Nelle fotografie in bianco e nero della stessa epoca un villaggio si staglia visibile in lontananza dal solo campanile attraverso la campagna denudata al
fondo di terreni incisi da profondi solchi e sentieri in terra battuta imbruniti dal gelo. Ora è il fondale di un fiume con a lato un casale in pietra
grezza avvolto da una vegetazione aspra e selvaggia; rami d’alberi lussureggianti si stagliano nel contro-luce d’ombra. Una strada ferrata ricoperta a
tratti di neve conduce al borgo; là è a una stazione solitaria in mezzo a distese gelate mentre sentieri di terra battuta s’aprono attraverso vigneti
sconfinati e campi spogli.
Se questo Friuli vive “al di là del tempo”, Casarsa è l’immersione in un mondo primitivo, epico e leggendario che diviene rifugio e totalità per il poeta,
culla e sede della sua memoria anche attraverso la relazione viscerale che stabilisce al linguaggio, la koinè dialettale scelta per le poesie, lingua
materna che gli permette di accedere a questa anteriorità della parola e dell’essere attraverso la poesia. La civiltà è quella pre-capitalistica,
contadina, l’umanità vi appare incontaminata in una innocenza primordiale, il paesaggio è quello di Casarsa, la giovinezza impregnata di immobilità e senso
di morte quasi in un narcisistico ripiegamento su sé stessi.
Nelle pitture ad olio del periodo giovanile visibili alla mostra si alternano paesaggi del Tagliamento abbozzati in rapidi tratti realistici e volti dal
forte eco rimbaudiano dove la figura dell' auto-ritratto appare appena accennata o disegnata in profondi chiaro-scuri: giovane poeta-Narciso in
ripiegamento malinconico su sé, voyant visto in maniera ambivalente tra il lirico incanto poetico e l’atmosfera impregnata di immobilismo e nostalgica
contemplazione in immobile presenza.
La figura della madre
Le presenze femminili, la schiera di madri che popolano i film di Pasolini sono figure dell’eccesso, della dismisura di un legame indissolubile tra madre e
figlio, di quell’assoluto l’amore che conduce a disperazione ed angosciosa solitudine per il poeta: figure addolorate o straziate come il volto della madre
del Cristo (interpretato da Susanna Colussi, vera madre di Pasolini) vista ai piedi della croce assistendo alla morte del Figlio agonizzante e, insieme, al
compiersi ineluttabile del destino messianico del Figlio di Dio. Oppure ancora, Medea/Callas eroina tragica, maestosa e sublime insieme ripiegata sul
proprio indomito abbandono , infine Anna Magnani al culmine della propria forza espressiva in Mamma Roma o ancora Silvana Mangano, Giocasta in Edipo Re.
A partire dagli anni ‘50 Pasolini approda a Roma dopo la fuga da Casarsa entrando in contatto con i ceti del sottoproletariato urbano dove scopre la forza
vitale di un mondo primitivo, disperato e vivo dal parlato gergale e violento delle borgate romane fino a farsi a tratti crudele: una classe popolare
dall’identità e la storia non ancora sottomesse o contaminate dal capitalismo e dal modello borghese. Tra le immagini indimenticabili che scorrono
silenziose sulle pareti dell’immensa galleria centrale del museo sono il volto della Magnani, prostituta in “Mamma Roma” donna popolare vista sullo sfondo
delle borgate romane nel tentativo di riscattarsi, cambiare vita e accedere al mondo piccolo-borghese per occuparsi del figlio Ettore. Sullo sfondo della
periferia urbana, ai margini della nuova realtà capitalistica in espansione la donna avanza lungo una strada costeggiata dai palazzoni bianchi e anonimi ai
margini della nuova città camminando a un ritmo lento e cadenzato in lunghi piano-sequenza. Il primo piano ora è sul suo volto, figura epica e tragica
insieme, moderna eroina greca dai tratti marcati nel profondo chiaro-scuro del volto che incarna insieme l’essere “minore” o minoritario di un popolo o di
un gruppo, il divenire soggetto “identitario” per una sottoclasse proletaria e il pathos individuale del personaggio nell’espressionismo visivo portato
agli estremi. Il suo volto nulla cela ma come un magnetico polo d’attrazione di forze uguali e contrarie che si giocano dall’intimo fino a lasciare traccia
sulla sua superficie lascia trasparire, dilagare in rari momenti_ nello sguardo acceso dalla rabbia, nella lieve contrazione delle labbra, nel gesto del
prendersi il volto tra le mani con disperazione_ l’ineluttabilità di un destino, l’abbandono o l’ombra di una follia che pare sfiorarla a tratti,
affacciarsi e dileguare a istanti. Quasi il personaggio femminile fosse lì a incarnare un’umanità dolente posta di fronte a un impossibile riscatto, il
sogno di un’improbabile redenzione rispetto a un destino individuale e d’un intera classe proletaria.
La visione della madre nel “Vangelo secondo Matteo” trafitta dal dolore ai piedi della croce e gli altri volti femminili filmati in bianco
e nero nell’intenso chiaro-scuro appaiono come icone sacre rinviando ad immagini pittoriche della tradizione classica a sfondo religioso. Una galleria di
ritratti vi si disegna qui dove il volto umano colto in primo piano è filmato in immagini di straordinario nitore e purezza espressiva, come si trattasse
di una serie di istantanee fotografiche in movimento viste sullo sfondo di una Palestina primitiva e arcaica. Distese deserte e vallate aride e brulle sono
filmate nell’Italia del sud, folle disperse, strade in terra battuta attraverso le quali risuona la portata rivoluzionaria del messaggio biblico: la vita,
il destino, la predicazione e la morte sulla croce del Figlio di Dio. Le immagini dall’impronta pittorica imprescindibile appaiono perlopiù avvolte nel
silenzio, lasciate a un sottofondo musicale di Mozart o Bach o sullo sfondo alla predicazione messianica. I volti sono colti in tale assolutezza ed
essenzialità di visione, nella peculiarità irripetibile di ciascuno d’essi: Maria giovane sposa, la madre anziana piangente ai piedi della croce, la figura
eterea e diafana dell’angelo annunciatore, il gruppo dei dodici apostoli, la folla, il coro delle donne piangenti avvolte in veli neri ai piedi della croce
.
Nella scena finale esse sono filmate come scia di corpi e drappi neri in lontananza attraverso il paesaggio arido spoglio dello sfondo avvicinandosi alla
montagna dove si è radunata la folla, soldati e centurioni romani al momento della crocifissione. Il giovane Cristo è immobilizzato sulla croce, un grido
straziante di chiodi piantati sulle mani, poi la croce è sollevata all’orizzonte in egual distanza da altre due in una distribuzione prospettica dello
spazio ispirata alla tradizione pittorica rinascimentale. Dal coro dolente di figure tragiche greche inginocchiate in veli neri ai piedi della croce si
staglia lo sguardo estatico della madre, il primo piano sul suo volto rapito in una sorta di estasi dolorosa, nell'ultimo ricongiungimento al figlio sul
punto di morte, nel pianto assente e nel pathos trattenuto in quell' estremo di figurazione di un tragico moderno.
Pasolini esplora nel suo cinema le intrinseche possibilità espressive dell’immagine filmica nella sua capacità di rendere visibile, di estendere in qualche
modo il potenziale di visione insito nel reale attraverso un cinema che egli definisce essenzialmente “di poesia”, dalla profonde qualità pittoriche,
oniriche e immaginative e, insieme nell’imprescindibile concretezza oggettuale di una realtà intesa come sistema di segni o equivalenti visivi, deposito di
materia grezza dalla quale attingere per la sua ulteriore costruzione segnica nel linguaggio cinematografico. La realtà per Pasolini è potenziale
cinematografico in natura, sistema di segni dando vita a “un’altra lingua” semioticamente connotata rispetto a quella letteraria o della prosa, rispetto ad
ogni altro codice scritto o parlato perché essenzialmente fondata sull’azione o sugli oggetti di un reale divenuti metafore di sostituzione, alfabeto di un
nuovo linguaggio “di poesia” rispetto a un tradizionale discorso poetico. Un mondo arcaico, antico, di ispirazione biblica, visionario nella sua essenza si
disegna attraverso le immagini del “Vangelo” pasoliniano, lì appunto dove il racconto della vita di Cristo si confonde con gli stralci e gli estratti del
testo originale mentre primi piani sui volti d’una iconica bellezza si alternano a sequenze immobili di paesaggi infiniti in un'arcaica Palestina-Italia
del sud.
Nel Vangelo pasoliniano emerge il carattere rivoluzionario del messaggio cristico liberato da molte sovrastrutture dell’interpretazione ecclesiale più
corrente e riportato, in qualche modo, alla forza cristallina del testo evangelico, alla figura messianica di un Cristo enunciatore della Parola; lui,
portavoce della legge universale dell'amore e del perdono ma, allo stesso tempo iconoclasta e rivoluzionario nell'atto, appare come un'altra figura mitica
o nucleo centrale intorno al quale ruota la poesia giovanile.
Nel “Vangelo” pasoliniano è giustamente un Cristo -uomo , giovane e combattivo venuto a portare la spada, il fuoco e non la quiete tra gli uomini a
scagliarsi violentemente contro l’ingiustizia, l’ipocrisia e il male della terra là dove il divino si incarna al più profondo dell’umano attraverso la
venuta del figlio fino a raggiungere il segno del trascendente, la folgorazione divina in lui attraverso l’annuncio della Parola. La potenza del Vangelo è
la forza della predicazione messianica nel film: il messaggio divino iscritto al cuore dell’umano, nel più intimo del suo corpo, risuona della sua eco in
parole e silenzi propagandosi in piani sequenza di un universo primo, precedente il logos inteso come l’ordine della ragione, dunque in essenza poetico. Il
sacro vi si iscrive qui nella sua portata profondamente irrazionale, inconoscibile, in quell’elemento di visionarietà, nell’intuizione del divino che si
ricongiunge e interroga il mistero primo del mondo.
“ Voi udrete con le orecchie ma non intenderete, voi vedrete con gli occhi ma non comprenderete poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile
e hanno indurito le orecchie, e hanno chiuso gli occhi per non vedere e per non sentire con le orecchie.”
“Voi siete il sale della terra ma se il sale diventa scipito chi gli renderà il sapore, non serve ad altro che ad essere gettato via e calpestato dagli
uomini. Voi siete la luce del mondo, non può stare nascosta una città posta sopra un monte. Non si accende un lume per riporto sotto un moggio ma su un
candelabro e fa luce a tutti quelli che sono nella casa .”
“Perciò vi dico non vi affannate per la vostra vita, per quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo per cosa vestirete. Non vale forse più
la vita del nutrimento e il corpo più del vestito? Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in
aggiunta. Non vi affannate dunque per il domani perché il domani avrà le sue inquietudini, basta a ciascun giorno la sua pena. Quanto stretta la porta,
quanto angusta è la strada che conduce alla vita e pochi quelli che la trovano”.
Critica della modernità
Nell’ultima sala una lunga carrellata di autori, artisti e intellettuali rende omaggio a quarant’anni dalla sua morte all’eredità lasciata da Pasolini
nella sua figura di intellettuale, artista e poeta, e rispetto a un pensiero e a un’opera multipla e sfaccettata dalla quale molti sono stati influenzati,
ispirati o comunque chiamati a confrontarsi. Importante restano, oltre l’oscuro capitolo di una morte inspiegata, i segni, le tracce, i lasciti di
quest’opera aperta e ancora in dialogo con le nuove generazioni. In particolare appaiono nella mostra alcune opere d’arte contemporanea ispirate alla
figura di Pasolini: un quadro di Mario Schifano esploso in mille colori, tracce e segni impazziti nello spazio e sulla tela dove del volto trapela lo
sguardo intenso, unico, serigrafato a ripetizione dal suo campo magnetico di emanazione, infine disperso attraverso le linee e le tracce colorate del piano
visivo. Ancora, il volto del regista italiano entra in un dialogo immaginario con il disegno tracciato dall' iraniano Kiarostami mettendo in evidenza la
tensione intellettuale su quel suo volto particolarissimo: l' “essere nel pensiero”, il coraggio della ricerca o dell’affermazione di una verità scomoda
per un intellettuale ideologicamente non-allineato al sistema politico dominante, non compromesso o colliso con il potere. Ultima indimenticabile immagine
resta quella della figura e della personalità magnetica di Pasolini incarnandosi idealmente nel corpo femminile libero e sovversivo della cantante e poeta
rocker Patti Smith quasi si passasse fluidamente dal maschile al femminile in una rimessa in vita, come afferma la frase a lato del ritratto, “en vie”,
dello stesso spirito non sottomesso di pensiero e azione nel corpo di una nuova generazione. (elisa castagnoli)