L'anacoresi che titola questo libriccino inedito di Alfredo Riponi è scelta - per definizione - eremitica, il cui estremo risiede nel silenzio non del pensiero ma della parola, o - nel suo grado minimale - nell'esicasmo, come afferma Alessandro De Caro nella sua bella prefazione. Ovvero nella ripetizione mistica di una sintetica formula devozionale, si presume fino al delirio, nel tentativo sovrumano (perchè a-temporale) di restituire alla parola un senso primigenio riducendola a puro suono. Ma il poeta, per fortuna, non deve rivolgersi a un dio. Non può prescindere da un lettore (o venticinque, per quanto ipotetici), o non è. In questo rapporto la parola, per quanto possa tendere a un suo grado zero, rimane fondante di una comunicazione, seppure lungo una rischiosa linea di confine che De Caro correttamente identifica. Dice infatti: "Lo scrittore di prosa, in genere, si ferma a considerare la frase; diciamo pure che la frase nel suo mondo creativo aspira alla qualità di feticcio o di termine ultimo del lavoro della parola. La frase assorbe buona parte del lavoro, anche se attraverso il procedimento indefinito delle correzioni che ne sbriciolano la solidità apparente (...). Per il poeta, invece, non credo che funzioni allo stesso modo; lo si vede bene che la materia del linguaggio viene accostata prima o piuttosto al di là di una forma frastica che l'assorbe secondo un'unità strutturale, come si sarebbe detto una volta, di livello superiore o di secondo grado". Per quanto quest'ultima affermazione sia abbastanza perentoria, non è inesatta. E' semmai parziale perchè privilegia, modernamente, il segno come strumento e fine del poeta, dice che questa non è una rosa ma è una "rosa". E continua: "Davanti a quest'incertezza [sull'etimo, la storia, il senso della parola] che cosa ci sarebbe di meglio da fare che lavorare dentro e attraverso quest'assenza, al di là della questione se si debba o meno rendere conto, in prosa come in poesia, della realtà simbolica in cui siamo immersi? Nel puro lavorio di un testo, nell'essenza per sempre tra-forata, circuita o pervertita della parola (...) non c'è quel cammino che potremmo chiamare, se non suonasse come una campana a morto specialmente oggi, un tentativo di anacoresi?" Ecco: al di là della questione della realtà simbolica. E' questa la rischiosa linea di confine: una poesia della parola in cui la parola riecheggi non la realtà (seppure quella parziale del poeta) ma il suo stesso suono, operando "come se si componessero delle poesie, dunque all'interno di una tradizione dall'apparenza intatta ma deflorata". Tuttavia, è bene dirlo infine, la poesia di Alfredo Riponi non solo riflette seriamente sul rapporto tra linguaggio ed esperienza (tenendo ben presente il limes che dicevamo), ma è anche consapevole del fatto che il linguaggio ha una sua voce e una sua memoria (v. anche i suoi due articoli su D. Heller-Roazen qui e qui) e che con essi la poesia, più di ogni altra arte, è capace di dare corpo all'amore, alla perdita, al dolore, alla stessa mancanza di senso che la vita ha talvolta. Un libro/percorso che è scandito (in sezioni: Incipit, Incisi, Vita nova) e assume una forma e una struttura non fittizia o strumentale, ma che corrisponde a un'idea, a un tentativo anche morale di raccogliere frazioni di realtà, che , come dice il poeta in una nota al testo, " si ordinino sulla carta , nel testo poetico o nel sogno trascritto" (corsivo mio). Forse, aggiunge, "il risultato non è subito decrifrabile, ma è lì, attende la nostra lettura".
da Incipit
I
a R.R. Florit
scale interne al tempo
verso la volta oscura della notte
assurda tentazione di osare
la scalata al cuore dell'essere
illumini unica il mio nulla
terrestre stella in altri luoghi e tempo
gonfi il vento su strade invisibili
guardiana dei deserti delle notti vuote
credenza di questi luoghi vani della mente
che sento nel tumultuoso scorrere del sangue
innocente speranza che non mi lascia
IV
non è un ibrido il mio cuore
o un fuoco di vendetta
si accorge di quel che gli manca
labbra di viola
piove in ogni sala
e l'argento resta isolato sui rami
nudo paradiso degli sguardi.
da Incisi
III
si prolunga la notte
buia profondità
un vento violento
chiude le porte
sbattono finestre sul cuore
luogo senza luogo
porta sigillata
dove batte il sangue
V
ti porto nel cielo viscerale
sopra una profetica spiaggia
un reticolo d'azzurro
tenebra
perché le vetrate sono
immerse nel buio
e risplendono d'oro
che nessuno dice
essere vero
VIII
abbandonato al silenzio
nelle frasi dipinte
su carta
non so niente
ascolto
un vento voci
ostilità di visi e mani
sulle mie riposano
a sera
X
nel morbido chiaro
del tuo occhio cenere e viso
vedo in te senza vedere
capelli bocca
la parola che salva
invocando mani pietre
mi dirai hai vissuto
ora sei come io sono
XI
l'assoluto irregolare
profilo del viso
nel disastrato tempo
ti allontani da me
in te ritorni
dico a te che non c'è
alba che non sia
già segno o nulla
sbiancando
XVI
versami dentro luce
viola
attraverso cielo
liquido
corpo a
corpo con il blu
attracco
nel porto degli occhi
bianco innocente e
blu
XX
nella notte il vuoto
adorna scale di cristallo
una luce bianca
si apre nel petto
sussurra il mio nome
nel cielo basso
di dicembre
da Vita nova
III
la parete sotto la forma brunita
si sgretola nell'istante dello sguardo
uomo che vede e profana
nella fretta le stalattiti del tempo
IV
nemico del vivere è il silenzio
dove rinchiudere parole
ascoltate dal fondo
chiesa vuota di fedeli
pietra su cui scivola la gioia
V
un prima che si esalta
nel dopo della morte
attende al limite dell'increato
Tracciato: Gen 31, 15:47