Torno volentieri su Bartolo Cattafi, gia pubblicato QUI,
un post che ha riscosso parecchi consensi tra gli amici che seguono il
blog. Immagino che la ragione risieda nel fatto che Cattafi e la sua
poesia assomigliano molto a uno di quei bisogni che sentiamo di avere
senza averne ben chiaro l'oggetto, qualcosa che amiamo e ignoriamo allo
stesso tempo. E non è strano, da un certo punto di vista, che luci e
ombre (e qualche dimenticanza) accompagnino la sua fortuna critica.
Eppure ogni volta ci affascinano i suoi versi limpidi, il suo essere
cittadino libero ovunque e insieme la sua forte "sicilianità", la sua
padronanza del linguaggio (spesso Cattafi scriveva di getto ed era il
modo che preferiva) accompagnata alla consapevolezza della sua crisi e
del continuo combattimento con la parola che il poeta, ogni poeta, sente
inevitabile e infinito.
I testi poetici qui riprodotti appartengono alla raccolta L'osso, l'anima,
mentre la dichiarazione di poetica, forse l'unica mai espressa da
Cattafi, costituì una sorta di prefazione ai brani che Giacinto
Spagnoletti ospitò nella sua antologia Poesia italiana contemporanea, edita da Guanda nel 1959.