Sabato, 2 dicembre 2006
Intanto che lavoro ad altre cose, pubblico qualcosa di mio...La poesia non e' solo tristezza, angoscia, crisi esistenziale. A volte e' anche una semplice felicita', la consapevolezza di esistere in un dato momento, qualcosa che si cerca di esprimere in maniera altrettanto semplice, anche linguisticamente. Una felicita', o serenita', in cui l'uomo e' addirittura marginale o un semplice comprimario, e le cose, per qualche misteriosa grazia, sembrano accadere da se'...
OSTERIA DI COLLINA
la brezza marina che da molte miglia prende la valle e il sole che or ora e' tramontato nel carminio... Qui si sosta. Si spengono i motori, l'aria risommerge il verde oggettivo, l'oggettiva selezione degli aromi. Ci si appoggia al silenzio per un po', viandanti al bordone. I grilli riprendono - c'e' una vibrazione, come d'un'arpa cosmica, nel vento. Qualcuno sta officiando. Ora gesticola un bicchiere, sotto il pergolato, alzato rosso. Il pane, nell'intensita' della notte, stralunatico e bianco. Nessuno china la testa. Si ride in comunione. E quella religione rilega le cose e gli uomini e il mondo stasera regalato cosi' senza preghiera.
Venerdì, 20 ottobre 2006
Pubblico qui un reperto archeologico, testi tratti da "Imperfetta ellisse", Quaderni di Primarno, 1988 (se ricordo bene), che in parte spiegano la ragione dell'affezione ad un titolo e anche un po' il "da dove"... Per quanto non convenga in genere parlare criticamente di se' stessi, perche' l'avvocato di se' stesso ha per cliente uno stupido, un paio di cose bisogna dirle, anche in riferimento a quanto scrisse in prefazione C.Vettori. La prima, riscontrabile peraltro in molta poesia novecentesca, riguarda lo sguardo che tende a stabilire una correlazione tra particolare e universale e quindi tra l'io, se c'e', e la natura e il mondo intesi anche in senso filosofico. L'altra e' relativa alla "circolarita' come dimensione non solo spaziale, ma anche temporale (...): alla concezione lineare del tempo ("si annulla il tempo nel punto geometrico / dov'era un attimo / dove non sara' piu'"), che conduce inevitabilmente al senso dello smarrimento e della perdita, se ne sostituisce progressivamente una circolare ("in un punto del cerchio / l'inizio e la fine si fanno coerenti"), che contiene in se', invece, il senso della continuita', del ritorno, della compiutezza" (Vettori).
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Giovedì, 5 ottobre 2006
Qualche giorno fa Davide Nota ha pubblicato sul suo blog una breve considerazione intitolata "L'ossessione della sobrieta'", contro certo conformismo in poesia, in cui affermava tra l'altro: "Non si parli mai di politica (potresti infastidire il tuo interlocutore), ne' di teologia (coi tempi che corrono...), non ci si lasci scappare (per carita'!) ne' vocaboli grossolani, ne' tanto meno eruditi (potresti essere percepito come un poeta di cattivo gusto...).Per farla breve: prendi una qualsiasi conversazione d'occasione tra due persone dabbene, che conoscano le buone maniere e che magari abbiano anche studiato quel tanto che non guasti l'amabilita' della conversazione, riportala spezzettata in versi dimessi e casuali e sarai un poeta!". Questo mi ha fatto rammentare un testo che ho scritto nel 2001, poco piu' di un divertissement, naturalmente...Eccolo di seguito.
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Lunedì, 11 settembre 2006
"Noi" non abbiamo importanza,
se non come piccoli oracoli,
flebili portatori di voci
persi in personali labirinti.
In superficie
le cose avvengono da se',
scoppi che bruciano le foglie
come radiazioni,
definitive cesure della vita.
Rutilare delle foglie.
Autunno preagonico,
distacco e un lento precipitare
nelle correnti, sapendo
di atterrare lontano
nella contrastante gravita'.
In queste descrizioni
rimangono echi,
per nostra bocca,
pure rimembranze
di qualcosa che effettivamente
e' esistito.
Venerdì, 25 agosto 2006
Clonmacnoise (Irlanda), 1 Agosto 2006
Chissà se è questo ciò che aspettavamo, cielo e nuvole sopra irridenti cartoline da turisti, così stupefacenti come già essere qui, a pochi passi da ieri, oltre le stesse nuvole. Qui lo Shannon fa una curva di lente barche bianche, proprio dove alle rive di Stige il verde sfuma, nell'intermittenza cortese della pioggia. La gente sciama con passo leggero tra le croci, le torri, sulle pietre - infisse nella terra, distese, appena coricate come vele - dove il verde brilla quando il sole s'affaccia. O Lord have a mercy on the soul of... dicono le pietre. I nomi ricompaiono, d'ignoti, gente che qui pregava. Si sosta, respirando il vento dubitosi, scattando foto all'invisibile. Solo un ragazzo attraversa, come un gabbiano terragno, lo scheletro grigio della chiesa. L'ora è imprecisata, le vacche, fuori il cerchio dei morti, mordono la brughiera. Ce ne andiamo, senza sapere con che grazia. O Lord have a mercy on the soul of... ripetono le pietre.
ago. '06
Sabato, 22 luglio 2006
Si parla su vari blog, in questi giorni, di dichiarazioni di poetica. Per parte mia ritengo, al di là di un lavoro che sto elaborando sulla “verità” della poesia, che la poetica di un autore, da non confondere con una legittima dichiarazione di adesione ideologica, emerga sostanzialmente dalle cose che ha scritto (magari anni fa) e che va scrivendo (ora). Porrei l’accento proprio su questo percorso temporale, per varie ragioni: perché ha valore documentale ben più stabile delle dichiarazioni d’intenti, e sappiamo che a volte nemmeno il poeta stesso “conosce” esattamente quello che scrive; perché costringe ad un lavoro critico sia chi legge sia chi scrive e questo, se c’è abbastanza onestà intellettuale da ambo le parti, non può che essere un bene; perché evita fraintendimenti del poeta stesso tra il dire e il fare, privilegiando proprio il fare poetico nel suo divenire; perché porta alla luce il salto di potenziale (proprio in termini di energia), il differenziale poetico che si è sviluppato nel corso della vita artistica dell’autore. Naturalmente i poeti si sono sempre più o meno espressi in termini metapoetici, sia sul medium poesia, sulla tecnica, sul linguaggio, sia sull’idea, la loro idea, della poesia. Lo hanno fatto in saggi e articoli anche di grande importanza, lo hanno fatto in dichiarazioni ufficiali, come le prolusioni in occasione di qualche premio prestigioso. In un certo senso è impossibile non farlo, fa parte del mestiere, e mi rendo conto che anche queste poche righe sono in qualche modo un frammento di discorso sulla poesia. Ecco, è questo il punto: qualsiasi dichiarazione di poetica non può essere che un frammento dello specchio identitario del poeta, quello che si palesa attraverso quello che scrive; perché è da lì che emerge la visione del mondo del poeta, o meglio la sua “meditazione”, che poi è una delle ragioni della poesia….
COSE CHE RIGUARDANO ALTRI
non vedo, da questo balcone, la mia pancia: oltre il parapetto, sui gomiti contusi, solo il vuoto assolato come d’un napalm estivo. Aspetto gli incendi d’agosto. Colline rosse, la fiamma che brucia l’ossigeno, e l’urlo dei pini disillusi. Non c’è nessun Libro che consoli abbastanza questo deserto paesaggio, niente che ci svegli da queste anestesie, pallide ripetizioni, omologhe morti, indifferenze. C’è un rombo indistinto, sul mondo, che non cessa. Forse una tempesta impensabile, uno scoppio che ci rovesci gli occhi per gli occhi i denti per i denti: una rottura improvvisa di questa pace di borgata che ci sembra nostra e nostra e nostra. E infinita.
Mercoledì, 12 luglio 2006
Troppa importanza all’ora - mezzanotte o l’una – convenzionale ragione per arrendersi a questa pace di risulta, come scolari insonni, al notturno respiro degli ossigeni. Ma in quest’ora basta uno scricchiolìo del corpo, la confidenza delle vene, la stanchezza del foglio sotto al polso, certe articolazioni dell’essere che urgono parole non scritte... Proprio quest’ora – ronzii, curvature, il grido opaco dei cani – assume una sua memoria, come se pensasse sé stessa, come se tutte le ragioni dell’uomo avessero il loro splendore, e – infine - le loro parole, vicine e fragili, senza più timore, - fortuito incrocio, come una ragazza in strada, l’idea gioiosa del possibile - .
Mercoledì, 17 maggio 2006
il verde rinnovato dei ciliegi, che il vento perquisisce e muove oltre il muro dei morti, come un fluire senza altro senso che il giallo il sapido rosso che verrà. L’uomo sotto l’arco dei rami forse ha un sentore, un brivido nell’affondare la zappa con un semplice movimento del corpo. La terra è promessa e minaccia, gentile germinare e marcescenza. E tuttavia, fuori del recinto dei morti, i suoni i colori il ripartirsi in frazioni di vita che ciascuno,anche l’uomo perplesso e curvo, ha avuto dai morti in poca eredità, concilia il sole, il verde, il vento un sereno manifestarsi ingiudicabile…
Giovedì, 30 marzo 2006
avessimo – immaginavo - la speranza segreta dei bambini: risvegliarsi un mattino col solo obbligo di vivere col coraggio dei pastelli col futuro di un foglio bianco e di uccelli ventosi tornare indietro interrompendo il gioco o risarcire ferite pur profonde cattiverie con piccola blandizie. Avessimo il diritto al ritorno appena prima del limite dell’innocenza sull’orlo d’una giornata improvvida il semplice gesto che cancella il dolore ripristina l’amore sigilla in questo sempre il sempre che è nostro. Potessimo salvare il salvabile come alla fine d’un giorno di vacanza chiudere ridendo i cassetti capire che siamo cresciuti e forse che essenza dell’agire è un rimediabile errore...
Venerdì, 10 febbraio 2006
bruciano, i rovi, là fuori, ammutoliti, senza che voci apparizioni segni stelle comete in cielo. Ardono, i rovi. Qualcuno ha chiamato i bimbi, è finita ha detto, non leggi né carezze. Finito il tempo di barattoli vuoti da calciare, di risa senza denti contro i muri. I rovi anneriscono il sole, la magrezza degli occhi, l’ora del fiato in gola. I vecchi a scrivere versi nella cenere, i bambini alle armi e Dio è grande. Dio non si fa trovare, quel che è detto è detto dovevamo capire...
Giovedì, 12 gennaio 2006
la neve da queste parti dura per il breve stupore dei bambini. Indugia sublimata sulle cime fredde, acqua su acqua, foglia su foglia, sui rami docile, intrisa della materia semplice dei monti. Là nell’aria tersa riflette la luce come un dono delle ultime feste, mentre allunghi lo sguardo fin dove lo sguardo può, nella sera che evapora laggiù dove il cerchio delle correnti rapace chiude per sempre per sempre gli ultimi orizzonti…
gen. ’06
Giovedì, 8 dicembre 2005
nel tentativo di aspettare, setaccio il tempo: pagliuzze grigie rimangono, diffidenti memoires, incerte se farsi vive, lontane mimetiche attitudini... Le cose stridono come i merli che mi prendono in giro, mentre attraverso i campi e dopo i campi l'erta dell'argine e infine il fiume, quello che sorvegliavo scorrere d'un'onda recalcitrante e malata. Nella liquidità opaca, oltre l'onestà dei canneti, il tempo deposita in riflessi semi incoltivabili. Sedersi e rammentare è un gioco pericoloso, dove la svolta, dove si sbagliò, ti chiede la corrente. Le cave di rena paiono di macerie un deserto indifferente e muto. E solo i cormorani, prendendo una lunga rincorsa, accarezzano amorosi l'acqua.
Ora se ne volano via.
nov. '05
Venerdì, 11 novembre 2005
Cerco, in un desiderio meticcio,
una ragione, nel corpo,
in me, l'idea di essere, forse,
semplicemente vivo.
Così è.
La parete degli alberi,
tornando a casa, già sfilaccia
fibre rade di sole sulle cime,
e le purifica.
Non dà molte risposte,
il pensiero rimane orfano,
come quell'unica ragione,
il solo desiderio, e urla
alle sue pareti.
Ma c'è un conforto,
forse solo in quella
pervicace volontà della luce,
sopra i campi e i monti,
di regolare il grigio,
dominarlo.
gen. 2000
Mercoledì, 12 ottobre 2005
gobba a ponente, luna crescente gobba a levante , luna calante
guardo le tue lune storte fuori dalla tua finestra, scruto il tempo che promette se come te rovesci e una fronte ventosa corrugata. Semini sempre quando il tempo non c’entra nascondi sotto la terra i tuoi vuoti, certi masochistici semi. Io sto a guardare, non capisco molto dei tuoi cicli pensosi. Chissà cosa romperà la zolla, forse un ibrido astioso, forse un fiore ecumenico. Per ora guardo le tue lune storte che virano sotto l’orizzonte...
ott. ’05
Martedì, 4 ottobre 2005
piove e questo è un fatto noto il buio che diventa un agguato veloce sul fondo d’animali inevitabili giornate lavorative ingorghi dell’anima eppure determinati ottusi a consumare il cuoio quotidiano… altre cose ci sfuggono censure cesure il perché tutto sommato ci piace essere uomini e non cura se il giorno s’arrabatta polvere rimembranze qualcos’altro… ott. ’05
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