Quattro poesie di Mario Lunetta, un poeta (e molto
altro) che piaceva molto al compianto Luigi Di Ruscio, quattro brani che mi paiono utili per rinfrescare la mente
in questa stagione bischera e mi sembra vadano bene per il tempo
ordinario, ma con poche speranze, che viviamo. Testi nei quali tra ironia e
cattiveria Lunetta, partendo da eventi anche apparentemente minimi che rapidamente deragliano verso la catastrofe, mette in scena la sua particolare critica della
realtà attuale.
Dice Francesco Muzzioli, nella prefazione a "Magnificat", Ed. Tracce 2013: "Nella
sua fase recente, diciamo all’incirca nell’ultimo decennio, la
scrittura di Mario Lunetta – questa formidabile “scrittura ininterrotta”
che senza posa attraversa tutti i generi, dalla poesia alla narrativa,
dal teatro all’aforisma, dal saggio critico all’antologia e via dicendo –
si è attestata su di una visione assolutamente disincantata e
sarcastica della degradazione economica, morale e culturale del nostro
mondo odierno. Diagnosi senza speranza, è vero, però lucida e attiva,
che non conduce nel vicolo cieco della rassegnazione, né tanto meno alla
rinuncia del silenzio, ma insiste a percorrere in lungo e in largo il
panorama dell’orrore contemporaneo esercitando ad ogni passo la sua
“scherma fantastica” (la fantasque escrime di cui parlava Baudelaire)
contro la moltitudine delle storture e delle stupidità sociali. Chi
supponesse che questa poesia “virata al nero” diventi monotona, perché
la lingua andrà sempre a battere per forza là dove il dente duole,
sarebbe in errore. Non è affatto così, sia perché all’uniformità
dell’omologazione imperante risponde una corrispettiva diffrazione e
variazione stilistica; ma soprattutto perché il divenire abitudine
dell’orrore (il fatto che ormai ne siamo anestetizzati e l’ennesimo
scandalo provoca una sensazione di déjà vu), non essendo altro che
l’ispessirsi dell’orrore medesimo, è proprio il bersaglio che s’intende
colpire. Naturalmente, nessun palliativo è accetto e nessuna facile
illusione di orizzonti luminosi o di carismatici messia in arrivo, né
tanto meno di “luci in fondo al tunnel”. I margini di manovra sono
assolutamente stretti – Lunetta lo sa bene, in un panorama dove i pochi
compagni di lotta stanno scomparendo ad uno ad uno – e sono tutti nei
termini di un minimo “tuttavia”, o “todavía” come ormai preferisce dire
l’autore, al modo di un donchisciottesco hidalgo". Da aggiungere,
come ovvio corollario, quanto Lunetta ha affermato in una intervista
rilasciata a Simone Gambacorta, in risposta alla domanda sul "fare"
poesia: "Detesto il lirichese, oggi così di moda in questo nostro
stupido paese. Mi ritengo un poeta dialettico, che non guarda solo il
proprio ombelico e non celebra le proprie pulsioni individuali. Il mondo
è vario, anche se sempre più omologato nella volgarità, e un poeta deve
avere il coraggio e la consapevolezza di guardarlo e confrontarvisi.
Per farlo, occorre rinunciare alle scorciatoie del lirismo e dell’elegia
– Baudelaire diceva che “tutti i poeti elegiaci sono delle canaglie” –
per misurarsi coi linguaggi complessi. Quindi, non emozionalità di primo
grado, ma lucidità e straniamento".