Perchè il mondo è vedovo? Quando il mondo è vedovo? Nel libro (se nel
frattempo non soccorre la memoria) si rinviene un exergo della Rosselli
di Variazioni belliche (anche solo dagli exerga si potrebbe
costruire una piccola biblioteca ideale di Turroni). Certo: il mondo,
come ciascuno di noi, è vedovo quando manca l'altro, la compiutezza, la
realizzazione dell'identità; ma lo è anche quando il male, l'assassino,
il distruttore "cammina ancora" e questo mondo contemporaneo, è già, quasi preventivamente, vedovato dalla ingiustizia degli uomini.
Libro epico, questo di Paola Turroni, come giustamente nota Bertoni nella sua nota. Intanto per come dice, per il suo linguaggio, linguaggio semplice, "povero", quindi dei poveri.
Un linguaggio che supera agevolmente certi falsi problemi di poesia in
prosa e viceversa. Non c'è assolutamente niente di artefatto o ermetico
in questo linguaggio, niente di sperimentale. Niente di mimetico, no, è
proprio condivisione, emozione. La ricerca, assolutamente perseguita
perchè sostenuta da un'idea forte, è semmai centrata sulle modalità
espressive, sulle forme, sulla voce, sull'oggetto del dire, sulla comunicazione, intesa essa anche nel suo pieno valore etimologico. Se volete, anche se non ho particolare simpatia per il termine, è poesia civile (ma anche qui superando certi nostri localismi di genere). E' (e credo voglia essere) anche e più teatro, mise en scène,
rappresentazione di scenari tanto banali (nel senso harendtiano) quanto
drammaticamente e insensatamente ripetitivi (e non è un caso che la
guerra, protagonista principale, si svolga sempre - come banalmente si
suol dire - su un teatro). E naturalmente questa è guerra di
effetti collaterali, è querra residuale, la peggiore, quella fatta delle
mine lasciate indietro, è quella subìta, la guerra dei poveracci, il
motore di molte migrazioni, forse proprio quelle che si infrangono sui
nostri scogli. E' anche, naturalmente, la guerra di tutti i giorni,
la guerra della fame, della sopravvivenza pura, del futuro improbabile o
negato. E anche la guerra dell'ovunque, nei molti luoghi di questo
libro, luoghi non nominati, forse Tehran, forse Sarajevo, forse la
Palestina o la Cina, forse qualche baracca dietro casa nostra. Che
importa dove, è la globalizzazione della miseria o dell'espropriazione,
il non-luogo del dolore.
Lavoro meditato, architettonicamente robusto, il libro è organizzato in cori (che col pensiero rimandano alle attività performative di Turroni); direzioni di
una rosa dei venti insieme geopolitica e sentimentale al cui centro c'è
un occidente un pò attonito e un pò cinico ("speriamo che non scoppi la
guerra proprio adesso / ho l'aereo tra due giorni"); valichi,
che non sono solo luoghi fisici, ponti, sbarre, campi di raccolta, ma
anche confini dell'anima, ostacoli da saltare, frontiere dell'umano
disconosciuto; e un funerale, sigillo del libro
(ma non termine della Storia, quella ricorsiva e terribile), luogo
memoriale ("i morti sono vivi e ci raccontano / la frana della sera"),
lamentazione quasi classica affidata, come il resto della narrazione,
alle donne. Le donne (e i bambini) sono centrali in questo libro. Gli
uomini, sembra di capire, sono altrove. Forse a combattere, forse
emigrati, forse morti in qualche luogo, spesso dall'altra parte, quella
dei carnefici ("dall'altra parte i soldati - non gli uomini", cosa ben
diversa). Donne e bambini come voci individuali senza nome e come voce
collettiva di "un qualunque 'io' nostro contemporaneo e primomondista"
(Bertoni), espressa con un tono che è tanto più denunciante quanto più è
nella narrazione pacato (ma non rassegnato), quasi tolstoiano. ...Le
donne, i bambini, "metà di una parte strappata, voluta, voltata", ciò che resta quando il mondo è vedovo.
Paola Turroni - Il mondo è vedovo, ed. Carta Bianca, Bazzano 2010, collana Poesia contemporanea, nota critica di Alberto Bertoni