Galerías
LXIV
Desde el umbral de un sueño me llamaron...
Era la buena voz, la voz querida.
-Dime: ¿vendrás conmigo a ver el alma?
Llegó a mi corazón una caricia.
-Contigo sempre…Y avancé en mi sueño
Por una larga, escuta galería,
sintiendo el roce de la veste pura
y el palpitar suave de la mano amiga.
Mi chiamò dalla soglia di un sogno...
Era la voce buona, a me cara.
-Dimmi: vedrai con me l’anima?
Fu una carezza al cuore.
-Con te sempre...E nel sogno andai
in una larga, galleria immota,
sentendo il palpito
della veste pura
e della mano amica.
(trad. originale di Alessandra Sciacca Banti. Le altre traduzioni sono reperibili seguendo i tag)
Nato a Sevilla nel 1875 (morì a Collioure [Francia] nel 1939), trascorse adolescenza e giovinezza a Madrid. Visse alcuni anni a Paris dove conobbe J. Moréas, O. Wilde, R. Darío. Vi tornò poi per studiare filosofia sotto J.L. Bergson; lesse Husserl e Heidegger. Collaborò con il fratello Manuel a «Electra» diretta da R. Maetzu, a «Le revista ibérica» di F. Villaespesa, a «Helios» di J.R. Jiménez. Nel 1907 ebbe una cattedra di lingua francese, si stabilì a Soria, nel cuore della vecchia Castiglia. Nel 1909 sposò e dopo soli tre anni perse la giovanissima moglie Leonor. Soggiornò a Segovia e poi a Madrid nel 1931. Qui scrisse con il fratello alcune commedie in versi riprendendo con spirito pre-esistenzialista temi e motivi del teatro del XVI-XVII secolo.
Allo scoppio della guerra europea del 1914 ebbe posizione neutrale. Durante la guerra civile fu tra i repubblicani. Scrisse: "Non resta altra eloquenza in Spagna se non quella del soldato". Famosi furono i suoi articoli, pubblicati su «La Vanguardia» e su altri fogli repubblicani. Al seguito del quinto reggimento lasciò Madrid; dovette poi lasciare Valencia, e poi Barcellona (che cadde il 27 gennaio 1939). Due giorni dopo raggiunse la madre in Francia ma, già gravemente malato, morì di polmonite a poca distanza dalla frontiera, il 22 febbraio 1939. Al gendarme di confine aveva dichiarato: «Sono un poeta, non un vinto».
La prima raccolta poetica di Machado fu Solitudini (Soledades, 1903) poi confluita in Solitudini, gallerie e altre poesie (Soledades, galerías y otros poemas, 1907). Machado è ancora sotto l'influenza del modernismo di Darío e dell'estetica decadentista, ma "potata dei rami superflui" (come scrisse) e ravvivata dal gusto popolare, nel dolce e genuino andalusismo di Bécquer. Sono componimenti per lo più in metri brevi e in assonanza. Paesaggio modernista di crepuscoli e di malinconia, ma anche segni di intimità lirica originale, con una forte vibrazione dei ricordi d'infanzia che indicano, come ne scrisse Darío, uno "sguardo profondo e misterioso", e una tendenza a considerare il tempo in chiave metafisica.
Una tendenza che si ritrova nelle raccolte successive. In queste è anche l'elemento storico critico e poetico propri della "generazione del '98", che vedeva nell'ambiente aspro e nudo del la Castiglia il luogo dell'identità nazionale spagnola ma anche lo specchio di una ritrovata semplicità e schiettezza. E il riconoscimento di vitali radici popolari. Sono il motivo fondamentale, ma non l'unico, di Campi di Castiglia (Campos de Castilla, 1912). Qui è anche il riuscito tentativo di racconto popolare in versi de La terra di Alvargonzález (La tierra de Alvargonzález) e la serie di liriche dedicate alla morte della moglie Leonor. Un motivo di tristezza e di evocazione della morte che si intreccia alla visione del paesaggio andaluso.
Ulteriore passo verso la poesia metafisica, con il recupero in chiave personalissima di tutta la tradizione simbolista, è nella produzione lirica successiva: Nuove canzoni (Nievas canciones, 1917- 1930), Il canzoniere apocrifo (El cancionero apócrifo, 1926), nei momenti aforistico-meditativi dei Proverbi e cantari (Proverbios y cantares).
La sua opera poetica è raccolta nelle Poesia complete, di cui pubblicò progressivamente varie edizioni durante la sua vita (1917, 1928, 1933, 1936). Fonte: Girodivite.it