilometri all'ora da rombanti immagini di disgregazione, separatezza e schizofrenia, come se si trattasse di un mondo perfettamente conoscibile, silenzioso e addirittura sereno.(...) Anche quando (e non è affatto raro) il suo discorso è di categorie, di quantità astratte, Scalise ha l'aria di smuovere dei pesi, dei pieni, di riferirsi a quantità sensibili e concrete; c'è sempre una specie di vento, un'impressione di moto effettivo intorno alle sue parole e al loro disporsi massiccio, nitido, appena solenne negli spazi creati da un'intelaiatura sintattica e metrica di raffinata sobrietà. C'è in Scalise una fisicità della sentenza e dell'apparizione (quando ci dice, per esempio, « l'uomo va verso una nuova miseria/percorre il cammino di tutti gli errori » oppure, invece, « gli alberi sono più dritti, le macchine passano / fra le foglie, la casa si riflette nel vetro ») che sembra quasi farle evadere dalla bidimensionalità della pagina scritta per configurarle in presenze solide, in oggetti. (da una nota di Giovanni Raboni)
un'ampia bio-bibliografia qui
per altri testi di Scalise vedi qui e qui
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