“LA LINEA DI PIOMBO”, JONAS BURGERT (al Mambo di Bologna)
Sono scenari teatrali, rappresentazioni di quello che Burgert considera la
drammaturgia dell’esistenza umana nell’inesausta necessità di porre la
questione sul “ senso”, poi nel dare forma e corpo al proprio universo
poetico e personale. Tele di sorprendenti dimensioni e d’una complessa
tessitura visiva appaiono sulle pareti dalla hall centrale dello spazio
espositivo bolognese affollate di figure fantastiche , umane o meno, d’un
mondo insieme onirico e inquietante, straripante di presenze nello
“scandagliodipendenza”, Lotsucht, dell’artista berlinese
attualmente in mostra al Mambo di Bologna.
“Scandagliodipendenza”, come titola l'originale “the plumb line”, sarebbe
quella “linea di piombo” insondabile e sottile di realtà o limite ultimo di
percezione sotto la quale l’artista è chiamato a discendere nel tentativo
di esplorare, mettere in luce, dare una forma poetica e insieme una “messa
in spazio” visiva, esuberante e barocca nello stile di Burgert, alla
complessità, alla contraddizione, al groviglio emozionale di un’esistenza
guardata alla lente magnificante di un microscopio interiore al filtro
espansivo della propria immaginazione. La sua pittura lavora a tale livello
simbolico, immaginativo, subcosciente e onirico insieme, ai margini o ai
lati oscuri della realtà manifesta dando forma e spazio, in primo luogo, a
ciò che si nasconde dietro la rappresentazione o superficie apparente della
medesima. Paesaggi allegorici, scenari apocalittici da fine del mondo,
figure fantastiche di diversa natura o provenienza come creature quasi
umane, sciamani, arlecchini, demoni o amazzoni popolano le sue tele. In
altri casi sono i ritratti dei volti visti a distanza ravvicinata oppure le
figure femminili simili a incantatrici, muse o baccanti nelle varie
rappresentazioni che rimandano all'archetipo femminile della “grande madre”
nel duplice aspetto di generazione e degenerazione, procreazione e
distruzione. Allo stesso modo le pareti si squarciano lasciando
intravvedere cumuli di corpi ammonticchiati tra le macerie di un mondo alla
deriva, varchi o buchi improvvisi si aprono al suolo ai quali si affacciano
in sordina i personaggi per scrutare quello che si nasconde nel sottosuolo,
oppure demoni, prendono corpo ma anche figure dell’immaginazione o del
sogno, infine volti femminili simili a divinità d’una straordinaria
bellezza. E, ancora, paure ancestrali prendono forma attraverso scenari
distopici da fine del mondo, oppure composizioni teatrali sapientemente
costruite emergono nella brillantezza dei colori manieristi e dell’esubero
barocco delle forme, là dove si affaccia incombente a tratti un’oscurità
minacciante. Nei ritratti in primo piano di Burgert il gioco si esplica tra
il gesto del nascondere e quello del rivelare, tra il celare o
letteralmente sommergere parti del volto o della figura sotto cumuli di
altri corpi, oggetti o macerie e, dall'altra parte, paradossalmente di
mettere a nudo il centro di gravità d’uno sguardo, d’un emozione o uno
stato d’ essere catturato attraverso un complesso scenario .
Stück Hirn (un pezzo di cervello)
Il dipinto si apre come una visione, un sogno di colori ad olio;
grottesche, figure surreali prendono forma attraverso la colorazione
dominante di un rosso oleoso e colante a macchia come un fulcro figurativo
dal centro della tela. Un universo onirico, grottesco e omnicomprensivo di
elementi si dipana come tutta la pittura di Burgert da tale nucleo
generativo, macchia carminio da cui si aprono a raggiera il giallo, l’ocra
e l’arancio in sprazzi di colore oleoso gettato per guazzi ovunque contro
la parete; là, piccoli riquadri di volti o maschere appaiono come tante
scatole cinesi del sogno o dell’incubo: immagini o simboli di un mondo
parallelo dall'inconscio riaffiorano alla mente come sulla superficie della
tela rimandandoci a tutto un filone dell’arte fiamminga popolata da
creature fantastiche e mostruose da Bosch a Brueghel. La figura grottesca
di un giovane al centro della scena domina _giallo, ocra e grigio la sua
veste puntigliata di colore_ nelle mani legato, impedito ad ogni altro
gesto se non a prolungarsi in tali arpioni uncinati in ferro divenuti
grandi mani espanse a spatole di pittura, braccia artificialmente aggiunte
agli arti impediti. Esse solo paiono potersi ricongiungere ed afferrare i
ritratti nelle singole scene o gli altri simboli dispersi sulla tela, quasi
Burgert volesse ricomprendere tutti gli elementi d’una drammaturgia
perfetta quanto solo accennata dentro uno scenario teatrale fittizio al cui
centro resta l’individuo. Lui, specchio deformante di sé stesso nel
tentativo costante di definirsi rispetto al proprio centro di gravità.
Ihr shon (suo belmondo)
Un’accumulazione o attanagliamento di figure dentro uno scenario onirico da
fine del mondo appare, quasi l’immagine d’una nave naufragata e di una
massa di corpi, detriti, tessuti, colori, oggetti, pensieri, demoni e
entità alla deriva andando a fluttuare, riempire e saturare la mente come
lo spazio artificialmente ricostruito sulla tela. Un accumulo di figure
alla deriva affolla nella duplicazione, nel riempimento, nella ripetizione
caotica, nell’esasperazione di presenza come si sprofondasse nella densità
d’una mente saturata, occlusa da mille presenze fluttuanti di energia ed
emozione. Riempire e dare colore, fare comparire simultaneamente sulla tela
attraverso un principio di accumulazione ossessivo che Burgert pare
estendere nello spazio e, allo stesso tempo, fare a pezzi la medesima o
renderla quasi irriconoscibili nella densità oppressiva di colori brillanti
e vivi, di olii splendenti o luminosi in verdi fosforescenti, aranci,
giallo o indaco. Quel mondo esploso e deflagrato letteralmente
nell’immaginazione appare rivoltato dall’interno all’esterno, scavato nei
più piccoli risvolti, nelle pieghe, sui margini della psiche o dell’animo
umano, nelle emozioni come nei sogni o negli incubi che d’esse si nutrono.
Al centro una sola figura si staglia netta oltre la “linea di piombo” nello
scandaglio visivo messo in atto dall’artista: lei nitida e perfettamente
delineata rispetto alle altre. L’abito zebrato e lungo, il volto fisso e
chiaro di fronte all'obbiettivo, l’intensità dello sguardo è puntato di
fronte a noi contro la massa dei corpi rivoltati o mutilati, le presenze
ingombranti e confuse che si dissimulano sullo sfondo. Tanto la follia, la
distruzione, il disordine caotico di quel fondale sul quale una massa di
nero immane a tratti come una minaccia, quanto la visione netta, chiara,
nitida e in rilievo della donna del sogno al centro della scena: animale
singolare e zebrato portato in primo piano e messo a fuoco rispetto al
resto della savana.
Luft nach schlag
E’ un bambinetto qualunque, piccolo e insignificante rivestito della
seriosità d’ un tailleur grigio fumo su cui si staglia unico punto di
colore, il rosso d’una cravatta brillante in contrappunto. Il corpo è
ristretto, ridotto quasi nelle dimensioni come fosse quello d’un individuo
rimpicciolito, la bocca è barrata al parlare da rigature cineree volute. Se
ne sta immobile in alto sul muricciolo di un edificio ad osservare un mondo
in rovina disfacendosi ai suoi piedi. Su un piedistallo guarda le forme e
gli oggetti in disfacimento sotto di lui, i muri colanti di olii e vernici,
le macchie e i graffiti lacerati sulle pareti, le scalinate che conducono
in basso aprendo quasi un varco nel sottosuolo, infine i blocchi di cemento
cubici, trasudanti di nero, anonimi quasi in lontananza. Come testimone
silenzioso è posizionato al centro di tale visione distopica e decadente
della realtà, in tale immobilismo senza tempo o incubo che non lascia adito
a salvezza. Sprofondiamo insieme a lui in un inferno di visione dalle
dimensioni immense che si estense in orizzontale su tutta la lunghezza
della parete della sala. Una serie oggetti simbolici ne scandiscono lo
spazio: un tiro al bersaglio, un pagliaccio, un crocefisso, una maschera,
una catena, campane e fantocci appessi. Poi ancora manichini, maschere,
arti amputati e anfore colanti di linee nere e liquidi rigurgitanti al
suolo, ingabbiature, cemento, travi di ferro tese come diagonali da una
parte all’altra dello spazio. Tutto contribuisce a dare questa visione di
un sottomondo degli inferi moderni dominato dalla solitudine essenziale
dell’individuo quanto da una raggelante percezione o presa di
consapevolezza della realtà muta, oscurante e senza risposte che lo
circonda.
Vertrauter
Sono recipienti straripanti fino all’orlo di colore, paste semiliquide
fosforescenti e oleose come si rovesciasse da un’anfora una colata di tenue
vernice o di latte bianchissimo appena munto. In una stanza nuda,
nell’angolo chiuso al fondo da due pareti un indigeno con un copricapo
ricoperto di piume, uno sciamano e insieme l’alter ego dell’artista se ne
sta immerso in questo universo di colore: uno spazio serrato, un angolo
ritagliato sul muro di un antro grigio, spoglio e denudato d’ogni altra
presenza. Aranci, rossi polposi o bianchi candidi, blu cobalto al suolo,
gialli oleosi a metà rovesciati o dispersi in macchie irregolari, o ancora
liquidi straripanti dalle anfore stracolme. Sono colori sentiti come
recipienti vivi, paste oleose fatte di materia e sensazione, il gusto e il
piacere quasi del maneggiarli come se l’artista e lo sciamano insieme fosse
lì sul punto di officiare i loro rituali segreti o attendere il momento
insperato dell’alchimia: la trasmutazione della materia grezza nell’ oro
della creazione. Tale la metamorfosi insperata della pittura. Come afferma
Burgert: “sulla tela tento di esasperare i colori trascinandoli
all’estremo” fino a quando divengono intossicanti, esacerbati nel
contrasto, velenosi quasi allo sguardo. Alcuni appaiono talmente estremi da
diventare fastidiosi a vedersi. Ma è voluto: “i colori per me sono
importanti in modo vitale, quasi fantastici.”
“Gifter” e “Ohne Title” (Padre e figlio)
“Mi sembra che noi esseri umani riconosciamo noi stessi senza veramente
riuscire a comprenderci, la qual cosa porta a un esito grottesco: la
battaglia dell’uomo con la sua propria immagine a specchio, o meglio la
lotta per definire sé stesso. (..) Così nella nostra mente creiamo
narrative individuali di noi stessi, esistiamo ora come divinità, eroi o
pagliacci, con sfumature ciniche, grevi e disincantate, ora lucide e
appassionanti in ambientazioni artificiali e strane.”
Se ne sta dritto in piedi, sobrio, rustico, solido e semplice. Dalla
parvenza popolare, indossa una veste da artigiano usurata, pantaloni e
scarpe da lavoro, un corpetto liso sotto il camice lungo fino ai piedi d’un
verde fluorescente già in qualche tratto sbiadito. Si staglia netto nel
contrasto con il monocromo del fondo, alle spalle una parete blu oltremare.
Rustico, sobrio, auto-soddisfacendosi della propria esistenza nella
giovialità d’essere, nella pienezza del momento appare accaparrarsi il
proprio presente senza ripensamenti. Gioviale, sazio, si mostra con il
volto florido, appesantito dagli anni, la punta del naso ridipinta con fare
clownesco in nero, lo sguardo sfugge a quello degli spettatori, gli occhi
socchiusi e il volto sono ripresi a distanza mentre la figura intera è
posta su un piedistallo distanziante non senza ironia.
E' seduto e nascosto al di sotto del busto da un tavolo-parapetto in primo
piano che funge da barriera al suo corpo; ne emergono le mani e il volto
assente, malinconico in primo piano a distanza ravvicinata, poi le tenui,
pallide striature ampie in un verde grigio cianurico e opprimente sulla
pelle. Lui, lieve e argenteo è tanto in assenza quanto l’altro in presenza,
tanto sbarrato o precluso al nostro sguardo quanto l’altro in piedi,
esposto e messo a nudo su un piedistallo. L’uno condensa tacita intensità
sull’enigma del volto in primo piano, giovane seppur prosciugato di ogni
linfa vitale; l’altro espanso si riempie di saturante presenza nella quasi
ritrazione dalla propria incombente vecchiaia. Come due opposti
complementari i due ritratti si delineano l’uno accanto all’altro sulla
parete, l'uno nostalgico quanto l’altro gioviale nel paradosso assurdo
delle loro età rovesciate. Come due linee parallele avanzano ognuna sul
proprio cammino senza mai ricongiungersi se non nel tentativo per assurdo
dell'artista di creare un dialogo, là discendendo nel groviglio emozionale
delle loro vite.
Falle, (la trappola)
Rivestito dei panni del destino, piccolo combattente al centro della scena,
gioca a scacchi con la vita su di lui impressa come l’abito a scacchiera
aderente alla sua prima pelle. Le braccia alate si prolungano in rami come
armi di difesa incorporate, ali di scintillanti arbusti a fascio lo
accompagnano prolungandosi a diagonale nelle opposte direzioni.
Intensamente presente in primo piano, vivido, guardingo si muove al centro
della scena. L’involucro di un abito svuotato, una testa svaporata a lato
nella stessa tonalità fosforescente , all’opposto una scena si apre come
una finestra dando su un vano retrostante. Un bimbetto laggiù si imbratta
di vernici verdi smeraldo, forse in un antro dell’infanzia riaperto o
dentro un’immagine onirica, subcosciente affacciandosi alla sua mente.
Figure spaventose, selvagge o semi-mostruose si ripresentano in primo
piano: una scimmia, un manichino, il becco immenso di una creatura
fantastica mentre lo spazio prende vita teatralmente e un tamburello si
stacca da un chiodo, un braccio irrompe da una parete, la testa e gli arti
di un manichino pendono su uno sfondo di vernice eclettica e fosforescente.
RITRATTI FEMMINILI
E’ maschera bianca madreperlacea, un volto di grande delicatezza e
splendore attraverso un velo di bianca pittura a olio. Un cappello con un
animale alato sulla sommità, il nero becco sulla forma verde smeraldo a
metà visibile del copricapo di piume ne incornicia il volto pallido.
Bianchezza della mente, dello spirito e della forma in essa riflessa,
candore dell’inaspettato suo apparire, lo sguardo si rivela sotto una
coltre tenue e velata, ingannevole nebbia di rose e petali fioriti. Occhi
scintillanti ci fissano attraverso quella cortina simulata di splendore.
“Spring essence”: tempo di primavera, l'idea di rinascita, un tripudio di
colori estivi “esplosi" in petali, foglie, o coriandoli colorati che dal
corpo discendono lungo le spalle e poi attraverso le braccia, lungo il
busto fino a dissimulare la figura, confonderla e insieme magnificarla
della sua aurea riflettente e acquorea.
La limpidezza d’uno sguardo messianico, nuovo e immanente di presenza in
primo piano in “Halfte Schlafe”. Argenteo e cristallino, il giovane volto
fissa lo spettatore dritto di fronte a sé, profetico e voyant
nella sua ricerca di illuminazione, spingendosi molto più lontano oltre la
“linea di piombo del presente”, oltre il grigiore denso di quella realtà
che come il lungo mantello gli avvolge la figura precludendo a noi ogni
altra vista. Strisce rosso rubino a incorniciargli il volto.
Il sé è cancellato in “Scheucht” da macchie di colore e dense pennellate
che disfano il volto in coaguli di pasta e vernici distese per masse e
colpi di spatola . Aranci, rossi carmini , verdi e ocra manifesti si
trasformano in una pioggia di colori, una tavolozza di tonalità accese
lasciate come tanta chiazze vivide al posto del volto scomparso.
GRANDI RITRATTI FEMMINILI
Leugne (negazione) e Laubt sich ( "il permesso di")
Sullo sfondo nero un abito bianco si disegna lungo e semplice in tela
avvolgente. Una figura snella e allungata appare, esile e fine, le mani
ridipinte in verde luminoso fluorescente come portasse guanti di seta. Il
volto spento, ogni altro indice di luminosità e presenza estinti e, lei,
fantomatica, lieve, si staglia, pallida proiezione di un sé stesso
svaporato come un'ombra dimezzata d’ogni essenza vitale.
E' avvolta in un abbraccio di indaco e rosa, di bianco e lilla, un
abbraccio di rami fioriti rossicci e primaverili. Come nel titolo, "il
permesso di" vestirsi di colori vivi e abbracciare questi rami espansi in
bacche rosse e frutti sbocciati come si abbracciasse la vita dopo una lunga
pausa d'assenza , un lungo sonno letargico nella terra invernale. Il
permesso di stringersi addosso quei rami fioriti, di lasciarsene avvolgere,
imbrattare e adagiarsi nel loro rifugio di rose e di spine, di bacche e
macchie colorate irradianti di rosso il volto e le labbra. Il permesso di
diffondere e far rispendere intorno a sé quell'antro di pioggia e di
cespugli germogliati. Macchie e pennellate di colore, bacche rossicce e
purpuree cadono a macchia e punteggiano l'abito bianco casuale e atono,
fino alle calze gialle sul grigiore del fondo. Avvolgono e stringono il
busto completamente in un letto di rovi rossi e fioriti, di rose e di spine
per delicatamente lasciarsi portare nell'abbraccio.
Winden (il vento)
Sono creature del sogno quasi, amazzoni o altre divinità dei boschi e delle
selve, in una prima versione avvolte da corde bianche, in un’altra, da
fasci aranci che come vento srotolano via dal corpo dissolvente al suolo .
Disfano la figura avvolta e rovesciata ai loro piedi come fosse vento, come
un nastro che srotolando fosse portato lontano dalle correnti. Il corpo di
verde vernice fosforescente a poco a poco si eleva come spirale di fumo in
aria, la testa già in parte svaporata, scomparsa. Il vento se la porta, la
figura a spirale aerea tende a dissolvere mentre i nastri srotolano a poco
a poco fino a imprigionare e serrare le altre due creature gemellate,
stingendole l'una all'altra e poi ai loro piedi nell'impossibilità di
districarsi. Groviglio, “Lotsucht”rivestito di fluorescente,
vivido arancio.
Feinshaft, (fini legami)
E’ ancora la dualità, lo sdoppiamento e la coppia gemellare, anche
visivamente delineata da corde colorate, di fili e liane inestricabili, a
riapparire. Nastri rosso rubino serrano a spirale agli abiti,
inevitabilmente legano e arrestano, indissolubilmente annodano e
proteggono, tengono insieme ma anche imprigionano la forma speculare delle
due figure.
Madre e figlio o figlia si direbbe dall'aspetto androgino: la prima dalle
proporzioni maggiori rispetto all'altra, occhi aperti nella piccola, occhi
chiusi nella grande. Nascondono, dissimulano e rivelano parte del corpo,
parte del volto. Sono in fusione, in continuità in legame anche visivamente
delineato là dove uno stesso nastro ricongiunge una all'altra avvolgendosi
a spirale attraverso le braccia e il busto per lasciarsi cadere al suolo.
Lega in “scandagliodipendenza” i corpi, e li rende entrambi prigionieri,
arrestati dentro quella gabbia di rossi filamenti. Purpureo cordone
esistenziale cinge e unisce un'ombra gemellare all'altra e insieme soffoca,
imprigiona. (elisa castagnoli)