Giovedì, 30 maggio 2013
Salvatore Contessini - Dialoghi con l’altro mondo - La Vita Felice 2013
Se è vero che il suicida porta con sé una mente dietro la mente in cui, comunque, esiste la coscienza del corpo e la percezione del mondo si può pensare
alla presenza di una irrazionalità razionale che traduce continuamente la meraviglia della vita e del creato in un attimo, senza tempo, in cui vita/morte
si ricongiungono in modo enigmatico ed essenziale. La certezza della sacralità del circolo vitale oscilla tra l’oscurità e la sua luce in un continuo
castigo che deframmenta la tristezza in toni folgoranti dell’esistenza.
Nel volume Dialoghi con l’altro mondo di Salvatore Contessini (La Vita Felice 2013) i versi del poeta suicida, con cui l’autore
sceglie di interagire, diventano, soprattutto, un atteggiamento comunicativo emozionale. Contessini programma un percorso pilota che consente al lettore di
non avere un posto marginale nella sperimentazione dialogica in cui la luminosità dell’ombra non viene mai giudicata, mai deturpata nella dignità umana.
L’alternanza delle voci narranti pongono l’attenzione verso l’io classificandolo come un bisogno, non solo di stile, ma di senso connotativo.
Il filo narrante viene tessuto con abile originalità metrica mantenendo una costante tensione simbolica verso il confine intimo, che, se raggelato dalla
scelta consapevole della propria morte, mantiene un’incarnazione costante e attualizzata del viaggio nella vita. La vita, infatti, pulsa con decisione e
suggerisce tappe possibili: l’interrogazione dell’autore rappresenta lo scarto tra l’idealità e la realtà agendo le proprie angosce esistenziali e i
sentimenti di cui si nutre il lato psicologico di ciascuno. Si rateizza un romanticismo indeterminato nell’identificazione inquieta degli stralci poetici
dei suicidi che diventa un’unica voce, indivisibile, delirante, destinata a liberare il segreto.
Contessini, predisponendosi come corpo/mente multiforme, si avvicina al tormento sospeso tra la vita e la fine sviscerando gli aspetti inconfessabili.
Accede, con sensibilità autentica, all’irrequieto e duplice moto dell’ignoto. (Rita Pacilio)
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Sabato, 30 marzo 2013
Corrado Bagnoli – Casa di vetro - La Vita Felice 2012
Bruno Bandini ne ‘I linguaggi della critica’ (FaraEditore 1996) parla di
pensare e fissare, percepire e presentare, sentire ed esaurire la sensazione in un’immagine, in un’azione, in un oggetto, arte e vita, un procedere per
binari paralleli che aspira al suo punto all’infinito. Nel ‘vuoto’ esistente tra arte e vita, il libero progettarsi dell’uomo, il legarsi, creativo, al
cielo evolutivo della vita (siamo all’osmosi dei due momenti) per un’affermazione del presente e del contingente.
Indicazioni di questo tipo spingono il lettore a prendere in considerazione aspetti ontologici e deontologici di un’opera poetica che in sé racchiude
molteplici significati creativi e fecondi elementi sociolinguistici. E’ questo il caso del volume di Corrado Bagnoli Casa di vetro - poema in Tre quadri, edito La Vita Felice 2012, che, stabilendo le pluralità di senso e dei nessi venutisi a stabilire
tra le immagini, le parole, gli spazi e le cose, traduce una forte concentrazione poetica interagendo con la vita e il mondo. L’andamento narrante che
sembra sfociare in un prosimetro, pur sempre controllato e raffinatamente ritmato, racchiude tutta la sua liricità nella matura intuizione della lingua
poetica magistralmente utilizzata concretizzandola in un testo dialogico che produce concretezza di rifiniture e la capacità di svelare i diversi volti del
reale. Le esperienze impresse nelle immagini sono attraversate dall’autore per mezzo di coscienze che testimoniano l’appartenenza di un secolo di
vita che non si indebolisce, ma che sono presenti nell’esistenza di chi osserva, di chi si esprime e di chi si trasforma attraverso la contemporaneità del
riconoscibile, del vissuto, del quotidiano. Le tracce dello scarto del tempo mobilitano il fluttuare del percorso fascinoso nelle tre fasi esplosive e
implosive del poema connotando il gesto poetico di simbolismo analogico. Le sovrapposizioni della necessità visivo/reale, in qualche modo motivate dalla
genialità blakiana, svelano l’intenzione a rapportarsi alla visione intrigante della simbologia alchemica quasi come per affidarsi a soluzioni rivelatrici
del significato autentico della parola poetica. La lettura del reale si configura in un quadro o in quadri liberati dai loro confini: l’essere umano rimane
inevitabilmente addolorato dalla sua condizione precaria, fragile, esposta alla ferita, alla delusione. Solamente il poeta sa che lo smarrimento è
condizione di ricerca, di domanda, di enigma, di urgenza, di stupore, di risalita. Ecco perché si mescolano le energie cosmiche e ci si libera dai vincoli,
dai limiti: è la stessa fine che assicura il nuovo inizio
La casa, adesso,/è il poeta; il poeta, adesso, è questa/casa di vetro, ferita, aperta, voce./Pietà necessaria, profezia inutile./Ricominciare. (rita
pacilio)
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Mercoledì, 27 febbraio 2013
Marco Bellini - Sotto l’ultima pietra – La Vita Felice 2013
La poesia si mette al servizio del concreto diventando il recupero immediato degli attimi del reale quando il poeta riesce a cogliere il senso
dell’esistenza con naturalezza, quasi innocente, consacrando la memoria popolare, l’appartenenza al mondo. La bontà poetica di Marco Bellini in Sotto l’ultima pietra, LVF 2013, emerge nella spiritualità delle mappe geografiche, nell’oggettività dei vissuti temporali, nel ritmo interno ed
esterno alle cose che trascorrono fino all’inconoscibile e inafferrabile mistero della morte. La padronanza del verso libero e dell’utilizzo di singoli
segmenti fluidi, apparentemente semplici, costruiti seguendo una metrica sciolta, spesso sincopati, non ci portano verso un destino prestabilito del verso,
ma ci inducono a cercare un istinto di significato stilistico elegante e curatissimo fino al suo dettaglio più sperimentale/colloquiale/lirico. Bellini
invita i lettori a fare un percorso intuitivo, geografico, geometrico, identitario e, a volte, esorcizzante: un valicare flessibile, paradossalmente
introspettivo, adempiendo una scoperta di ordine mentale nelle realtà umane e territoriali alternate da tematiche narrate in immagini e racconti di culture
vicine e lontane che si collegano con l’esistenza più vasta e profonda dell’intero universo. I significati arcani dei luoghi, le antiche saggezze delle
donne che si riconoscono in un ruolo di subordinazione, l’intolleranza sociale, la morte e i suoi inganni si concentrano in un dire poetico moderno che può
somigliare, non solo per il variare tematico, alla poesia filosofica perché, abile al canto, è capace di educare, e, intenzionalmente, è dotata di
complessa autocoscienza con una funzione analogica, fondativa e discorsiva. La poesia si piega, così, al compito della conoscenza, la
approfondisce, rinnova il suo sguardo su se stessa e si rende disponibile all’approdo dell’esperienza dell’istante rigenerato. La latitudine
geografico/semantica è funzionale alla visione della parola poetica come profondità della realtà che accompagna il lettore verso la verticalità del
parossismo dialettico caratterizzato da sguardi affidati sia a fragilità umane innestate nelle culture dei contesti, sia a incursioni di alibi e sottintesi
che possono riformulare le ricognizioni dei paesaggi circostanti dal mutare delle proprie parvenze. Il tempo diventa un incipit, un punto da cui ripartire,
un gioco d’infanzia, una sistemazione ambientale in cui è possibile approfondire e denominare, in forma retroattiva, l’umanità contaminata dalle azioni
discontinue e intossicate dai comportamenti amorali pregressi. Bellini osserva, narra e ricuce percorrendo località prossime al fiume Adda: propone con il
suo tracciato letterario-zonale un riattraversamento delle esperienze concrete degli spazi, lì dove le vicissitudini umane non vengono visitate come
reliquie, ma come humus intellettualmente utile e sempre fecondo da suggerire come lezione storico/filosofica che può dettare suggerimenti e moniti.
Bellini scava nel corpo materico dell’intero cosmo, fino all’ultima pietra, rimettendo in circolazione più realtà sopravvissute ai luoghi, più ideologie,
più voci per resistere all’amplificazione dei codici che traducono l’estrema metafora dell’ignoto che coincide conquell’immobile puntino di luce al centro dell’universo dove ogni cosa si incontra e ogni cosa si interseca verso l’altra sponda del fiume (Charles Wright). (rita pacilio)
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Venerdì, 1 febbraio 2013
Matteo Maria Orlando - Mi fa male una donna in tutto il corpo – La Vita Felice 2012
L’opera poetica Mi fa male una donna in tutto il corpo, di Matteo Maria Orlando, contiene elogi d’amore narrati in versi limpidi ed espliciti
dedicati alla figura femminile, contraddittoria e multicolore, quale musa di esperienze di dolore e di profondo piacere. La tematica sentimentale è il
sottofondo luminoso attraverso cui il lettore può osservare il reale individuando i propri percorsi emozionali. La Poesia non è l’espressione
immediata di un’emozione; è un’emozione esatta, come diceva Eliot, proprio perché reagisce alla critica immanente ed è chiamata a giustificare la propria necessità (Massimo Cacciari). Matteo Maria Orlando colloca lo sguardo emozionale sull’anima della propria amata
per tracciare un percorso di levitas senza staccarsi dai luoghi e dalle cose del mondo. Come tutti coloro che vivono il linguaggio poetico,
l’autore non esaurisce il pathos nel significato, ma si lascia appartenere,in tutta la sua essenza, dal logos complice che conserva potenza e nobiltà
filosofica: così io parlerei se potessi fare poesia (Eliot). I verbi pronunciati, privi di retorica, sono quasi tutti al presente perché spingono
impulsi e immagini verso un moto in avanti, inteso come uno spazio fisico ed un tempo storico nuovo, architettato con cura e simbolicamente, da chi scrive.
La poesia qui vuole significare esperienza del quotidiano sentimentale fissando l’attenzione all’estetica reale che sembra allontanarsi dalla concezione
della poesia evasiva e oggettiva del primo Novecento. Il viaggio, in cui il lettore è accompagnato, è un unico atto d’amore: un tragitto lungo vari
registri morali e di senso che confessano lo stato d’animo del poeta quale individuo immerso nelle proprie sensazioni e che sa riconquistare l’energia in
eterno movimento del proprio corpo (Mi fa male una donna in tutto il corpo – Borges). Orlando comunica al lettore che la propria
esperienza amorosa è aperta ad infinite dimensioni culturali che dovrebbero valutarla come un campo ideologico in cui l’universalità umana partecipa in
modo totalizzante, senza porsi limiti, né confini. L’io diventa noi ed ogni evento pronunciato esce dal singolo per entrare a far parte
di un coagulo di esistenze che comunicano e ricercano, sorprendendosi, il senso della vita. (rita pacilio)
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Mercoledì, 16 gennaio 2013
Giuseppe Rotoli - Porta luce il dolore – La Vita Felice 2012
Porta luce il dolore
di Giuseppe Rotoli è una raccolta poetica struggente, inevitabilmente condivisibile: arriva al lettore come un canto di un soldato prigioniero del suo
male, lì sulla lettiga, che guarda se stesso andare verso il suo destino (La casa in collina, Pavese). Il corpo aggredito dalla prigionia della
malattia chiede, si mette in discussione, coglie l’intenzione del progetto cosmico, sa che la corsa verso la guarigione è un percorso che passa attraverso
la metamorfosi della carne e la purificazione dello spirito. E’ un addestramento all’esperienza dell’intero ciclo vitale, una nuova prospettiva d’ascolto
del silenzio dell’anima. Comincia l’interrogazione agostiniana, intima e profonda con Dio. Un dialogo che rassicuri, protegga e che possa rompere la
congiura di un destino infausto, crudele che mira alla perdizione della carne, al declino della fede. L’autore, invece, non si lascia sconfiggere dal
dolore del mondo: seleziona, come un chirurgo oncologo, ogni fragilità anatomica del corpo e della realtà delle cose per attraversarla, comprenderla,
accoglierla. La poesia diventa fisicità emblematica che fiorisce e perisce in un lasso di tempo in cui sono in bilico le metafore che si soffermano sulla
propria essenza ‘parlante’. Il corpo malato e trasfigurato usa la propria mente per rispondere alla conoscenza della memoria della morte filiale
elaborando, così, l’abbandono dei luoghi abitati dagli eventi luttuosi, ripercorrendoli, sezionandoli, riconoscendoli. L’ambiente ospedaliero diventa
materia poetica per educare alla peregrinazione fisica e mentale del rischio della perdita. L’itinerario è laico e mistico a un tempo: i rituali di
spoliazione delle scorie malate si muovono in uno spazio geografico in cui si compiono scoperte decisive, mature, intime. Uno spazio/tempo in cui Rotoli
non si chiude ai compromessi emotivi, ma che propone al lettore come prosecuzione inesorabile della vita a cui, comunque, bisogna affidarsi. Il dolore non
è un nemico da abbattere né un alieno da subire: il poeta ci aiuta a mantenere il controllo del corpo e dell’attacco del tempo che avanza in modo
inesorabile le rendo/scarse le ore e coniugo/muro e morte nella nostalgia/della luce. La paura della sofferenza non riesce ad insinuarsi nelle
parole dell’autore che sorveglia il contatto traumatico e inquietante con la Croce di Cristo. Giuseppe Rotoli entra in totale confidenza con la Via Crucis
del Verbo, tanto da viverla in modo parallelo come ampliamento catartico del proprio percorso terreno. La Luce è l’obiettivo da raggiungere, da verificare,
poco per volta, in modo silenzioso, ma necessario per evolvere la propria essenza umana, per confrontarla al divino, per giustificarla. (rita pacilio)
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Giovedì, 27 dicembre 2012
Adriana Gloria Marigo - L'essenziale curvatura del cielo - La Vita Felice, 2012
La poesia di Adriana Gloria Marigo arriva al lettore come una forte energia in movimento. L’essenziale curvatura del cielo, infatti, è
una posa intellettuale che attinge nell’universo, ovunque, le conoscenze cosmologiche e filosofiche da tradurre in poesia. Lo scopo poetico dell’Autrice è
quello di mantenere un contatto forte con la materia esistenziale e culturale dell’amore, inteso come ritmo antropologico e come manifestazione
prolungata della realtà. Marigo ricerca nei versi, eleganti e incisivi, l’adeguato gusto e rigore linguistico per comunicare al mondo l’esattezza e la
chiarezza con cui è necessario intessere il rapporto vita-poeta-lettore. Lo spazio-tempo in cui l’autrice errante diventa peregrina intellettuale è
destinato a diventare uno spazio cosmico-riaccolto, mai immaginato, bensì definito dall’analisi degli elementi conoscitivi fisici e mentali sempre in
tensione. L’attesa, l’incontro, l’illusione, l’incanto, il ricordo, il disincanto, l’ostinatezza costituiscono la colonna vertebrale di questa raccolta
poetica che sorprende per le dinamiche metaforiche descritte, originali e possibili come unica via di scampo alla fuggevole e insoddisfatta sensibilità del
mondo. L’aspirazione e la salvezza dell’uomo è da ricercare nel continuo processo di rinnovamento purificatorio dell’esperienza vitale. Il
passato-presente-futuro si affiancano e si fondono nella stessa contemporaneità dove si incontrano parole, immagini e folgorazioni fugaci. Così spariscono
le distanze e prendono forma gli elementi naturali con una spinta emotiva surrealista, allegorica. L’autrice celebra, in prima persona, l’azione,
riconosciuta e fervida, della passione intellettuale del mondo creativo puntando lo sguardo alla poesia del novecento come realizzazione matura
del proprio destino artistico. Riluce il pudore delle domande senza fondo per non mostrare la vita come una terra stanca, già percorsa, sofferta, data. La
parabola emozionale ha una curvatura esistenziale stratificata, ampiamente segnata dal cammino nell’oltre intuizione. Marigo non costruisce il
cosmo con leggi bizzarre, ma eleva la percezione romantica della tradizione poetica a suprema intelligencija, alla grazia del cielo. (rita pacilio)
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Giovedì, 6 dicembre 2012
Marco Bellini - Attraverso la tela – La Vita Felice 2010
Attraverso la tela,
di Marco Bellini, è una lucida raccolta di versi e narrazioni che ricorda le svolte dello spazio cosmico del destino dell’umanità già
lette nei lavori di Elena Svarc. Il lettore si trova di fronte ad una colloquialità che dal ‘basso’ procede verso il ‘laterale’ perché le esperienze
vissute e conosciute, di cui l’autore parla, sono condivisibili e donate in una forma di confidenza amicale, quasi confessate. Bellini sa che ogni elemento
del reale appartiene al mondo e che nessuno ne può cambiare l’irreparabile fatalità. Il tempo è localizzato nelle casuali intonazioni ideologiche e
sociologiche: e allora ho chiesto di uscire dal tempo. Questa poesia ci consente di avvicinarci all’attività conoscitiva dei pensieri compiuti e
all’importanza delle sue motivazioni. L’autore esce ed entra nel reale, infatti, per trasformare in poesia gli attimi che si annullano quando la
definizione psicologica diventa corpo-materia. Il ritmo lessicale e l’evidente estetica romantica delle visioni proposte si mescola ad un raro senso
poetico: tutto viene partorito da un subconscio che vuole rivelarsi come razionale, ma che conserva ed evidenzia una forte pulsione emozionale. La
rifrazione del verso, espresso in una prosa poetica curata e coerentemente aperta, sprigiona una tensione fenomenologica che appare, a chi entra nel
racconto poetico, come una sequenza di specchi sovrapposti. Il senso metaforico presenta un’ ‘essenza parallela’ che può determinare un nuovo flusso vitale
possibile, dettato da regole eterogenee, e una nuova filosofia dello spazio-tempo che ci catapulta nel monologo, assai profondo, che misura, nel nostro
animo, la percezione delle cose sensibili. In questa raccolta leggiamo, tra le righe, la consapevolezza della negazione filosofica del Novecento in cui
Montale preferiva sottolineare il suo ‘non volere’ o il suo ‘non essere’. La lettura sincera del mondo, come straordinaria aderenza poetica, è
l’elaborazione della fine del silenzio della perdita-assenza. Bellini definisce in modo acuto le distanze temporali tra ciò che è stato e ciò che rimane:
non sfugge la definizione dei parametri che indicano gli abissi e ci dona, con autentico rigore, i movimenti armonici tra l’esistenza morale e la sapienza
dell’intelletto. (rita pacilio)
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Domenica, 10 giugno 2012
Daniele Santoro - Sulla strada per Leobschütz - La vita felice 2012
Frammenti di Shoah che Daniele Santoro mette in versi,
a partire da fatti, ricordi, documenti, come si evince da note e
bibliografia. L'idea di fondo del libro è dunque questa, un libro di
programma quindi, senza voler togliere nulla alla forte spinta etica di
Daniele o forse alla necessità di ricostituire una memoria o una
identità.
L'affermazione di Adorno, secondo cui "scrivere
una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa
consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie"
è arcinota. Sappiamo peraltro che in seguito Adorno ci ripensò su,
precisando che semmai era meglio affermare che "non ci si può più
immaginare un’arte serena" e non credo che a tutti sia perfettamente
chiaro il suo pieno significato. Sappiamo che più volte detta
affermazione è stata comunque confutata dalla letteratura stessa.
Sappiamo anche che la sopraffazione del dolore, il tentativo di dire
l'indicibile, narrare l'inimmaginabile si è tradotta in difficoltà del
dire (e forse di gettare uno sguardo nell'abisso), in un linguaggio
spezzato e oscuro come quello che Primo Levi (pur amandolo)
"rimproverava" a Paul Celan, quando diceva di "pensare all'oscurità della [sua] poetica come ad un pre-uccidersi, a un non- voler- essere, ad una fuga dal mondo", o ancora a "un riflesso dell'oscurità del destino suo e della sua generazione".
Dunque, si può parlare ancora di quella immane tragedia? Santoro,
classe 1972, ha affrontato la questione. Si chiede il prefatore,
Giuseppe Conte: ci si può documentare per scrivere versi? Lui si
risponde di sì (e parla di sfida). Io invece non lo so, o almeno credo
che non basti, altrimenti potremmo aspettarci da uno dei tanti liceali
che ogni anno salgono sui treni della Memoria che li portano a visitare
Auschwitz o Mauthausen, a parte una auspicabile nuova consapevolezza,
qualcosa di più di un buon tema. Ovvero, c'è un nesso tra esperienza
cognitiva e fatto artistico? Il filtro può essere meramente culturale?
Fino a che punto la cognizione del dolore può essere mutuata prima di
poterne trarre a buon titolo un oggetto poetico? Credo che il punto sia
questo, o almeno uno dei punti. Cioè l'empatia dell'autore, il fare sua
la tragedia, anzi di più, cercare di capire (e far capire al lettore)
le ragioni di una personale scelta, da quale profondità essa provenga.
Per capire cosa intendo forse potremmo rileggere cosa scrissi brevemente
a proposito di "Lettera da Praga" di Francesco Marotta (v. QUI)
E' proprio questa "lontananza", se così si può dire, che permette a
Santoro di affrontare la Storia in maniera postmoderna: il linguaggio
viene chiarificato, reso colloquiale, a tratti "modernizzato", l'indicibile viene "detto" (e gli eventi ricomposti)
per frammenti, come una registrazione, l'autore rinuncia a una epica
del dolore, tiene a bada - credo volutamente - sia l'elegia sia
l'emotività lirica (tranne che in alcuni testi che preferisco, oltre alla secca ma dantesca La distribuzione del pane) ovvero
quei tratti che più consentono quella carica affettiva e empatica a cui
alludevo, quegli elementi di trasfigurazione del dato di realtà che
coinvolgono e contaminano sia autore che lettore, ne mettono in moto la
capacità di percepire quello che non sanno, nemmeno se lo hanno
studiato. Eppure è proprio questa "freddezza" che alla fine di questo
libro che si legge velocemente potrà lasciare il gelo evocativo di una
tragedia su cui non sarà mai possibile dire l'ultima parola, scrivere
l'ultima poesia.
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Venerdì, 16 aprile 2010
Un
libro bello e terribile, questo di Stefano Massari, e sicuramente uno
dei più importanti tra quelli letti ultimamente. Non è un libro per
anime semplici, né per coloro che credono che la poesia sia un'attività
sorgiva e consolatoria. Qui di consolatorio c'è molto poco, anche per il
suo autore. Perchè Stefano si è seduto sulla soglia, quella estrema, e
si è messo a parlare di morte, a tentare, come è possibile fare a un
poeta, un suo personale viaggio d'Orfeo. Un libro (Serie del ritorno, La Vita Felice, 2009) con una sua
risolutezza, anche stilistica e (sia inteso del tutto positivamente)
una forma alta di retorica cioè di arte del dire, e una struttura
disciplinatamente organizzata in nove sezioni (ma bisogna contare almeno
anche un prologo e un epilogo), sezioni che già nel loro titolo
pongono un problema interpretativo. Sono infatti frazioni di tempo di
una intera giornata (dalle 00.00 di una ipotetica mezzanotte alle 03.24,
dalle 03.35 alle 06.02, ecc), o forse frazioni diverse di diverse
giornate, che coprono comunque, senza sovrapporsi, un sorta di viaggio
joyciano di ventiquattro ore, nel corso delle quali Massari interroga e
si interroga, ricorda e dimentica, rimpiange e si accusa, costruendo un
canzoniere dell'addio di stoffa diversa ma non meno coinvolgente di
quello scritto a suo tempo dal suo prefatore Milo De Angelis.
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