Diaforia si cimenta ancora, dopo Agnetti, Toti e diversi altri, in una oper
azione di archeologia culturale. Detta così sembra una cosa abbastanza polverosa, ma si tratta di un appassionato recupero, anche esteticamente rilevante, di elementi preziosi, dispersi per qualche ragione (editoriale, temporale, torrentizia, carsica), ma che portano in sé, come ogni reperto che si rispetti, non una Storia museale ma un'immagine e una evocazione, un suggerimento e una suggestione. Ovvero - in ultima analisi - qualcosa che rizomatizzi (sì, proprio in quel senso lì) in chi, magari, non ha scritto ma deve ancora scrivere. Perciò non leggetelo, se temete che stimoli in voi qualcosa di brillantemente imprevisto.
Questa volta si tratta di Luigi Ballerini e del suo "eccetera. E", opera prima del nostro (e su questo suo essere "prima" ci sarebbe già da parlare, in relazione al suo "dopo"), risalente come pubblicazione al 1972, come ricorda Giulia Niccolai in una nota finale al libro (ce n'è un'altra, ugualmente interessante, scritta da Remo Bodei, mentre il bel saggio introduttivo è di Cecilia Bello Minciacchi).
«Può agire come un rimedio, eccetera. E, può funzionare come un antidoto - ANTIPAURA è il suo testo d'ingresso — ai veleni della convenzione linguistica, degli abusi e delle catacresi e, al tempo stesso, può agire come antidoto al pharmakon che la neoavanguardia aveva proposto per quegli stessi veleni, un preparato salvifico e tossico insieme, secondo la duplicità di senso del termine greco originario: "medicina" e "pozione letale".
Questo radicale testo di Ballerini prende le distanze dai "linguaggi novissimi" che pure ha assorbito e cui si riferisce: il lettore che alle Poesie per gli anni '60 si era un po' assuefatto, in eccetera.E non ha potuto ritrovare, in tutta pace, paesaggi lunari, scolii e simboli junghiani del laborintico esordio sanguinetiano. Non vi ha ritrovato neppure, allo stesso modo dominanti, il ritmo variabile e percussivo e la narratività del poemetto di Pagliarani, né la Milano della dattilografa diciassettenne, con le rotaie che si torcono come bisce, le «polveri idriz elettriche» e il cielo di lamiera. E neppure l'inesorabilità combinatoria che raffreddava (mai troppo, per fortuna) i montaggi di Balestrini, né la crudele ritualità di Porta, l'ossessività letterale con cui sigillava gesti in catene versali impietose. Vi ha forse potuto percepire la sorveglianza di un'acuta intelligenza critica analoga a quella che sosteneva l'esattissima poesia di Giuliani. Ma la novissima aria di famiglia che sembra aleggiarvi è oramai uno strumento (e quanto affilato), un'autointerrogazione e uno stratagemma. (...) È un libro, eccetera. E, che ama visceralmente la letteratura e al tempo stesso, nondimeno, è capace di prenderne salutari distanze. Di letteratura è nutrito, sostanziato, diremmo, nella gran parte delle sue minime costituenti, anche nelle sue sillabe, ma alla letteratura sa guardare con disincanto. Ciò provoca, nel lettore, un'attrazione profonda, e contemporaneamente un sospetto, un appressamento e una repulsione. Impossibile abbandonarsi, crogiolarsi a contemplare il castone - «(com'adamas)», appunto - perché quella gemma non basta: unica com'è, innesca un desiderio e quel desiderio finisce per avvilire. Raramente Ballerini cede alla ripetizione spandendo in versi poco distanti tra loro cellule testuali della medesima provenienza. (...) Il suo meccanismo è radicale, e della lingua (e della poesia) conferma, anzi esalta la valenza di corpo, di fisicità manipolabile, scomponibile. Tra le sezioni più interessanti e più dense del libro, peraltro, sono indubbiamente quelle focalizzate sul corpo (e corpo-linguaggio) - presentissimo in tutta l'opera, si pensi all'ampiezza dello spettro lessicale anatomico e medico - che con la sua parcellizzazione crea un'orditura fitta, a tratti ossessiva. Nevralgica quanto il rapporto con la tradizione e con le avanguardie. Con eccetera. E Ballerini intraprende una ricerca poetica diversa dai testi precedenti - si vedano le poesie in Opera aperta (1966) -, compie uno scarto. Il senso e l'importanza del libro risiedono proprio nello scarto inteso in duplice significato, quello del "residuo" della "spazzatura", appunto, degli avanzi - e quello della "deviazione", dello "spostamento brusco e repentino". » (dall'introduzione di Cecilia Bello Minciacchi)