Affronto la lettura dei testi che mi ha inviato Francesco con qualche patema d'animo. Perche' non e' semplice capire da poche poesie la personalita' di un autore e tuttavia viene il dubbio che gia' questa scelta voglia dire qualcosa, voglia da una parte essere emblematica di una produzione ben definita nel tempo, dall'altra voglia mantenere una riservatezza di fondo sul fare e sul pensare, come concedendosi poco per timidezza.
Ci si accosta a questi testi per un'apparente via facile, attraverso porte aperte che conducono a forme familiari e tranquillizzanti, a tutto un repertorio di figure e strumenti poetici che danno a queste poesie l'andatura regolare e ritmata di una partitura. Fitta la presenza di endecasillabi, con ricordi addirittura petrarcheschi o leopardiani ("io abito un abisso umido e vivo / e buio e caldo e alto e senza fine"); costante la percussione delle rime, vere (sento, vento; armate, disperate), false (mano, parlano), interne (inverso, universo) e delle assonanze, anche concatenate, e fitte (moto, vuoto, fuoco); evidente l'uso di forme retoriche collaudate come il polisindeto o la bella sinestesia di "Mentite spoglie" ("vedo i tuoi occhi chiusi che non parlano / e sento che le tue labbra non vedono"). Potremmo continuare, indicando ad esempio l'uso abile delle quartine o l'altrettanto abile spiazzante iperestensione del verso, ma il gioco tutto sommato e' facile e non faremmo altro che sottolineare la cultura poetica dell'autore. Il punto e' un altro, ed e' legato proprio a questa "familiarita'" in cui Francesco abilmente ci trascina. Si cede cosi' alla tentazione di leggere d'un fiato, di godere della musica e del ritmo, illudendoci, come accade spesso oggi in questa epoca incolta, che la musica ci sia dovuta. Ma questa porta aperta della forma nasconde una nassa, un'insidia: come pesci incauti arriviamo in fondo e ci rendiamo conto che questa poesia, come tutta la vera poesia, non ci chiede altro che di essere riletta con amore, compresa affettuosamente, ci chiede insomma quella empatia di cui solo il lettore di poesia e' capace, prima di poterci congedare. Poiche' oggi la forma chiusa o almeno codificata non e' piu' solamente una scelta stilistica, un canone o una prova di bravura. Ma e' anche una scelta ideologica, un richiamo alle radici, un utensile metapoetico, un significante (ma.naturalmente Francesco ha avuto la maestria, in testi qui non presenti, di esprimersi in altre forme, come il verso libero, pur con richiami sempre presenti alla tradizione). E' anche una metafora. Un hortus conclusus, un fuori/dentro che a volte impedisce di carpire il segreto dei frutti, a volte protegge chi coltiva. E protegge forse (anche con il ricorso a simboli) il nucleo di intimita' profonda che si scorge in queste poesie, che vuole dirsi ma non vuole darsi, cioe' svelarsi a pieno, sia esso (ipotizzo) nel rinvenirsi esposto, "doppio", umanamente contraddittorio e indifeso, posseduto di fronte al sentimento amoroso ("Mentite spoglie"); sia nel descriversi (tutto d'un fiato, in un unico periodo, si noti, che rende bene l'idea del gorgo) alla lacerante dolorosa ricerca di un nuovo senso che ponga fine al caos esistenziale ("Inverso"); oppure nel ripercorrere il mutare (forse) dei sentimenti e la disillusione dell'ideale (anche metaforicamente dura) attraverso il vocativo reiterato di "Sangue di pietra"; o infine (ma in maniera ancora piu' chiusa nella forma, connotata simbolicamente e con un dettato direi ermetico) nel dipingere il divenire (dei sensi, dell'amore, della vita?) in "Vaghi sorrisi", il testo direi di piu' ardua lettura. Poesia densa, quindi, riservata, esigente, raffinata e colta, sotto alcuni aspetti problematica da un punto di vista critico, ma capace di dare a un lettore non frettoloso, meditativo, simpatetico, una esperienza poetica di grande soddisfazione.
[ quattro poesie ]
MENTITE SPOGLIE
Quello che vedo non e' quello che penso;
quello che dico non e' quello che sento;
i miei amici sono i miei nemici;
l'io che non sono ha ucciso l'io che ero.
Portami via con te, portami dentro
il tuo tiepido cielo senza vento.
Tu sola hai la chiave della porta
stretta e segreta, e solo la tua mano
puo' sollevarmi a stento dall'abisso
voluttuoso del mio nulla in cui cado
inerme ormai da piu' di mille vite.
Vedo i tuoi occhi chiusi che non parlano
e sento che le tue labbra non vedono
il risveglio nel tuo letto dorato,
dove attraverso il tuo viso, il mio sguardo
afferra in se' il cuore azzurro del tempo.
(da "La lingua degli angeli"- Ed. del Leone, 1997)
INVERSO
Io abito un abisso umido e vivo
e buio e caldo ed alto e senza fine
e cado ovunque vada la sua ombra che vaga
e salgo verso il nulla come un'onda sempre in moto
nel vuoto chiaro di vento e fuoco
e sento dentro me come un inverso
aspro universo inerme in me sospeso
che un altro me contende a un altro senso.
( da "Nel nome dell'ombra" - Ibiskos Ed., 1998)
SANGUE DI PIETRA
Tu hai perduto l'ombra della luna
che ti seguiva prodiga e discreta
nell'impeto dei passi controvento
cui ti spingeva il tuo sangue di pietra.
Tu hai perduto il tuo anello tra i rami
del dirupo che porta su alla cima
e le tue ali d'aquila
non hanno dato volo ai tuoi richiami.
Tu sei la pelle lieve tra le spine,
ma di quarzo hai lo smalto e le unghie armate
d'aspro coraggio nato tra i sospiri
d'attese vinte in grida disperate.
(da "La radice e l'ala"- Ed. del Leone, 2000)
VAGHI SORRISI
Vaghi sorrisi tra lacrime accese,
le mani strette in una salda presa
da cui non sfugga la sua carne arresa
che schiuse via la sua matura rosa.
Labile e' il tocco della vera gloria
che di teneri lacci la rinserra:
disperde rari semi in rada terra
la superstite messe della storia.
(ibidem)
Francesco De Girolamo e' nato a Taranto nel 1957; vive a Roma, dove, oltre che di poesia, si occupa di teatro.
Ha pubblicato le raccolte poetiche: "Piccolo libro da guanciale" (Dalia Editrice, 1990), con introduzione di Gabriella Sobrino; "La lingua degli angeli" (Edizioni del Leone, 1997), con una nota critica di Elio Pecora; "Nel nome dell'ombra" (Ibiskos Editrice, 1998), con prefazione di Gino Scartaghiande; e "La radice e l'ala" (Edizioni del Leone, 2000), con introduzione di Elio Pecora.
E' presente nelle antologie: "Poesie dell'esilio" (Arlem Edizioni, 1998); "Poesia degli Anni Novanta" (Edizioni Scettro del Re, 2000) e "Haiku negli anni" (Empiria, 2005).