A proposito di Georg Baselitz, Museo d’arte moderna, Parigi
Scavare la materia per scoprire una forma già là, pre-esistente, sommersa, lavorare sul togliere, sul tagliare, sull’estrarre o affondare, mai
sull'aggiungere, dare forma, affinare. Togliere il superfluo, strati su strati per arrivare all'oggetto in sé dove l'atto di scavare rinvia
implicitamente alla terra, a un ritorno al suolo, all'impronta d'una matrice generativa, generante o rigenerante per l’immaginazione nella sua messa in
spazio plastica d’altre possibilità sculturali.
La scultura si vuole in Baselitz ritorno a un “grado zero” della medesima, simile a un de-stratificare, sfogliare, discendere in senso
genealogico, strato su strato, ciò che corrisponde, anche, a decostruire le sovra-strutture dell’estetica occidentale fino a toccare o raggiungere
paradossalmente una sorta di “innocenza ritrovata” nel fare artistico, (innocenza a posteriori prodotta a ritroso d’una cultura). Partire dal gesto in
presa diretta sul legno, gesto di “non-sapere” assoluto, non premeditato né razionale, violento, primordiale, gesto in togliere che porta in sé
qualcosa di irriducibile dandosi in primo luogo nel proprio potere di presenza e di fascinazione, al di qua d’ogni preoccupazione formale o
stilistica.
L'energia violenta implicata in tale atto, la brutalità del legno nella sua realtà ordinaria, una materia “bassa”, a portata di mano attaccata
direttamente dall'ascia o dalla segatrice; lo stato d'urgenza, di necessità nell'approccio sculturale, l'intempestività del suo darsi in presa diretta
su tempo , contro il tempo, a contro-tempo sulla forma, in parte ridipinta, ripresa o ridisegnata a tempera, acquarello o vernice, aggiunta di stoffa o
d'altri tessuti, presa infine tra il desiderio di figurare e il ritorno a una primordialità della materia tronco-albero-legno in quanto forza
emergente, agente o generante dalla natura.