Devo fare ammenda con Salvatore per le poche righe che gli ho dedicato nel suo precedente post (v. qui). Tuttavia quelle righe, sostanzialmente confermabili, possono essere il nucleo di un discorso in qualche modo piu' ampio. La prima cosa che salta agli occhi in questi testi e' il tentativo di trasferire l'io lirico su una seconda persona che dovrebbe avere una funzione spersonalizzante o almeno segnare quella distanza dalla materia poetica che permette al poeta di dominarla non solo nella tecnica ma anche nella sublimazione delle emozioni. E' questo stratagemma che permette ad esempio di "sentire anche il tuo di nome / una voce che chiamava / i mormorii dei tuoi cari / morti chiamati a giudizio". Da notare incidentalmente qui l'enjambement tra "cari" e "morti" che sintomaticamente ritarda il confronto con l'elemento drammatico. Oppure di confrontarsi con meno sensi di colpa con un Dio indifferente o addirittura discriminatorio, che si allontana con una piccola schiera di eletti a cui il poeta sembra non appartenere. Potremmo dire che il tu ha una funzione protettiva, specie quando rimanda a problematiche piu' universali e "filosofiche", mentre l'io riporta a una visione piu' privata, intima, quotidiana e in un certo senso "d'occasione". L'altro versante poetico infatti e' un io difettivo, di rimessa, impegnato in un confronto col mondo incerto e inquietante (l'odore dell'edera, la luce incerta) o con gli altri, spesso, altri che non conosciamo, ma con i quali il rapporto appare problematico o quasi interrotto ("questo io non posso dirtelo / tanto e' grande lo stacco / che ci divide ormai / e questa distanza del clima", - bella chiusa), ma con cui talvolta si puo' condividere "il piacere di un viaggio / insieme e il gustarne il succo", viaggio qui forse metaforico. Sintomaticamente, nella sezione Para bellum, non poteva mancare il passaggio ad una persona plurale, collettiva, necessaria a sostenere un ben piu' concreto dolore del mondo, quando Salvatore si ritrova a descrivere la morte quotidiana, quella vera, quella di cui noi occidentali siamo spettatori e complici ("siamo noi che pian piano / gettiamo terra e riempiamo buche / su questi corpi inermi") e insieme incapaci di risarcire ("Ma come possiamo noi / consolare tutti questi morti?"). Di fronte a questo tipo di ispirazione, dolorosa ma felice, Salvatore reagisce al meglio, con compattezza stilistica, con la concentrazione poetica di un unico lungo verso, lungo come un grido, appena ritmato da poche spezzature. Forse l'inizio perfino di un poemetto intensamente civile.
Non sei certo della luce stamattina.
Sembra caldo a dirsi dai primi
boccioli sugli alberi
e decidi di cambiare il guardaroba
per non sudare troppo.
Poi comincia a piovere e smette subito.
Ti affacci e l'edera sul muro
di fronte non fa piu' il suo odore.
O fa sempre lo stesso
/**********/
A V. B.
*
Il vecchio labrador
lungo la via verso la stazione
non si incontra piu' nel suo cortile.
E' morto certo, poverino
nonostante tutta quella voglia
di abbaiare alla sua eta'.
Ma questo io non posso dirtelo
tanto e' grande lo stacco
che ci divide ormai
e questa distanza del clima.
***
Dio, quanto mi ha ferito
la tua solitudine.
Mi feriva nei tuoi
sabato sera a casa da sola
e mi ferisce ora
nel tuo essere stretta a un amico
anche mio, senza una parola.
E ferira' ancora.
/**********/
A G. L.
Dove andremo finita
la sigaretta io e te?
e' questa la nostra domanda
fissa, il dubbio senza risposta.
Ma non c'e' da andare sempre
in qualche posto.
Quel che importa in fondo
e' il piacere di un viaggio
insieme e il gustarne il succo.
/**********/
I muri della tua stanza
di notte ti tradiscono e lasciano
passare voci rumori di passi
dalle scale, di qualcuno che
nel sonno sussurra un pianto
un dolore nascosto. E ti e' parso
di sentire anche il tuo di nome
una voce che chiamava
i mormorii dei tuoi cari
morti chiamati a giudizio
/**********/
Hai cercato di mettere apposto
tutti i tuoi affari, di supplire
ai tuoi peccati prima
del giorno del giudizio.
Poi ti sei messo in terrazza
aspettando che la mano
di Dio (o chi per lui) ti
toccasse. Ma quello
neanche ti ha guardato
mentre distribuiva avaro grazie
resuscitando i morti
atterrando i vivi.
Si e' allontanato infine
con una piccola schiera
di eletti, tu che pensavi
fosse la tua occasione
/**********/
da Para bellum
655.000 - dicono - tutti civili/in tre anni, senza una memoria./E sembra che nessuno possa piu'/morire, con tutta questa morte intorno./Ma siamo noi che pian piano/gettiamo terra e riempiamo buche/su questi corpi inermi.
Lungo queste estati sole / nei tuoni che le interrompono / ti pare di udire il giudizio / di Dio o una bomba su Tiro. / E le anime che sono ormai il / corollario usuale di una giornata / che passi qualunque. / Ma come possiamo noi / consolare tutti questi morti?