Mercoledì, 15 settembre 2010
Alessandro Salvi è un giovane poeta croato di lingua italiana con già un discreto curriculum all'attivo. I testi che seguono sono tratti da una silloge ancora inedita, a sua volta parte di un più ampio lavoro dal titolo ("provvisorio", secondo l'autore) di Questa follia barocca. Il "provvisorio" o il "transitorio" non sono affatto accidentali nella poetica di Salvi, riferendosi essi a uno "spleen" che qualcuno aveva già notato in lui, sopratutto riguardo all'altro suo lavoro Piovono formiche carnivore e altre inezie (alcuni testi qui). Già, spleen et ideal, per dirla con Baudelaire. Certo, non si vuole qui scomodare il grande francese, se non per un flebile riferimento (o meglio ancora, un mio pretestuoso richiamo) a certe correspondances (vedi più sotto "io vi parlo da questa", "la bianca quiete della neve innerva") e tableaux (v. "questo succo d'arancia qui sul tavolo") che si trovano nei testi di Salvi. In cui c'è sì un disagio per quanto spesso stemperato nell'ironia, ma anche una speranza di poter "adempiere al compito di viverli [i giorni] e, perché no? migliorarli", come dice in una poesia, in un ideal che appartiene ancora, com'è giusto che sia, alla giovinezza, a quell'epoca della vita in cui i giorni sono ancora "nostri". Il poeta, per quanto "ostaggio" (a volte del "divenire", a volte del "provvisorio"), non smette mai di vivere dentro le parole, infilandole in testi interessanti, fatti per lo più di un linguaggio semplice con cui talvolta riesce a sfuggire abilmente alle trappole del banale, anzi rendendo spesso i versi come "lucidati e tirati a secco dalla bora e dal sole", talaltra intesse versi in cui la resa non corrisponde del tutto all'idea, che forse un pò si perde. Ma certa discontinuità è di tutti i poeti, è inevitabile. La sostanza c'è, secondo me, e c'è competenza linguistica e una certa consapevolezza. Il provvisorio, questo provvisorio ancorato (questo sì che è un ossimoro) nel '900 che non vuole morire, tanto saldamente da diventare tradizione, si combatte maturando la propria materia poetica. E spazio, in Salvi, ce n'è.
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