Sabato, 18 aprile 2015
Carla Paolini - Installazioni (fisicità poetiche) - Anterem edizioni / Cierre grafica, 2015
Di Carla Paolini ho già parlato brevemente su Imperfetta Ellisse (v. QUI)
quasi otto anni fa, a proposito di un suo interessante poemetto
intitolato "Elettroshock", e lì parlavo tra l'altro di linguaggio
condensato, che "coagula ulteriormente attorno a parole affini o parenti", di "dramma per impulsi", in un travaglio poetico in fondo al quale "rimane
una sineddoche di sè, un nucleo indivisibile e irrinunciabile, "una
sola parte per il tutto", come, io credo, una decantazione della vita
stessa". Rammento queste cose proprio perchè occorre, a mio avviso,
ripartire da lì, o meglio ancora partire - che sotto molti aspetti è la stessa cosa - dalla dichiarazione di poetica che apre questo volume.
Dice infatti Carla: "La materia di Installazioni non
nasce dall' occasionalità degli eventi, ma dall'interesse che
improvvisamente una parola mi smuove. Intorno a questo embrione
energetico, il pensiero struttura e specializza nuove sintassi. La
sostanza espressiva si diffonde, disseminando segmenti come linfonodi
messi a difesa delle sue intenzioni. L'organismo poetico addensa
fisicità singolari, s'installa sulla pagina e accetta l'urgenza di
esistere".
Ricordo vagamente
che anche Stefano Guglielmin aveva in passato espresso un concetto
analogo a proposito del suo lavoro di poeta: l'appunto, anche una
singola parola deposta a stagionare su qualche foglietto anche per molto
tempo, magari capace poi di generare quasi per partenogenesi l'idea
poetica, il testo, la definitiva messa in atto di qualcosa che stava lì,
in nuce. E' un aspetto della "ispirazione" che mi ha sempre affascinato
e di cui io stesso ho esperienza diretta, una indefinita capacità
neoplastica della parola, quasi differente e distinta da una voluntas,
che rimanda direttamente alla poiesi del linguaggio, qualcosa che ha a
che fare con la psiche dell'autore e forse con il lavoro del linguaggio
sul linguaggio, per dirla con Stefano Agosti. E ci sarebbe probabilmente
da riflettere anche sul trattamento delle parole come "oggetti",
manipolabili o osservabili. Ma inutile andare troppo lontano, fermiamoci
qui. Però della dichiarazione di Carla bisogna notare almeno un
paio di cose a mio parere importanti. La prima riguarda lo stesso titolo
(non casuale) della raccolta, un termine dalle diverse sfaccettature:
l'installazione innanzi tutto rimanda a una precisa categoria artistica
concettuale, a un riferimento ad un'arte visiva le cui caratteristiche
siano almeno la tridimensionalità e la collocazione in un ambiente, al
di là dei mezzi, delle forme e dei materiali (e vediamo poi come questa
caratteristiche tentino nella scrittura una loro evidenza); e poi
"installazione" è il porre la parola su uno stallo, uno scanno, (come
ricorda acutamente Gio Ferri nella postfazione) ovvero un luogo
privilegiato e "religioso", meditativo e racchiuso come negli antichi
capitoli monastici, "lasciando fuori dal coro ogni seppur turbato ma
freddo sentimento estraneo alla parola..." (sempre G. Ferri). Come si
vede, tutto sembra tornare.
L'altra cosa deriva direttamente dalla prima e riguarda il carattere
anti-occasionale di questa scrittura (e qui si ritorna al "concetto"),
cioè sostanzialmente il rifiuto di qualsiasi ispirazione per così dire
"fanciullesca", o emotiva, o sentimentale, sempre a favore di una
"durezza" della parola, che è specchio della difficoltà di penetrare la
stessa materia di cui è fatta la nostra comunicazione e la realtà
circostante, tentando di scoprire cosa (forse) c'è dietro quello schermo
illusorio di cui parla Montale in "Forse un mattino andando" (v. QUI).
C'è con ogni evidenza anche una ricerca per così dire combinatoria,
delle possibilità di scomposizione, ricomposizione ricollocazione dei
sintagmi, delle catene sintattiche, pur sempre però a partire da quel
"embrione energetico" di cui parla Paolini (ma l'autrice avverte che
solo si può "ridisporre ciò che è disponibile"). E c'è, io
credo, un meccanismo associativo, legato non tanto ad assonanze o ad
assimilazioni linguistiche o a "giochi" (ma l'autrice raccomanda: "date voce / al filare aspro delle polifonie") quanto a un filo rosso da
ricercarsi a livelli più profondi, a un sistema metaforico di tipo
cognitivo in cui agiscono più profonde "culture", forze più nascoste. Ma
anche, aggiungerei, alle probabilità metamorfiche, virtualmente
aperte, di sostituzione senza danni, che questo tipo di scrittura offre anche a chi legge.
Naturalmente gli estimatori della scrittura automatica o effusiva,
quella in cui l'autore è un medium o una Pizia delegati dalla Poesia,
dovranno mettersi l'anima in pace. Qui, non ostante il casus che
sembra muovere il meccanismo, non c'è molto lasciato all'arbitrio. O
almeno niente che poi non sia regolarmente riportato all'ordine, a un
suo intimo significato. E se c'è una piccola contraddizione negli
intenti di Carla caso mai sta qui, nella impossibilità oggettiva, direi
tecnica, di realizzare quella "urgenza di esistere" dell'organismo
poetico di cui lei parla, un concetto che sta tra l'idea romantica di
una poesia vivente, pre-esistente e quella michelangiolesca dell'opera
che c'è ma deve essere estratta a colpi di scalpello. Il registro è
semmai quello che Gio Ferri chiama un "raro distacco formale". Che a
livello di stampa (e qui si torna al discorso di dimensionalità e
collocazione dell' installazione) si esplica anche come tipizzazione
grafica (corsivi, grassetti, diversi corpi carattere) e interazione
spaziale con la pagina bianca (versi non-versi, spezzature, stacchi,
diversi tipi di giustificazione), alla ricerca insomma di una
consistenza materica (e il sottotitolo è infatti "fisicità poetiche")
che naturalmente alla parola non è data.
Come noto, raramente le dichiarazioni di intenti, specie in poesia,
conseguono l'obbiettivo prefissato. Direi però che in questo caso
Paolini, partendo con un'idea chiara in mente, con un programma (e
anche con la curiosità di vedere dove l'idea va a parare), riesce
egregiamente a costruire una specie di lessico di base che funge da
innesco o scandaglio se si vuole, come un sasso gettato nello stagno. E
anche se talvolta "quando cade / è un sasso che non solleva spolveri
d''acqua" (segno di un deserto dell'esistenza, dei rapporti, etico che
tuttavia deve essere investigato) è un tentativo irrinunciabile che il
poeta, per sua natura, deve fare. O tacere, diventare pietra installata in quel
deserto. (g.c.)
PATEMI
patemi per voce solista
paturnie notturne impacci
cosine smorte lasciate sul palmo
come strisciature ai blocchi di partenza
seguono le trombe in sordina
radunate nei poteri familiari
sono fluttuazioni in fronte alla prevalenza
a volte qualcuno si scavalca
guarda lontano
zero attimi dopo ricomincia a morire
UN'INTESA
un'intesa regolare non è detto che abbia delle ragioni quando si associa al realismo ingenuo per tenere in ordine i suoi materiali
non è indispensabile la reciprocità
nessuno pretende scambi vitali
né si richiedono reazioni palpitanti
per simulare consciamente basta atterrare nel reparto adiacente dove si svende amabilmente
IL MIRAGGIO
- il miraggio - va assaporato fra due trattini gustato sotto foschie innevate
non insistiamo per avere contatti la sua distorsione non è per condividere
getta un cenno improvviso di presenza
prospetta le sue simbiosi al fondo scivoloso del tempo può apparire in via eccezionale anche in punta all'albero di natale
NON LASCIATEMI
non lasciatemi solo a NY salvatemi dalla sindrome della bellezza
da questa turbativa illiberale che giganteggia impunita in fondo all'orizzonte
squarciata da sbalzi che hanno campo nell'inciso dell'affaccio
incomprensibile proposito di declinazioni miracolante aggressione costruita in abisso
fate che la sua voce non intoppi le mie distaccate presunzioni europee
TI STAI
ti stai centrifugando per perdonare ma l'offesa è materia lavica con ceneri di ricaduta contaminate dall'impronta
è un cono di trame brucianti
serbate fra la pomice inconsunta
che forma il calco e la sua ripetizione
superflua l'altra guancia per promulgare giustificazioni giostrate solo dietro sipari sedativi
AL PUNTO
al punto esteriore piacciono i giochi gli piace l'unirsi nelle piazze
ha una passione per l'eccesso turbinoso
le roteazioni gli scambi che sgusciano dall'arco palpebrale
cura le imbronciature di sobbalzo nega la dottrina dei corpi non allenati segnando le loro falle col bianchetto
nei giorni di festa si veste solo con uno spicchio di luna sulla spalla
QUANDO
quando arriva un sintomo a sorpresa
non è detto che la diagnosi sia infausta dietro la targhetta del camice l'analisi può rintracciare appigli per una scoperta fascinosa audacemente d'accesso che scarti l'incontro di dolore
o offra propensioni lusinghiere composte su misura per indagini intenzionali cognitive
SCEGLIERE
scegliere il movimento sull'immobilità sembra un innesto contro lo sterile
uno scandaglio connaturato a reazioni di passaggioù
ogni singola persuasione per implacabile processo di spostamento plana su aree tematiche non coincise
avvertite nel crepuscolo della retina come moti in fuga da una meteora che sta collassando in sé
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