Torno ancora su Marina Pizzi, che non e' certo una mia scoperta dato che ha un curriculum di tutto rispetto, ma a cui con molto piacere ho dedicato alcune righe su questo blog in due occasioni, quando ho pubblicato estratti dai suoi lavori "La giostra della lingua il suolo d'algebra" e "L'acciuga della sera i fuochi della tara". Proprio quest'ultima raccolta ha trovato ora la sua stesura definitiva e la pubblicazione presso Luca Pensa Editore. Sul libro e' intervenuto Marco Giovenale sul Manifesto del 1 dicembre con una breve recensione. Per quanto mi riguarda in questa occasione non posso che ribadire quanto ho scritto sul blog (v. qui e qui), aggiungendo semmai, sulla scorta di quanto ho gia' letto, alcune mie ulteriori impressioni. La poesia di Marina Pizzi non fa nessuna concessione al lettore, la sua scrittura e' ego-centrata e in quanto tale e' pura rappresentazione del mondo (o della sua non riproducibilita') cosi' come lo vede l'autrice. Sul dramma del mondo si innesta e ne e' specchio la scrittura, la rappresentazione verbale di esso, il suo disfacimento e la sua ricostruzione in un diverso significato, una diversa realta'. Ne consegue un differente canone comunicativo e una diversa capacita' di comprendere, come in un linguaggio oracolare. Da questo punto di vista la poesia di Pizzi pretende uno sforzo supplementare da parte del lettore, una specie di immersione nei propri riferimenti culturali, nel proprio bagaglio semantico, perfino nella propria psiche. E' una specie di viaggio esoterico, di riconquista di codici. Ci si domanda, ad esempio, che cosa significhi "triciclo di cielo / da non pregare". E' il tre la chiave, e' per caso una surreale trinita' celeste quella che non dobbiamo piu' pregare? A cosa rimandano le assonanze, le consonanze, gli anagrammi, le paronomasie? Forse a un livello inconscio della lingua, a un sogno, a un gioco linguistico infantile? E l'ambiguita' semantica di parole reiterate (privata = propria; privata = mancante) o collegate da isotopie ("Le santita' delle nuvole cosi' di buona condotta", ove "condotta" puo' avere valore di movimento o di comportamento, se collegato o meno a "santita'")?. Sono solo esempi, naturalmente. Il fatto vero e' che la lettura (o la plurilettura, come dicevo) dei testi di Marina, dopo aver preso atto di una sorta di prevaricazione, che gia' segnalavo, nei confronti del lettore a cui e' lasciata "l'onesta' del libro esploso e speso e disseminato in allegorie, immagini inattese, eco fra verbi" (Giovenale), e' una eccellente esperienza, a volte conflittuale forse, ma densa, suscettibile di riscoperte continue, e come tale di straordinaria persistenza.
Nota: La recensione di M.Giovenale è reperibile qui