Venerdì, 26 agosto 2011
Come sappiamo l'amico di Wigner, il fisico di origine ungherese premio
Nobel nel 1963, è il protagonista dell'omonimo paradosso, a sua volta
costruito su quello del gatto di Schroedinger. Troppo lungo da spiegare
qui. Diciamo, in soldoni, che è l'osservatore che determina lo stato
effettivo delle cose e ciò non accade finchè l'osservazione non si
verifica. Comunque sia, Catalano continua a riconoscere nella fisica
quantistica il suo nume tutelare poetico. Maturando alcune convinzioni
che avevo già rilevato (v. qui) da cui forse potremmo ripartire, e facendone uno stile, se non proprio una maniera.
Se c'è qualcosa da aggiungere a quanto dissi a proposito di "Immaginate
la ragazza" è la notazione che, cosa importante, l'epigrafe della prima
sezione del libro viene dall'autore astutamente rovesciata. Si potrebbe
dire, in termini popperiani, che viene confutata, o falsificata. "La
semplicità delle leggi naturali - afferma Wigner - è generata dalla
complessità del linguaggio che usiamo per esprimerle". Catalano agisce
esattamente al contrario, assume come impegno e progetto un costante understatement della
parola, l'utilizzo di forme sintattiche semplici, colloquiali, partendo
dal minimale, dal quotidiano, per determinare e dipingere la fattuale
complessità della vita. Se dovessimo perseverare nella metafora
scientifica potremmo dire che tale complessità nemmeno è rilevabile
finchè non interviene il poeta. Ma del resto, qual è il poeta che non lo
fa? Qual è l'artista che con la sua "coscienza" non fa collassare il
reale, non lo fa precipitare in un "testo", in un'opera? Leggendo queste
poesie, quindi, non è infrequente avere l'impressione di fatti, eventi,
incontri casuali, pene d'amore, nature morte, trionfi dell'ordinario,
frammenti del presente, fortuiti incroci baudelairiani che avrebbero potuto accadere
indipendentemente dal nostro esserci (nostro di lettori e dell'autore
insieme) e che tuttavia, esattamente come accade nell'osservazione
sperimentale, il nostro esserci intercetta e in qualche modo devia,
influenza, costringe a una diversa realizzazione, perfino ipotetica. Una
realtà, insomma, che diversamente da quella borgesiana, non sparisce
nel momento in cui cessiamo di credere in essa. E se a volte si ha anche
l'impressione di una scrittura a tratti assiomatica, aforistica,
tuttavia l'irruzione di questa realtà (quasi sempre urbana) determina -
specialmente nelle poesie più lunghe - come i rimbalzi di sassi
sull'acqua, una specie di "sovrapposizione" ovvero interessanti testi
nei testi che possono essere letti quasi a due voci, come un dialogo
leopardiano.
Restano fermi gli assunti, anche molto positivi, che credevo di aver
individuato nell'opera prima di Catalano: rivelazioni, agnizioni,
epifanie, fenomeni ed epifenomeni di una esperienza che può essere però
soggetta (come avverte Debora Pioli nella postfazione) a una "ricerca
testuale su un coefficiente di ripetizione infinita". Il che significa, a
mio avviso, che sia l'esperienza empirica sia la descrizione di essa
possono essere frantumate, parcellizzate e riprodotte ad libitum.
Ovvero resta da vedere se questo "metodo" Catalano avrà ulteriori
sviluppi, di quante altre variazioni sul tema potrà darci conto.
Giovanni Catalano - L'amico di Wigner - Lampi di stampa 2011
La sedia da regista
Siamo quello che manca.
Inganni, saranno poche, due o tre fermate di metropolitana.
Siediti pure e leggi, io preferisco stare in piedi — anche se stanco — per non rischiare d'abituarmi alle cose, tenere la borsa a terra come un figlio tra le gambe.
Saranno in pochi con la tracolla, a togliersi la borsa. Ad aspettare
(piccoli seni rosa dietro una maglia chiara)
mentre uno parla e per partito preso l'altro aspetta di parlare.
E si tengono il vestito a fiori, la gonna troppo corta hanno qualcosa tra i capelli
una farfalla sulla spalla, una macchia scura come una voglia
e cantano
(oltre recinti di ferro spinato fiori viola di buganvillea sai, fanciullo, ho pianto all'idea che al vento poi volino via)
coi giornali di oggi sempre gli stessi seduti ancora e ora che il parco chiude. E piove senza miracolo.
Si può dire: piove anche prima della pioggia, quando può piovere da un momento all'altro.
Questo discorso di non voler sentire, ogni cosa ha il suo tempo.
Infatti poco prima almeno noi eravamo a letto
e ci scoprivamo continuamente
erano anni che non bevevo e non dormivo così bene coi vestiti ancora addosso.
E gli ombrelli chiusi come fiori
dentro un vaso accanto alla porta.
Alcuni si sentono legati ad un giardino come cani, legati a un albero. Si salverà chi è nel giardino, dicono,
era una quercia e una quercia vive cent'anni, c'era poco da capire.
Ma io che passo lento devo tenere.
Il mio posto è l'equilibrio di queste case a picco.
Che a volte sedersi, stare seduti, è come essersi appena lasciati cadere al sole, casa sul lago un fine settimana.
Dopo tutto ci dividiamo in piccoli gruppi e lei si scioglie i capelli.
Non proprio lei, è soltanto lei in un film.
O scegliere dei tanti proprio questo: la gente che ha cominciato ad andarsene e che si alza e va nella sola direzione in cui doveva.
Un futuro di vento e di gerani senza ossa, di sedie e tavoli in giardino, posaceneri pieni di pioggia.
***
L'elastico del costume allentato dalle spalle per non lasciare il segno, il sole ti apre i denti.
Ci salverà la reticenza, l'educazione.
E una buona parte del tempo io non ti ho detto niente, era il nostro ponte di Mostar e a bordo piscina aspettavo.
i ciechi nuotano, anch'io chiudo gli occhi. Come se da altre cause dipendesse la mia vita
e non da quel boato in cui tu, prima d'entrare,
chiudi la bocca.
***
Tutti abbiamo commesso un errore nella vita. È questo il senso di un errore: che è stato commesso da tutti o prima o poi. E, niente, fuori c'è una grande fotografia. Fuori dalla nostra testa. No, non siamo contemporanei siamo piuttosto come Luglio e Agosto e devi scegliere dove vorresti andare quest'estate (una capitale europea o un'isola greca, un piccolo posto di mare). Quante altre volte dimenticheranno il giorno del tuo compleanno. Se ti dicessi che il carattere di una persona si vede anche dal modo in cui piega la carta dei cioccolatini. Tutto ha sempre avuto per me un certo sapore zen (la farfalla di Chuang Tzu, le monete dei Ching ad esempio). È il limite di ogni analogia. Ti fai una doccia ed esci, te ne vai ma che vuol dire (per sempre) hai lasciato un pettine d'osso, uno specchio appannato, la spugna. È questo il senso di andarsene?
***
L'ultimo miglio
Ma quello che vediamo sono le cose di ieri, prese un po' per come siamo, un po' per come siamo stati.
E anch'io allungo le mani nella speranza che le scelte possano cambiare.
Ma ieri è ieri, mi guardi, la morte è morte.
Così ti cade per tre volte: una moneta, un anello, la chiave. Un rumore del genere, una disattenzione.
E ci inchiniamo entrambi per raccogliere da terra quell'ultima benedizione che qualsiasi cosa ci venga tolta, ci verrà data un giorno.
Qualsiasi cosa.
***
Caffè della stazione
Se a colazione un invisibile vento lava via la gente e la richiude nelle case, nelle automobili.
Solleva la polvere fuori le porte dei bar.
E poi ci soffia a dosso il primo velo di zucchero.
Nel freddo dei ciechi appoggiati ai bagagli, al buio di chi ha amato ed è rimasto aperto.
Per accidente può accadere — smarriti ad un lampione — d'essere presi e gettati più in là.
Non era un buon motivo per partire, pensai.
Hanno lasciato le impronte sui banconi d'acciaio, i loro caffè sugli scontrini.
La gente muore e i bar restano aperti.
***
I cambiamenti climatici
Se i pensieri fossero visibili li vedresti camminare, rialzarsi e di nuovo cadere, rincorrersi felici come i figli la prima volta al mare.
Perché un ragionamento sta in piedi se è una replica esatta di noi.
Quando entriamo nelle grandi librerie dei centri commerciali. siamo d'accordo, non sono luoghi.
Dovremmo semplificare: un comportamento rimane un comportamento, il mondo una visione del mondo.
O i ragazzi che eravamo torneranno a giocare nei campi rom. Non sono luoghi.
E oggi che Auschwitz non è né vicina né lontana, chi è tornato ha detto che adesso ne hanno fatto un museo per fermarsi a pregare e dire grazie, essere grati, dicono, di non essere stati la soluzione e non la spiegazione, cambiare idea ci rende liberi.
Eppure sono sicuro, ci sta sfuggendo qualcosa, riprendiamo da dove c'eravamo lasciati.
La memoria è un gas che si espande, che tende ad occupare lo spazio a sua disposizione.
Ma un ricordo sta in piedi se è una replica esatta di noi di tutto ciò che avevamo cominciato a costruire o distruggere nel sonno.
Di tutto ciò che eravamo.
O se fosse un fraintendimento, un modo di dire, la libertà?
Noi a casa non ci siamo mai, gli altri già convivono, un appartamento.
È così che va: dividono un problema in tanti quadrati più piccoli ma prima o poi dovranno dimostrare il contrario.
Noi che siamo una coppia di quelle che richiedono continue energie. Uno è stanco anche solo d'alzarsi dal letto e andare in bagno scalzo, metà uomo e metà specchio e quel che rimane da dire, figurati, è questo. Se è questo il paradiso terrestre, la sorpresa
di non saper distinguere il bene dalla miseria.
O il sabato uscire, fare un giro all'Ikea come una prova d'amore — le economie di scala, i parcheggi, le code — ma vedi la verità non è due cose.
Io lo so non può funzionare. Se ci pensi, chiunque è sostituibile e questo dovrebbe renderci più liberi, spero meno facilmente ricattabili.
Ogni cosa si trasforma ma il calore si conserva. E tutto di colpo si riflette in ciò che non facciamo o ci assorbe totalmente come un'idea
che non abbiamo avuto.
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